Corriere della Sera - La Lettura

L’asfalto del Kosovo sul monastero serbo

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Nonostante la legge la protegga, una strada minaccia l’enclave ortodossa di

Decani, una struttura con 25 monaci tutelata dall’Unesco. I militari italiani del contingent­e Kfor fanno la guardia, ma le ruspe incombenti sono il segno dei fragili equilibri della piccola repubblica (a maggioranz­a albanese e musulmana) mai davvero uscita dalla guerra

Il miele di castagno è fatto. Il fieno, raccolto. Le marmellate sono nei vasetti. Kaymak e acquavite non mancano. «Sarà un inverno duro», padre Sava lo sa. Vuole che per la fine dell’estate sia tutto a posto e sia osservato il Tipik, la Regola del convento. Meglio fare scorte, prepararsi al peggio: chi può dire se fra qualche mese i 25 monaci potranno andare ancora nel bosco a lavorare. E nel silenzio dell’alba, sentirsi chiamare alle Lodi. E la sera accendere senza disturbi le candele del polijelej, il lampadario delle liturgie medievali, per lustrare di tempera all’uovo le icone tronali. E nel refettorio di pietra sfogliare le pergamene rilegate nelle borchie d’argento, mormorare le vite dell’apostolo Filippo o dei protomarti­ri. E recitare in pace l’acatisto sul sarcofago intarsiato del Santo Re Stefano, come si fa fin dal Trecento, o cantare sereni la compieta mentre l’archimandr­ita cosparge d’incenso la cinquecent­esca croce paleoslava, immersa in un fumo azzurrino e profumato che si spande fra i mille ritratti coronati d’oro e i marmi rossi e viola del nartece...

Forza ruspe. Forza frati. Il barbaro è al portone e a Visoki Decani, sui pendii di Decani, quasi rimpiangon­o il lockdown del Covid. «Fra qualche settimana ci assedieran­no — sospira padre Sava — e per noi sarà sempre più complicato uscire». Una minaccia vera: il sindaco del villaggio, Bashkim Ramosaj, ha annunciato alle folle che romperà i confini, porterà qui le betoniere e finalmente aprirà i cantieri della nuova strada, a lungo rinviata. Una bretella d’asfalto, 5 chilometri «che ci colleghera­nno all’autostrada per Plave e che serviranno a tutto il popolo kosovaro!». Un taglio che affonderà in foreste intatte da secoli. E che l’amministra­zione albanese, guarda un po’, ha progettato proprio adesso, quando in Kosovo c’è il picco della pandemia e i funzionari internazio­nali dell’Onu, dell’Ue e dell’Osce se ne sono tornati a casa in smart working.

Vieni, c’è una strada nel bosco. Giù i pini. Via le arnie. Sciò a mucche e a covoni. Che cos’è tutto questo incantevol­e isolamento a soli 12 chilometri da Pec? Avanti coi camion, col traffico, con le vibrazioni che scuoterann­o il sacro scrigno tutelato dall’Unesco, il più grande affresco mai dipinto dai bizantini nei Balcani, eppur dimenticat­o dal mondo.

Questo prezioso altare della Serbia trionfante è sopravviss­uto ai turchi e ai comunisti, risorse sotto Slobodan Milosevic con la più grande conversion­e di massa che la Chiesa slava ricordi — 2 mila battezzati in uno stesso giorno, nelle acque gelide del Bsitrica — quindi scampò ai vandalismi del 1999 grazie alla mobilitazi­one degli intellettu­ali di mezz’Europa: all’epoca, Vittorio Sgarbi s’infuocò nelle interrogaz­ioni parlamenta­ri e Massimo Cacciari tuonò che l’Occidente era

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