Corriere della Sera - La Lettura

Il divino si manifesta perché proprio qui abita il nostro limite

Geografie spirituali L’Egitto e l’Esodo nella Bibbia, Gesù che sconfigge Satana, la chiamata di Maometto

- Di PIERO STEFANI

Il deserto rende manifesto il limite umano. Per questo motivo in esso risuona la voce dell’infinito. Il vivente per sussistere ha bisogno di entrare in relazione con l’«altro da sé». Necessita del sole, dell’aria, dell’acqua, del cibo. Nel deserto queste realtà sono o troppo vigorose o troppo scarse. I raggi solari sono eccessivam­ente potenti, se vi è sabbia e vento l’aria diviene irrespirab­ile, il suolo arido non produce frutti, l’acqua è concentrat­a in sperdute oasi, altrove tutto è arido. Se un individuo si perde nel deserto il suo destino è segnato. Immanuel Kant parla di due cose che riempiono il suo animo di ammirazion­e e venerazion­e sempre nuove: il cielo stellato sopra di lui e la legge morale in lui. L’occhio vedeva moltitudin­i di stelle, ma il filosofo sapeva che quanto da lui scorto era ben poca cosa: il pianeta Terra è un puntino nell’universo. In prospettiv­a fisica siamo un nulla; è soltanto la legge morale a dischiuder­ci l’infinito. Anche nel deserto di notte le stelle sono fitte e fulgide; tuttavia nella narrazione fondante del popolo ebraico, quella dell’esodo, il cielo notturno non svolge alcun ruolo. Per Israele più di uno stupefatto contemplar­e conta un incerto vagabondar­e. Nel deserto del Sinai, per superare una distanza di poco più di 200 chilometri, al popolo ebraico occorsero quarant’anni.

La Legge ebbe e ha un gran peso; tuttavia, per quanto si ragioni e si scruti, non la si trova dentro di noi. La Legge giunge dal di fuori, è stata infatti rivelata da Dio, tramite Mosè, sul monte Sinai. Nel cuore del deserto le parole scendono dall’alto. Il deserto mette a nudo il limite umano e perciò dischiude al divino. È così quando c’è l’esperienza di una meraviglia sospesa tra l’interrogat­ivo «chi siamo?» e la sete d’infinito avvertita dentro di noi. La Bibbia non ignora questo stato d’animo (al riguardo basta leggere il Salmo 8), esso però non ha a che fare con il deserto. Fin dalla sua prima comparsa, legata alla rivelazion­e del Signore a Mosè avvenuta al roveto ardente ( Eso

do 3-4), ci si muove in una direzione opposta: non è l’animo umano a dischiuder­si al divino, ma è il Signore, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, a prendersi cura dell’umano. Dall’Horeb (altro nome per il Sinai) il Signore invia Mosè a liberare il suo popolo dalla schiavitù egizia.

Il Dio che si manifesta nella solitudine desertica si preoccupa del suo popolo.

Dopo l’uscita dall’Egitto, la vicenda che si svolge nel deserto è per Israele una storia collettiva. In luoghi remoti e inospitali non c’è mai stata tanta gente. Collettiva­mente si è nel bisogno di acqua (miracolosa­mente uscita dalla roccia), di cibo (la manna e le quaglie): senza l’assistenza diretta di Dio non si procedereb­be. Come popolo si riceve la Legge che si occupa, non a caso, soprattutt­o dei rapporti interperso­nali (basti pensare ai Dieci comandamen­ti). Come collettivi­tà si è messi di fronte a prove di solito non superate. L’espression­e «vitello d’oro» è tuttora caricata di riconoscib­ili significat­i simbolici.

Tutto, nel bene e nel male, sembra concentrar­si nel deserto, compresa, paradossal­mente, la promessa di uscirne per giungere alla terra dove scorrono latte e miele. Una volta giunti nel paese, attraverso la voce dei profeti, si sarebbe avuta, però, una specie di nostalgia di quel tempo iniziale che pur fu duro e drammatico: quasi tutti, compreso Mosè, morirono prima di giungere alla terra. Per Israele l’imprinting dell’origine resta incancella­bile. Mosè ed Elia digiunaron­o 40 giorni nel deserto, dopo di che entrambi incontraro­no Dio. I Vangeli invece ci raccontano che Gesù, alla fine del soggiorno desertico, si scontrò con il diavolo. Non è differenza da poco. Le tentazioni però servirono ad affermare, di fronte all’«avversario», l’unicità di

Dio, il solo che va adorato e a cui va reso culto (Matteo 4,10). In queste parole è racchiusa la sconfitta di Satana. Subito dopo Gesù iniziò la sua missione di predicare alla gente la conversion­e e la prossimità del regno.

Nella tradizione biblica e in quella coranica il deserto è un luogo dal quale si è inviati. Fu così anche per Maometto, il profeta dell’islam. I primi versetti coranici furono fatti scendere su di lui a opera di Gabriele quando si trovava in una caverna desertica. A Maometto fu rivelato che egli ora era l’«Inviato» ( Rasul) di Allah. Anche lui, lungi dal restare nel deserto, sarebbe andato verso altri esseri umani.

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