Corriere della Sera - La Lettura
L’oro e il nero
Fabrizio Plessi ha immaginato 15 cascate di led che riempiranno di bagliori le finestre del Museo Correr a Venezia con le parole «Pax
tibi» , pace a te. Poi, a Ca’ Pesaro, una mostra con lo stesso elemento: solo questo metallo può sconfiggere il buio della pandemia
L’oro e il nero: «Erano i colori, gli unici colori, che chiedevo a mia figlia di comprarmi durante la pandemia, mentre ero chiuso nel mio studio a lavorare, gli unici che potevo utilizzare perché questo momento così terribile, ma anche così unico, non passasse inosservato». Se per Eva Lindquist, l’altera (e molto snob) protagonista del più recente romanzo di David Leavitt ( Il
decoro, appena uscito in Italia da Sem), Venezia è il posto giusto «per cercare un nuovo modo di immaginare il mondo» dopo l’elezione di Donald Trump, per Fabrizio Plessi, grande pioniere della videoarte italiana (80 anni compiuti il 3 aprile) Venezia è invece il luogo perfetto per celebrare «l’incorruttibile bellezza che a tutto sopravvive». Grazie al suo oro, lo stesso oro dei mosaici bizantini di San Marco, unico elemento capace, appunto, di sconfiggere il profondo nero di un momento che Plessi definisce «buio».
Di oro e di nero Plessi, che dall’età di 14 anni ha scelto Venezia come propria città di elezione, ha così riempito durante la clausura imposta dal lockdown fogli e fogli di disegni, di progetti, di emozioni, spesso rileggendo suoi precedenti lavori: «Ho sentito un’esigenza profonda di creare — spiega a “la Lettura” — come non mi era forse mai successo prima». Perché? «Perché prima di tutto volevo che di questo momento, per quanto complicato, rimanesse traccia e poi perché questa è una stagione per me importantissima, visto che ho appena compiuto ottant’anni e mi sembrava l’attimo perfetto per rendere omaggio alla mia Venezia che mi ha fatto suo da subito, sin da quando sono arrivato da Reggio Emilia per studiare al liceo artistico e poi all’Accademia».
Il momento speciale di Plessi e di Venezia si trasformerà dal 1° settembre (e fino al 15 novembre) in un’installazione che si preannuncia di grande effetto scenografico: 15 cascate d’oro «senza origine né fine» in un
loop continuo; 15 cascate d’oro in versione led che giorno e notte illumineranno, riempiendole senza invadere l’architettura circostante, le 15 finestre del Museo Correr, nel lato di piazza San Marco (che vent’anni fa aveva già ospitato l’istallazione di Plessi Waterfire) opposto alla Basilica. Curata da Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia, e da Elisabetta Barisoni, responsabile della Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro, l’installazione ha un titolo che ben riassume il senso del progetto: Fabrizio Plessi. L’età dell’oro. Citazione classica evergreen (Esiodo, Virgilio, Ovidio, Tibullo, Dante, Iacopo Sannazzaro, ma L’età dell’oro è anche il titolo della controstoria americana di Gore Vidal e dei dipinti di Pietro da Cortona e Ingres) oltre che rimando allo sponsor principale dell’evento (la maison del lusso Dior) che Plessi qui utilizza per celebrare «l’oro non come simbolo di corruzione ma, al contrario, di incorruttibilità». Stabilendo così un filo diretto con i mosaici dorati della Basilica di San Marco: il Cristo Pantocratore, le Storie del l ’ Anti co Test a mento, i Santi, gli Apostoli, gli Evangelisti.
Proprio agli Evangelisti, e in particolare a Marco con il suo Leone alato che tiene tra le zampe un Vangelo che recita Pax tibi, Marce, evangelista meus, Plessi affida un a l t r o f r a mmento d e l s u o progetto per Venezia: «Mentre stavo lavorando all’installazione per il Correr — spiega — ho capito che con l’oro potevo fare di più, far diventare la mia opera qualcosa di evangelico», capace di andare ben oltre una suggestione visiva per quanto forte. In quelle cascate d’oro digitali è stata così racchiusa proprio la scritta Pax tibi, incipit della locuzione stampata sul Vangelo che il leone veneziano tiene tra le zampe, che ogni 20 minuti illuminerà quelle cascate d’oro di una luce ancora più forte. Di una luce immateriale, spirituale, trascendentale.
« Pax tibi è il mio modo — aggiunge Plessi — per augurare pace anche a Venezia, luogo senza tempo come l’oro». Ma l’oro a Venezia non è il semplice «elemento chimico di numero atomico 79, metallo di transizione tenero, pesante, duttile, malleabile di colore giallo, peso atomico 196,96655, tradizionalmente utilizzato per monete, gioielli, protesi dentali», ma anche il simbolo di un modo diverso (è più terreno) del sapere: di quella sapienza artigiana dei doratori che Fabrizio Plessi ha scelto «di tradurre in un flusso digitale contemporaneo con l’intenzione di saldare l’apparente opposizione fra elementi primordiali e tecnologie, tra natura e artificio, tra futuro e tradizione». E, stavolta, l’oro sigla, in qualche modo, anche un’evoluzione mistica (ulteriormente sottolineata dalla colonna sonora di Michael
Nyman): «Ho voluto caricare la tecnologia digitale e i led di un significato nuovo, non più qualcosa di ingiustamente ritenuto freddo e quasi ospedaliero, ma qualcosa di ascetico, come la cosa materiale più vicina a Dio».
Plessi è da sempre considerato maestro assoluto nell’uso dei monitor come fossero tele su cui dipingere: i suoi primi lavori vengono esposti nel Padiglione sperimentale della XXXV Biennale di Venezia, del 1973 è la personale Acquabiografico alla Galleria Vinciana di Milano con i suoi lavori che hanno per tema l’acqua. Un pioniere capace di integrare il video con l’architettura e con «materiali primari» come carbone, legno, marmo, travertino o ferro (anche se per lui l’acqua, un’acqua sempre e comunque in dimensione digitale, resta uno degli elementi essenziali della sua ispirazione) che continua a credere che «la tecnologia è una materia umanizzata con cui convivere piuttosto che lottare».
Un atteggiamento che, da una parte, ha prodotto installazioni come il Mare verticale ai Giardini della Biennale del 2005: una barca disposta verticalmente che emergeva dall’acqua (stavolta della Laguna) per 44 metri di altezza e percorsa da una cascata d’acqua tecnologica. Dall’altra, una serie di lavori site specific nella Valle dei Templi di Agrigento o nella Sala dei Giganti di Palazzo Te a Mantova. Anche se alla base di tutto (delle scenografie elettroniche per L’opera da tre soldi o del
Sogno di una notte di mezza estate come il «Plessi Museum» inaugurato nel 2013 al Passo del Brennero) resta comunque l’infinita passione di Plessi per il disegno (finora ne ha realizzati oltre 15 mila mentre sono 130 i progetti messi in piedi durante la pandemia).
Una passione che, nei lunghi giorni del lockdown, ha portato Plessi a ridisegnare, ancora una volta nel segno dell’oro e del nero, molti suoi classici, protagonisti in autunno della grande monografica in programma alla Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro che aprirà subito dopo la chiusura dell’installazione di Palazzo Correr. Il titolo sarà lo stesso ( Fabrizio Plessi. L’età dell’oro). Perché? «Perché l’oro è il colore ideale per festeggiare i miei ottant’anni e rendere omaggio, senza nostalgia, all’eterna, incorruttibile bellezza di Venezia, una bellezza capace di sopravvivere anche al nero di questo tempo buio». Perché, Plessi ne è sempre più convinto, «l’immateriale tecnologico del led non nasconde la realtà, ma piuttosto la può rendere ancora più evidente».
Ma era proprio necessario rileggere i suoi classici? «È stata una mia esigenza, quei lavori non sono repliche ma opere diverse, completamente nuove. Il motivo? La vecchiaia comincia soltanto quando i rimpianti si sostituiscono ai sogni — conclude — e io, di sogni, ne ho ancora tantissimi, forse ancora di più di quando avevo 14 anni».