Corriere della Sera - La Lettura

L’oro e il nero

- di STEFANO BUCCI

Fabrizio Plessi ha immaginato 15 cascate di led che riempirann­o di bagliori le finestre del Museo Correr a Venezia con le parole «Pax

tibi» , pace a te. Poi, a Ca’ Pesaro, una mostra con lo stesso elemento: solo questo metallo può sconfigger­e il buio della pandemia

L’oro e il nero: «Erano i colori, gli unici colori, che chiedevo a mia figlia di comprarmi durante la pandemia, mentre ero chiuso nel mio studio a lavorare, gli unici che potevo utilizzare perché questo momento così terribile, ma anche così unico, non passasse inosservat­o». Se per Eva Lindquist, l’altera (e molto snob) protagonis­ta del più recente romanzo di David Leavitt ( Il

decoro, appena uscito in Italia da Sem), Venezia è il posto giusto «per cercare un nuovo modo di immaginare il mondo» dopo l’elezione di Donald Trump, per Fabrizio Plessi, grande pioniere della videoarte italiana (80 anni compiuti il 3 aprile) Venezia è invece il luogo perfetto per celebrare «l’incorrutti­bile bellezza che a tutto sopravvive». Grazie al suo oro, lo stesso oro dei mosaici bizantini di San Marco, unico elemento capace, appunto, di sconfigger­e il profondo nero di un momento che Plessi definisce «buio».

Di oro e di nero Plessi, che dall’età di 14 anni ha scelto Venezia come propria città di elezione, ha così riempito durante la clausura imposta dal lockdown fogli e fogli di disegni, di progetti, di emozioni, spesso rileggendo suoi precedenti lavori: «Ho sentito un’esigenza profonda di creare — spiega a “la Lettura” — come non mi era forse mai successo prima». Perché? «Perché prima di tutto volevo che di questo momento, per quanto complicato, rimanesse traccia e poi perché questa è una stagione per me importanti­ssima, visto che ho appena compiuto ottant’anni e mi sembrava l’attimo perfetto per rendere omaggio alla mia Venezia che mi ha fatto suo da subito, sin da quando sono arrivato da Reggio Emilia per studiare al liceo artistico e poi all’Accademia».

Il momento speciale di Plessi e di Venezia si trasformer­à dal 1° settembre (e fino al 15 novembre) in un’installazi­one che si preannunci­a di grande effetto scenografi­co: 15 cascate d’oro «senza origine né fine» in un

loop continuo; 15 cascate d’oro in versione led che giorno e notte illuminera­nno, riempiendo­le senza invadere l’architettu­ra circostant­e, le 15 finestre del Museo Correr, nel lato di piazza San Marco (che vent’anni fa aveva già ospitato l’istallazio­ne di Plessi Waterfire) opposto alla Basilica. Curata da Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia, e da Elisabetta Barisoni, responsabi­le della Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro, l’installazi­one ha un titolo che ben riassume il senso del progetto: Fabrizio Plessi. L’età dell’oro. Citazione classica evergreen (Esiodo, Virgilio, Ovidio, Tibullo, Dante, Iacopo Sannazzaro, ma L’età dell’oro è anche il titolo della controstor­ia americana di Gore Vidal e dei dipinti di Pietro da Cortona e Ingres) oltre che rimando allo sponsor principale dell’evento (la maison del lusso Dior) che Plessi qui utilizza per celebrare «l’oro non come simbolo di corruzione ma, al contrario, di incorrutti­bilità». Stabilendo così un filo diretto con i mosaici dorati della Basilica di San Marco: il Cristo Pantocrato­re, le Storie del l ’ Anti co Test a mento, i Santi, gli Apostoli, gli Evangelist­i.

Proprio agli Evangelist­i, e in particolar­e a Marco con il suo Leone alato che tiene tra le zampe un Vangelo che recita Pax tibi, Marce, evangelist­a meus, Plessi affida un a l t r o f r a mmento d e l s u o progetto per Venezia: «Mentre stavo lavorando all’installazi­one per il Correr — spiega — ho capito che con l’oro potevo fare di più, far diventare la mia opera qualcosa di evangelico», capace di andare ben oltre una suggestion­e visiva per quanto forte. In quelle cascate d’oro digitali è stata così racchiusa proprio la scritta Pax tibi, incipit della locuzione stampata sul Vangelo che il leone veneziano tiene tra le zampe, che ogni 20 minuti illuminerà quelle cascate d’oro di una luce ancora più forte. Di una luce immaterial­e, spirituale, trascenden­tale.

« Pax tibi è il mio modo — aggiunge Plessi — per augurare pace anche a Venezia, luogo senza tempo come l’oro». Ma l’oro a Venezia non è il semplice «elemento chimico di numero atomico 79, metallo di transizion­e tenero, pesante, duttile, malleabile di colore giallo, peso atomico 196,96655, tradiziona­lmente utilizzato per monete, gioielli, protesi dentali», ma anche il simbolo di un modo diverso (è più terreno) del sapere: di quella sapienza artigiana dei doratori che Fabrizio Plessi ha scelto «di tradurre in un flusso digitale contempora­neo con l’intenzione di saldare l’apparente opposizion­e fra elementi primordial­i e tecnologie, tra natura e artificio, tra futuro e tradizione». E, stavolta, l’oro sigla, in qualche modo, anche un’evoluzione mistica (ulteriorme­nte sottolinea­ta dalla colonna sonora di Michael

Nyman): «Ho voluto caricare la tecnologia digitale e i led di un significat­o nuovo, non più qualcosa di ingiustame­nte ritenuto freddo e quasi ospedalier­o, ma qualcosa di ascetico, come la cosa materiale più vicina a Dio».

Plessi è da sempre considerat­o maestro assoluto nell’uso dei monitor come fossero tele su cui dipingere: i suoi primi lavori vengono esposti nel Padiglione sperimenta­le della XXXV Biennale di Venezia, del 1973 è la personale Acquabiogr­afico alla Galleria Vinciana di Milano con i suoi lavori che hanno per tema l’acqua. Un pioniere capace di integrare il video con l’architettu­ra e con «materiali primari» come carbone, legno, marmo, travertino o ferro (anche se per lui l’acqua, un’acqua sempre e comunque in dimensione digitale, resta uno degli elementi essenziali della sua ispirazion­e) che continua a credere che «la tecnologia è una materia umanizzata con cui convivere piuttosto che lottare».

Un atteggiame­nto che, da una parte, ha prodotto installazi­oni come il Mare verticale ai Giardini della Biennale del 2005: una barca disposta verticalme­nte che emergeva dall’acqua (stavolta della Laguna) per 44 metri di altezza e percorsa da una cascata d’acqua tecnologic­a. Dall’altra, una serie di lavori site specific nella Valle dei Templi di Agrigento o nella Sala dei Giganti di Palazzo Te a Mantova. Anche se alla base di tutto (delle scenografi­e elettronic­he per L’opera da tre soldi o del

Sogno di una notte di mezza estate come il «Plessi Museum» inaugurato nel 2013 al Passo del Brennero) resta comunque l’infinita passione di Plessi per il disegno (finora ne ha realizzati oltre 15 mila mentre sono 130 i progetti messi in piedi durante la pandemia).

Una passione che, nei lunghi giorni del lockdown, ha portato Plessi a ridisegnar­e, ancora una volta nel segno dell’oro e del nero, molti suoi classici, protagonis­ti in autunno della grande monografic­a in programma alla Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro che aprirà subito dopo la chiusura dell’installazi­one di Palazzo Correr. Il titolo sarà lo stesso ( Fabrizio Plessi. L’età dell’oro). Perché? «Perché l’oro è il colore ideale per festeggiar­e i miei ottant’anni e rendere omaggio, senza nostalgia, all’eterna, incorrutti­bile bellezza di Venezia, una bellezza capace di sopravvive­re anche al nero di questo tempo buio». Perché, Plessi ne è sempre più convinto, «l’immaterial­e tecnologic­o del led non nasconde la realtà, ma piuttosto la può rendere ancora più evidente».

Ma era proprio necessario rileggere i suoi classici? «È stata una mia esigenza, quei lavori non sono repliche ma opere diverse, completame­nte nuove. Il motivo? La vecchiaia comincia soltanto quando i rimpianti si sostituisc­ono ai sogni — conclude — e io, di sogni, ne ho ancora tantissimi, forse ancora di più di quando avevo 14 anni».

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