Corriere della Sera - La Lettura
Racconto donne libere accanto a uomini liberi
Arabia Saudita Haifaa al-Mansour è stata la prima regista del regno. Esce in Italia il film in gara nel 2019 a Venezia, storia di una candidata alle elezioni. «Cerco di introdurre figure maschili che possano celebrare quelli che non ci temono»
«La donna saudita oggi può viaggiare da sola, senza il permesso del Guardiano, può ottenere il passaporto, rinnovare i documenti, aprire un conto in banca, lavorare in diversi campi e in ambienti misti con gli uomini, mentre una volta la nostra era una società segregata. Ma molte non lo vogliono fare. Tuttora, preferiscono non guidare l’auto. Possono studiare da sole negli Usa ma spesso le famiglie non vogliono. Io penso che, lentamente, un numero maggiore di saudite coglierà queste opportunità ma dobbiamo spingere per il cambiamento con lo studio della filosofia, della letteratura, della pittura; con i film. Solo così, alla fine, la società evolverà, diventerà più moderata e nuove idee circoleranno, specialmente nella nuova generazione». Haifaa al-Mansour è stata la prima regista donna dell’Arabia Saudita, quando ancora le sale cinematografiche erano vietate. Nel 2012, con La bicicletta verde (primo film girato interamente nel Paese) raccontava il divieto per le donne non solo di portare la macchina ma pure di andare in bici.
Negli anni ha girato film internazionali come Mary Shelley; nel 2018, quando l’Arabia Saudita ha aperto i cinema e ha consentito alle donne di guidare, è tornata per filmare La candidata ideale, in corsa nel 2019 alla Mostra del Cinema di Venezia e dal prossimo 3 settembre nelle sale italiane. Mansour, sposata con un di pl omatico a mericano, c i par l a v i a Skype da Los Angeles, dove per il Covid le produzioni cinematografiche sono sospese ed è isolata in casa con i figli, Adam e Haylie, di 12 e 10 anni.
A chi è destinato «La candidata ideale»?
«Faccio film specialmente per i sauditi, voglio che vedano sé stessi e i loro sogni proiettati sul grande schermo. Cerco anche di introdurre nuove figure maschili, come il padre pacato della protagonista, che non si vergogna di piangere. L’uomo mediorientale è spesso raffigurato come un macho con i baffoni, e sicuramente una percentuale è davvero così, ma dobbiamo celebrare gli uomini che non hanno paura delle donne, che vogliono appoggiarle e accompagnarle nel loro cammino. Allo stesso tempo, voglio che il mio film abbia visibilità internazionale, per aiutare a capire che cosa significhi vivere in Arabia Saudita».
Alcune regole sociali sono cambiate mentre giravate il film.
«Prima dell’agosto 2019, se una donna voleva viaggiare doveva avere nel passaporto un permesso scritto del padre, del marito o del fratello se il padre era morto e non era sposata: insomma un Guardiano maschio. Questa legge è cambiata».
Quali sono gli ostacoli a cambiamenti più profondi?
«Anche se molte leggi sono cambiate, i valori no, perché vengono dalla tradizione e dalla religione. Anche i musulmani che vanno a vivere all’estero, in Italia o negli Stati Uniti, si portano dietro quei principi e, indipendentemente da ciò che la società consente, li considerano essenziali per la propria cultura e identità. Molti di quei valori però includono la marginalizzazione delle donne e
il maschilismo: è questo che cerco di cambiare come artista».
La protagonista Maryam decide di candidarsi al Consiglio municipale, che ha poteri su questioni locali come la bonifica delle strade: le donne hanno potuto presentarsi per la prima volta nel 2015. Pochi votano per lei e la sua campagna è un percorso a ostacoli: filmati elettorali in cui deve coprirsi anche gli occhi, comizi in remoto in cui viene insultata. E lei si ribella.
«Voglio raccontare storie di donne che non sono vittime ma combattenti. C’è qualcosa dentro di loro che le motiva, quella fiamma mi ispira. Il processo deve iniziare da noi stesse. Che Maryam venga eletta o meno, la vera vittoria è la scoperta di sé, ed è un percorso che incoraggio a intraprendere, anche se gli altri ci ridicolizzano e non ci prendono sul serio. Ciò che conta è il cammino. Noi donne, in Medio Oriente in particolare, non vogliamo che la gente parli male di noi. È quello che ci insegnano da bambine, siamo programmate in questo modo. Anch’io che sono una donna saudita che vive in Occidente, indipendente e libera, a volte mi domando se dovrei fare una cosa oppure no: mettiamo sempre in discussione la nostra posizione. Ma è tempo di andare avanti con le nostre vite, forti dell’esperienza collettiva accumulata e trasmessa di generazione in generazione dalle donne in Medio Oriente».
La sorella minore di Maryam non vuole che si candidi. Le nuove generazioni sono più conservatrici o prudenti?
«La sorella è vittima della sua età: tutti gli adolescenti sono arrabbiati e vogliono essere come i loro amici: lei è stata già emarginata per via della professione dei genitori, cioè un musicista e una cantante ai matrimoni, perciò non vuole che la sorella si candidi, vuole una vita normale. Ma non penso che i giovani siano più conservatori. Quello che io studiavo a scuola è diverso da quello che studiano adesso. Inoltre, io dovevo essere completamente coperta: come nel film La bici
cletta verde, l’insegnante mi chiedeva se avessi i calzini neri per coprirmi i piedi e anche le mani dovevano essere nascoste. Queste norme non vengono più applicate a scuola, i giovani hanno molta più libertà nel modo di presentarsi. La società è ancora molto conservatrice e religiosa, è richiesta modestia nell’abbigliamento, ma nessuna di quelle ideologie viene sostenuta come prima. L’accesso al mondo via internet è aumentato: i giovani vogliono innamorarsi, avere una buona istruzione. L’Arabia Saudita sta sempre più diventando un posto normale».
Cos’è cambiato per gli artisti? Il padre di Maryam va per la prima volta in tournée, ma riceve minacce di morte.
«Per vent’anni l’arte è stata considerata immorale, qualcosa che corrompe l’anima. Ci sono ancora persone contrarie ed è difficile coinvolgerle, ma stanno diminuendo piano piano. Quando ho filmato
La bicicletta verde dovevo dirigere dall’interno di un furgone: in quanto donna non potevo uscire per strada. Con La can
didata perfetta ho potuto lavorare fuori con le attrici: mi sono sentita libera. È arrivato un uomo molto conservatore del quartiere che ha cercato di fermarci ma non aveva lo stesso potere di prima. Abbiamo chiamato la polizia, che ha controllato i nostri permessi, gli ha intimato di non interromperci e, quando ha continuato, l’hanno portato via per un giorno. Una volta noi artisti dovevamo evitare di provocare i religiosi, adesso meritiamo rispetto. Per noi è incredibile».
Dall’Occidente ci sono forti critiche nei confronti della monarchia saudita per quanto riguarda i diritti. Ci sono linee rosse che non si possono superare.
« Gli occi dental i non ca pi s cono l e complessità del Medio Oriente, pensano che le dinamiche siano le stesse, ma sono completamente diverse. Le linee rosse esistono in Arabia Saudita, Iran, Turc hi a , Egi t to . . . È l a nat ur a del Medio Oriente».