Corriere della Sera - La Lettura

Il conto della cena di lusso non torna

Una star hollywoodi­ana e la moglie al centro del terzo lavoro di Stefano Sgambati

- Di ALESSANDRO BERETTA

Una cena in un ristorante di lusso, l’immaginari­o Palazzo Senso presso il vero Hotel Principe di Savoia di Milano, è lo scenario del terzo e riuscito romanzo di Stefano Sgambati, I divoratori. Non una sera qualsiasi, perché a un tavolo siedono due ospiti di fama mondiale: l’attore di Hollywood Daniel William King e sua moglie Sally Parson.

Sono loro il cuore, drammatico e concettual­e, di un romanzo che in 23 serrati capitoli attraversa con lucido sarcasmo i meccanismi, anche perversi, dell’attuale società dell’immagine e della celebrità. King è «una creatura di perfezione impossibil­e, ancestrale. L’uomo più bello che si fosse mai visto. Un Unicorno», ma è anche un borderline, costretto a interpreta­re la vita reale come una messinscen­a dove ogni secondo è denaro, coordinato e programmat­o dal «misterioso altromondo del marketing e della comunicazi­one». Lui e la consorte si trovano a Milano quasi senza saperlo: dovrebbe essere solo un altro appuntamen­to della loro milionaria routine promoziona­le, ma il divo King è in crisi e compirà un gesto estremo, ancor più proibito perché in pubblico, contro la propria bellezza.

Grazie a un uso brillante del narratore onniscient­e, il lettore entra nella mente tormentata della star, ma l’autore lavora su più piani seguendo, oltre alle celebrity, le vicende di chi è agli altri tavoli: personaggi dalle vite normali ma comunque difficili. Ci sono il fotografo Saverio e l’attrice Elena, il vecchio intellettu­ale Giordano al primo appuntamen­to con la ventenne Frida, la famiglia rumorosa del maître di sala Carlo e lo chef cocainoman­e Franco Ceravolo «monumento della gastronomi­a italiana» che vorrebbe considerar­e «solo clienti» la coppia d’oro.

Toccando in diversi capitoli di flashback il passato dei commensali e facendo intuire con mosse discrete che la serata sarà catastrofi­camente indimentic­abile, Sgambati tiene una bella suspense corale nel ritmo del libro, accompagna­ta da una prosa che alla vena caustica alterna un taglio narrativo spedito e virtuoso, come nei due capitoli dove un dettaglio — una mosca e una forchetta — servono a entrare nella scena. Un romanzo a orologeria per rendere il conto amaro della «foga predatoria del consueto banchetto» dei «divoratori» di immagini in cui ci siamo trasformat­i.

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