Corriere della Sera - La Lettura
Il divino si manifesta perché proprio qui abita il nostro limite
Geografie spirituali L’Egitto e l’Esodo nella Bibbia, Gesù che sconfigge Satana, la chiamata di Maometto
Il deserto rende manifesto il limite umano. Per questo motivo in esso risuona la voce dell’infinito. Il vivente per sussistere ha bisogno di entrare in relazione con l’«altro da sé». Necessita del sole, dell’aria, dell’acqua, del cibo. Nel deserto queste realtà sono o troppo vigorose o troppo scarse. I raggi solari sono eccessivamente potenti, se vi è sabbia e vento l’aria diviene irrespirabile, il suolo arido non produce frutti, l’acqua è concentrata in sperdute oasi, altrove tutto è arido. Se un individuo si perde nel deserto il suo destino è segnato. Immanuel Kant parla di due cose che riempiono il suo animo di ammirazione e venerazione sempre nuove: il cielo stellato sopra di lui e la legge morale in lui. L’occhio vedeva moltitudini di stelle, ma il filosofo sapeva che quanto da lui scorto era ben poca cosa: il pianeta Terra è un puntino nell’universo. In prospettiva fisica siamo un nulla; è soltanto la legge morale a dischiuderci l’infinito. Anche nel deserto di notte le stelle sono fitte e fulgide; tuttavia nella narrazione fondante del popolo ebraico, quella dell’esodo, il cielo notturno non svolge alcun ruolo. Per Israele più di uno stupefatto contemplare conta un incerto vagabondare. Nel deserto del Sinai, per superare una distanza di poco più di 200 chilometri, al popolo ebraico occorsero quarant’anni.
La Legge ebbe e ha un gran peso; tuttavia, per quanto si ragioni e si scruti, non la si trova dentro di noi. La Legge giunge dal di fuori, è stata infatti rivelata da Dio, tramite Mosè, sul monte Sinai. Nel cuore del deserto le parole scendono dall’alto. Il deserto mette a nudo il limite umano e perciò dischiude al divino. È così quando c’è l’esperienza di una meraviglia sospesa tra l’interrogativo «chi siamo?» e la sete d’infinito avvertita dentro di noi. La Bibbia non ignora questo stato d’animo (al riguardo basta leggere il Salmo 8), esso però non ha a che fare con il deserto. Fin dalla sua prima comparsa, legata alla rivelazione del Signore a Mosè avvenuta al roveto ardente ( Eso
do 3-4), ci si muove in una direzione opposta: non è l’animo umano a dischiudersi al divino, ma è il Signore, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, a prendersi cura dell’umano. Dall’Horeb (altro nome per il Sinai) il Signore invia Mosè a liberare il suo popolo dalla schiavitù egizia.
Il Dio che si manifesta nella solitudine desertica si preoccupa del suo popolo.
Dopo l’uscita dall’Egitto, la vicenda che si svolge nel deserto è per Israele una storia collettiva. In luoghi remoti e inospitali non c’è mai stata tanta gente. Collettivamente si è nel bisogno di acqua (miracolosamente uscita dalla roccia), di cibo (la manna e le quaglie): senza l’assistenza diretta di Dio non si procederebbe. Come popolo si riceve la Legge che si occupa, non a caso, soprattutto dei rapporti interpersonali (basti pensare ai Dieci comandamenti). Come collettività si è messi di fronte a prove di solito non superate. L’espressione «vitello d’oro» è tuttora caricata di riconoscibili significati simbolici.
Tutto, nel bene e nel male, sembra concentrarsi nel deserto, compresa, paradossalmente, la promessa di uscirne per giungere alla terra dove scorrono latte e miele. Una volta giunti nel paese, attraverso la voce dei profeti, si sarebbe avuta, però, una specie di nostalgia di quel tempo iniziale che pur fu duro e drammatico: quasi tutti, compreso Mosè, morirono prima di giungere alla terra. Per Israele l’imprinting dell’origine resta incancellabile. Mosè ed Elia digiunarono 40 giorni nel deserto, dopo di che entrambi incontrarono Dio. I Vangeli invece ci raccontano che Gesù, alla fine del soggiorno desertico, si scontrò con il diavolo. Non è differenza da poco. Le tentazioni però servirono ad affermare, di fronte all’«avversario», l’unicità di
Dio, il solo che va adorato e a cui va reso culto (Matteo 4,10). In queste parole è racchiusa la sconfitta di Satana. Subito dopo Gesù iniziò la sua missione di predicare alla gente la conversione e la prossimità del regno.
Nella tradizione biblica e in quella coranica il deserto è un luogo dal quale si è inviati. Fu così anche per Maometto, il profeta dell’islam. I primi versetti coranici furono fatti scendere su di lui a opera di Gabriele quando si trovava in una caverna desertica. A Maometto fu rivelato che egli ora era l’«Inviato» ( Rasul) di Allah. Anche lui, lungi dal restare nel deserto, sarebbe andato verso altri esseri umani.