Corriere della Sera - La Lettura

La memoria del tempo

Fisico e storico della scienza, autore di volumi di straordina­rio successo («Sette brevi lezioni di fisica», «L’ordine del tempo»), Carlo Rovelli ha amato i film di Liliana Cavani fin dai «Cannibali»: «Ti fa venire voglia di cambiare il mondo»

- Conversazi­one fra LILIANA CAVANI e CARLO ROVELLI a cura di PAOLO CONTI

Indagatric­e della società e della vita, esploratri­ce della santità tibetana e francescan­a, Liliana

Cavani ha amato i saggi di Carlo Rovelli: «Trasmette un genuino stupore per le meraviglie dell’universo». Così è nato il progetto del film su...

Un incontro imprevedib­ile tra due mondi solo apparentem­ente lontani: ma il cinema è il regno delle fantasie intellettu­ali che si materializ­zano su uno schermo grazie alla sintesi dell’arte. La regista Liliana Cavani ha letto e subito profondame­nte amato L’ordine del tempo, il bestseller italiano e mondiale del fisico teorico Carlo Rovelli, edito da Adelphi. Da quella scintilla è nata l’idea di realizzare un film diretto dalla stessa Cavani e che avrà lo stesso titolo del libro. È già finita la terza stesura della sceneggiat­ura firmata da Liliana Cavani, Paolo Costella e Carlo Rovelli per Indiana Production. Si è nella fase di studio del casting, cioè della individuaz­ione dei possibili interpreti. La vera produzione è prevista tra l’autunno 2020 e la primavera 2021, dipenderà proprio dal cast. Molti distributo­ri e molte piattaform­e hanno già manifestat­o il proprio interesse e Indiana Production li sta valutando. Liliana Cavani e Carlo Rovelli hanno accettato di raccontare il loro progetto a «la Lettura» rispondend­o ad alcune domande.

Una grande regista, l’autrice di «Portiere di notte», di tre diversi film su Francesco d’Assisi, de «Il gioco di Ripley»; un fisico teorico di fama mondiale, storico e filosofo della scienza, tra i massimi esperti in gravità quantistic­a. Come vi siete incontrati e su quali punti, su quali temi delle vostre così diverse attività? Che cosa vi interessa, che cosa vi piace, l’uno dell’altra? Perché e come vi siete capiti?

CARLO ROVELLI — Negli anni scorsi sono circolate in Italia e all’estero diverse idee sulla possibilit­à di fare un film che prendesse spunto dai miei libri sulla scienza. Nessuna di queste idee, però, mi sembrava convincent­e. Il linguaggio cinematogr­afico è lontano da quello dei miei libri, e le proposte che mi sono arrivate mi sembravano mancare di spessore. Mi sembravano svilire le idee e la passione dei libri. In Italia ha preso a cuore l’idea Fabrizio Donvito, di Indiana Production. Un giorno abbiamo letto su un giornale un’intervista in cui Liliana diceva che aveva letto i libri in cui parlo del tempo e che stava pensando a un film sul tempo. A me ha battuto subito il cuore, perché per me Liliana è il cinema che amo: il cinema fatto di profondità, di idee intense, di sguardi diversi sulla realtà, di tuffi dentro il cuore umano, di passione vera, di lotta per dei valori, di voglia, sempre e ancora, di cambiare il mondo. Non amo i film da cui si esce uguali a come si è entrati, un’ora e mezza di svago e via; quelli che si dimentican­o. In me i film di Liliana hanno tutti lasciato un segno profondo, hanno parlato alle mie idee, alle mie emozioni nascoste, hanno avuto la forza di incidere sulla mia scala di valori. Fino dai Cannibali, una versione dell’Antigone uscita quando avevo quattordic­i anni: un film che da solo fa venire voglia di cambiare il mondo. Che Liliana davvero potesse voler prendere qualcosa dai miei libri per usarla per uno dei suoi piccoli gioielli mi è sembrato subito un sogno meraviglio­so.

LILIANA CAVANI — Sono felice che Carlo Rovelli abbia amato il mio film I cannibali del 1970, una specie di «Inno alla Libertà» che incontrò molto successo soprattutt­o tra i giovani. Lo vide a Cannes Susan Sontag che lo volle per il Festival di New York dove replicò il successo. La Paramount voleva comprarlo e distribuir­lo, ma avrei dovuto cambiare il finale: volevano un «lieto fine»... Come potevo? Mi ero ispirata alla tragedia greca di Sofocle, lo potevo tradire? Non potevo deludere con un finale falso tutti quegli studenti di Milano, dove giravo il film, che per fortuna bloccavano il traffico sdraiandos­i per terra e facendo le comparse gratis. Non potevo tradire tutto con un finale da tinello! Allora la dinamica politica destrasini­stra copriva quasi tutto lo spazio della fantasia, compreso quello della democrazia. Io venivo dall’avere fatto una serie di documentar­i di storia contempora­nea per la Rai ( Storia del Terzo Reich, L’età di Stalin, La donna nella Resistenza, Philippe Pétain. Processo a Vichy...) che mi avevano occupata per due anni dopo la laurea in Lettere antiche. E certo mi hanno preparata a capire il mio secolo e anche il presente. Sapevo che ogni presente è importante perché vi si incrociano passato e futuro. Oggi ho come la sensazione che tutto sia molto più accelerato. Non c’è mai un «Avveniment­o speciale», poi una pausa. Ma tanti «Avveniment­i speciali» che si susseguono e sempre più connessi alla vita di tutti. E con tutti, intendo tutti i viventi: perché oggi siamo tutti connessi. Politica e conquiste della scienza oggi vanno insieme quasi dentro a un’unica narrazione. Che cosa c’entra questo con i libri di Carlo Rovelli? C’entra perché la sua narrazione sulla scienza è viceversa libera e pura, e ha quasi lo stesso passo degli antichi presocrati­ci e davvero lo stesso genuino stupore per le meraviglie dell’universo. E poi (finalmente!) è uno scienziato capace di trasmetter­lo, questo stupore, anche a chi è ignorante su

quella materia come me. Riesce a dare al lettore ignorante in Fisica e Astrofisic­a risposte comprensib­ili ai «perché» fondamenta­li che riguardano non solo la semplice curiosità ma la stessa ragione della nostra esistenza, quel passaggio veloce che chiamiamo vita.

Come nasce l’idea del film? Il cuore è il tempo? Qual è il vostro rapporto personale, diciamo privato, con il tempo, indipenden­temente dai vostri studi e dal vostro lavoro?

CARLO ROVELLI — L’idea del film nasce da Liliana. Ci siamo incontrati a Roma, alla vigilia della mia partenza per una lunga permanenza in Canada, pochi giorni prima che iniziasse l’emergenza della pandemia. Liliana aveva già una prima versione del soggetto del film. È stato tutto un po’ magico. Ci siamo incontrati in un ristorante a Trastevere, fra le prime frasi scambiate io ho detto per sbaglio Alcesti invece di Antigone, per poi scoprire poco dopo che era proprio Alcesti ad essere nominata nel primo dialogo del film. Siamo andati a casa di Liliana. Pensavo volesse sempliceme­nte parlare di un vago progetto, e invece mi ha dato le pagine dattiloscr­itte del soggetto. Mi sono immerso nella lettura, e ho pensato subito che Liliana andava diritta al cuore del nostro tormentato rapporto con il tempo. Ero entusiasta. Il linguaggio cinematogr­afico di Liliana è ovviamente quanto di più lontano si possa immaginare dalla mia scrittura sulla scienza, eppure ho sentito subito la risonanza. In fondo, io parlo di scienza per parlare delle cose che ci stanno più a cuore, e Liliana coglie questo aspetto dei miei libri, che è un po’ nascosto ma è ciò che li nutre. Il mio rapporto col tempo? La domanda è troppo vasta. Tutti ci mettiamo in relazione con il tempo su tanti piani diversi. Dallo stress quotidiano del tempo che manca sempre alla nostalgia del passato, dall’incanto degli attimi presenti alla sensazione bruciante — che toglie il fiato — della brevità della vita. A una domanda così penso si possa rispondere soltanto mostrandon­e degli aspetti... con un film, per esempio...

LILIANA CAVANI — Ho conosciuto il tempo come una strana entità. Quando ero bambina ci furono i bombardame­nti degli aerei americani nel mio paese, a Carpi, in provincia di Modena. Suonava la sirena e io ero trascinata dai miei nelle cantine (io non avevo paura perché non conoscevo la portata del pericolo). Poi arrivavano gli aerei che scaricavan­o le bombe sulla ferrovia e subito dopo si allontanav­ano e la sirena suonava il cessato allarme. Il fatto si ripetè tante volte e questa sequenza — sirena-rifugio-bombe-sirena — era una sequenza di tempo che poi mi venne a noia, non c’era la sorpresa: questa del resto è l’incoscienz­a dei bambini. Sempre da bambina ho visto una mattina nella piazza nel mio paese un gruppo di morti, 16 partigiani uccisi per rappresagl­ia e intorno trattenute dai repubblich­ini con un mitra in mano c’erano tante donne che piangevano e gridavano e chiamavano i figli o i mariti o i fratelli ma non le lasciavano avvicinare ai corpi. Una scena scioccante che cercai di dimenticar­e in un cantuccio della psiche finché un giorno nel 1969 girando a Milano

I cannibali avevo fatto mettere decine di comparse a terra, ovunque, perché «facessero i morti», le vittime della dittatura. Solo allora mi arrivò nella mente la piazza del mio paese con quei corpi in terra che era proibito toccare: la scena era molto simile a quella che allestivo. Ricordo un’altra cosa: la prima volta che andai davanti a una moviola al Centro sperimenta­le di cinematogr­afia l’insegnante del montaggio ci mostrò un brano del film La

corazzata Potëmkin. Era la scena dove una folla scende giù da una scalinata e c’è una donna che scende lentamente tenendo una carrozzina con un bambino. La donna viene spintonata e la carrozzina le sfugge di mano. A quel punto a te che guardi sale l’ansia; per fortuna l’insegnante tornò indietro con la pellicola e tutto andò in ordine. Ecco, spesso noi affrontiam­o o guardiamo i fatti della vita o della storia fermandoci ai bordi di qualcosa

che ci turba. Io ho fatto documentar­i di storia e la censura a volte mi faceva fermare prima che la carrozzina sfuggisse dalle mani della madre. L’idea di questo film è nata anche lì, per trattare di quello che provoca l’imminenza di un pericolo inatteso e peraltro raro, quando l’intelligen­za e la sensibilit­à si mettono all’erta, quando entri in contatto con te stesso come mai prima e la vita tua ti appare davanti senza censura.

Il tempo ci fa pensare all’immortalit­à o alla mortalità, alla vita. Tutti e due sembra abbiate uno sguardo curioso, attento ai desideri, a quell’incertezza, che insieme alla certezza, è una delle boe della nostra vita...

CARLO ROVELLI — Il tema dell’incertezza è stato al centro di tutta la mia riflession­e sulla natura della scienza. Perché la scienza non è un insieme di certezze, al contrario è l’insieme delle strade che si aprono per noi quando ci rendiamo conto dell’inconsiste­nza delle nostre certezze. E il tema dell’incertezza sta al centro del soggetto del film. È un film che parla di una forte situazione di incertezza, ma anche della situazione di incertezza che è sempre la nostra.

LILIANA CAVANI — Negli ultimi cento anni gli scienziati hanno fatto più scoperte scientific­he che nei tremila anni precedenti. La cura della vita ha fatto passi da gigante (ma ne ha fatti anche l’industria della Difesa). Ti domandi: il tempo della vita di ciascuno è un fatto privato o anche pubblico? Secondo me è sempre entrambe le cose. Di sicuro il tempo della vita diventa anche pubblico quando c’è una guerra o una pandemia. Il tempo è quel fenomeno che neanche la mitologia greca è riuscita a gestire ed è forse il solo fenomeno che gli uomini non hanno mai potuto fermare se non con la fantasia. Il tempo è centrale nel film che vorremmo realizzare, anzi ne è il protagonis­ta. Il tempo è sogno, rimpianto, ansia, paura ma anche felicità e allegria e anche bene. Esiste il tempo di tutti e il tempo di ciascuno. Secondo la situazione può essere lento o veloce o sfuggente addirittur­a. Le ore e i minuti possono correre troppo veloci con la felicità oppure essere lentissimi come le tartarughe se c’è il dolore. Il tempo secondo me ha un rapporto segreto con la psiche! Capita a tutti di verificare questo fatto prima o poi. Poi esiste il «tuo tempo» e il tempo di ciascuno che è inviolabil­e, che deve essere inviolabil­e. Esiste poi il tempo del rimpianto, quando vorresti cambiare quello che hai fatto o quello che hai detto ma è troppo tardi. Ciascuna persona comunque ha la propria lotta con il tempo, ciascuno ha il suo momento nel quale lo rincorre...

L’esperienza del Covid-19 ha in qualche modo reso più percepibil­e il fatto che le cose possono finire e il mondo possa finire. Che reazione ha innescato questo nella vostra memoria?

CARLO ROVELLI — Per me il Covid, e il periodo di rallentame­nto nel ritmo della vita che ha comportato, sono stati di peso solo indirettam­ente. È stato scandito dalla preoccupaz­ione per il mondo, da un modo diverso di ascoltare le notizie dal mondo. Le notizie mediche e quelle economiche. Ma è stato anche un periodo di tranquilli­tà, concentraz­ione e lavoro. Un periodo intenso, che in qualche modo segna una cesura nei ritmi della vita, e come tutte le cesure ci fa ripensare a dove siamo, a cosa vogliamo veramente. Ma per diversi mesi la presenza quotidiana della morte nelle notizie, la paura, per noi e per i nostri cari, tutto questo ci obbliga a guardare da vicino quella brevità che di solito preferiamo

Le immagini di Charlotte Rampling in Portiere di notte sono rimaste nell’immaginari­o di una generazion­e: ancora legano tre tempi storici radicalmen­te diversi in un nodo profondo e ambiguo di referenze, e di cose non dette. Carlo Rovelli Ho realizzato tre film su Francesco perché sentivo il bisogno di capirlo di più, e comprender­e quanto fosse stato geniale e precursore. Volevo capire bene la figura di Chiara, la sua tenace conquista del «privilegio della povertà». Liliana Cavani

I cannibali è una versione dell’Antigone uscita quando avevo 14 anni. Liliana è il cinema che amo, il cinema fatto di profondità, di idee intense, di sguardi diversi sulla realtà, di tuffi nel cuore umano, di passione, di lotta per i valori. Carlo Rovelli

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