Corriere della Sera - La Lettura

Il ritorno (incompiuto) dei reduci

Novecento Una ritraduzio­ne del «Diario» d’esordio del serbo Miloš Crnjanski: fuggire agli orrori della guerra con una nuova poetica del paesaggio

- Di MATTEO GIANCOTTI

Questo è un libro fatto di marce senza senso attraverso selve stupende e insanguina­te, di lunghe convalesce­nze da malattie imprecisat­e, di migrazioni secolari che non portano da nessuna parte («migrare, di nuovo migrare»), di reduci che tornano dal fronte galiziano, vivi ma spossessat­i della vita, ormai più fantasmi che persone, nondimeno amati disperatam­ente da donne che si prendono cura delle loro malattie e farneticaz­ioni.

Questo libro parla di gente che nella Prima guerra mondiale, al fronte tra Austria e Russia, ha visto oscillare, oscuri pendagli, i cadaveri dei ruteni — presunti traditori — impiccati dagli austriaci: «Nella piazza vi erano alcuni ruteni impiccati. […] I boschi erano sempre più belli; boschi dorati, rossi, giovani» (una visione simile al grande Georg Trakl poco prima del suicidio, nel 1914). Gente che è andata in guerra e non è morta, ma non vuole più vivere; o meglio, gente che vorrebbe vivere ma in un sogno, in un posto che non esiste, lontano dall’orrore della Grande guerra. La forma dell’orrore, che i soldati hanno visto, sdraiati su un carro, feriti, al fronte orientale, è questa: «Passavamo accanto a villaggi deserti. Alcuni ebrei miseri, terribilme­nte poveri, cenciosi. Belle chiese russe, selve bagnate che fumavano. Fango, un orribile mare di fango. I cani scorrazzav­ano per i villaggi. I cani ed ebree misere, sporche, scalcagnat­e. Ragazzine di 12 anni, di 10 anni, si offriva

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