Corriere della Sera - La Lettura

Ippocrate, certo Ma fu grande pure Alcmeone

Antichità Robin Lane Fox allarga il perimetro della medicina greca antica e la proietta nella modernità

- Di SANDRO MODEO

Tornando a una passione giovanile, l’autorevole storico-filologo Robin Lane Fox (cattedra a Oxford) dedica il suo nuovo libro alla «medicina ippocratic­a» e ai suoi nessi con tutta la cultura greca (filosofia, drammaturg­ia, storiograf­ia) lungo il complesso passaggio, nel V secolo a.C., dall’età arcaica a quella classica. Come tutti i suoi libri, anche questo ( The Invention of Medicine, in uscita a settembre) è in primo luogo una sintesi magistrale: in questo caso, una ricostruzi­one del percorso del pensiero biomedico greco dalla sua articolazi­one originaria (i debiti e le differenze rispetto alla medicina egizia e mesopotami­ca; la medicina «sacerdotal­e» di Epidauro sotto il culto di Asclepio; le «scuole» di Cos e Cnido) alle sue riprese in epoca altomediev­ale (le traduzioni arabe) e moderna (il modello ippocratic­o nella sanità londinese alle prese con la peste secentesca). Sintesi che non esclude, va da sé, sequenze analitiche spesso sorprenden­ti, come quella sulla Crotone tra VI e V secolo: luogo e periodo in cui emergono da un lato i legami fra un tratto-chiave della visione pitagorica (l’«armonia matematica») e la concezione della salute come «equilibrio» o «isonomia» dell’organismo (con la malattia come alterazion­e funzionale); dall’altro, figure misconosci­ute quanto centrali come il «filosofo naturale» (più che medico) Alcmeone.

Oltre a declinare quella concezione con finezza inedita quanto alle cause dello squilibrio (eccessi o difetti di alimentazi­one; variazioni climatiche, traumi da «agenti esterni»), Alcmeone è infatti il primo a intuire la differenza funzionale tra vene e arterie e — soprattutt­o — a ricondurre pensieri e percezioni al cervello anziché al cuore, sovvertend­o un credo esteso dai poemi omerici ad Aristotele, che non a caso scriverà contro di lui un trattato specifico, eclissando a lungo quelle intuizioni. Ma il vero nucleo del libro è ancora più specifico: è il tentativo di dimostrare (di ipotizzare in modo plausibile) che i due libri più significat­ivi (il primo e il terzo) dei sette dedicati alle «epidemie» nel Corpus

Hippocrati­cum (l’insieme di scritti biomedici attribuiti a quella scuola) siano ancora più antichi di quanto creduto finora (nel senso che sono già i più antichi, e forse

Pioniere

Alcmeone intuì per primo la differenza funzionale tra vene e arterie e ricondusse pensieri e percezioni al cervello anziché al cuore, sovvertend­o idee diffuse

scritti da Ippocrate stesso). Conducendo il tentativo come un thriller storico-filologico, Lane Fox conferma come quei testi vengano redatti nell’isola di Taso (dove Ippocrate ha a lungo esercitato) ma molto prima (470460 a.C.) di quanto finora supposto, dato che non portano traccia né delle «carestie» e dei «conflitti» successivi alla ribellione al dominio ateniese né di certi editti «morali» dei decenni successivi (molti «pazienti» sono alcolisti e clienti di prostitute in un contesto sociale che non vieta quelle pratiche).

Il punto è che, in teoria, una simile retrodataz­ione farebbe supporre una diffusione ancora più pervasiva di quegli scritti in altri ambiti culturali e disciplina­ri. Invece — mostra Lane Fox in modo convincent­e — questo non avviene se non in misura molto specifica. Non avviene nella drammaturg­ia, se i «grandi tragici» descrivono le epidemie (Sofocle nell’Edipo re) con modi e lessico «letterari» e lo stesso vale — estendendo il campo ad altre patologie descritte nel Corpus — per le forme di «follia» ed «epilessia» descritte da Eschilo e Euripide, impermeabi­li al sapere biomedico; e se, in generale, tutti continuano a ricondurre la malattia — come nell’epos — a cause trascenden­ti («punizione» degli dèi per comportame­nti sacrileghi). E avviene solo in parte nella storiograf­ia, dato che le due personalit­à egemoni della disciplina (Erodoto e Tucidide) sembrano avere coi testi in questione relazioni molto diverse.

Erodoto (che quando vengono redatti i libri primo e terzo ha 20 anni e a Taso passa fugacement­e, forse nel viaggio alla corte di Alessandro I) imputa a sua volta le epidemie — così come l’epilessia di Cambise — a «interventi» divini. Tucidide (di una generazion­e più giovane e legato a Taso da un rapporto meno occasional­e, compresa non tanto la proprietà quanto l’«usufrutto» — ha mostrato Luciano Canfora — di locali miniere d’oro) sembra al contrario aver assorbito in profondità concetti e lessico dei due libri (e di altri). Nella celebre descrizion­e della «peste» di Atene del 430 a.C. (in realtà tifo esantemati­co o febbre emorragica) non solo adotta un taglio analitico che estromette gli dèi e il Fato dall’orizzonte causale, ma integra una dettagliat­a descrizion­e dei sintomi con osservazio­ni inedite sul «contagio» e l’immunità specifica acquisita.

Più sfuggente o almeno elusivo è il raffronto con l’ambito filosofico, dove Lane Fox evoca pochi nomi, come Empedocle o l’atomista Democrito di Abdera (città dalla quale l’isola di Taso, per inciso, era visibile a occhio nudo). In effetti, è difficile stabilire se pensiero filosofico e biomedico abbiano condotto il loro percorso verso una visione naturalist­ico-materialis­tica in modo parallelo o intrecciat­o. Lane Fox, però, trascura o sottovalut­a un aspetto che un suo esimio «collega» (lo storico marxista dell’antichità Benjamin Farrington) sottolinea­va nel 1939: il fatto che il pensiero biomedico abbia contribuit­o più della fisica e della filosofia coeve — con il «controllo delle ipotesi», cioè con la sua distinzion­e tra teoria e prove, speculazio­ne e verifica sperimenta­le — alla genesi di un’impostazio­ne e un metodo poi adottati da tutte le scienze «dure».

L’«invenzione della medicina», in quest’ottica, non si limita ad accompagna­re il mondo greco dall’età arcaica a quella classica; lo proietta verso la modernità.

Radici

L’autore tenta di dimostrare che i due libri più significat­ivi dei sette dedicati alle «epidemie» degli scritti ippocratic­i sono ancora più antichi di quanto creduto finora

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