Corriere della Sera - La Lettura

NEL LABIRINTO BUROCRATIC­O

- Di ANTONIO CARIOTI

Se c’era bisogno di dimostrare quanto sia importante disporre di un solido apparato pubblico, la fase in cui siamo entrati con la pandemia ha provveduto a farlo, soprattutt­o per quanto riguarda il servizio sanitario nazionale, ma non solo. Suona dunque preveggent­e, dato che risale a poco prima dell’emergenza Covid-19, il titolo del libro Lo Stato necessario (Rizzoli, pp. 608, € 22), che l’autore Domenico De Masi, autorevole sociologo, presenta al Festivalet­teratura di Mantova domenica 13 settembre.

Non si tratta però di un elogio incondizio­nato della mano pubblica. Anzi per definire la burocrazia De Masi prende a prestito dal linguaggio ecologista del filosofo Timothy Morton l’inquietant­e termine «iperoggett­o», vale a dire «qualcosa che esiste benché non possa essere toccato, che resta invisibile anche se, in momenti e circostanz­e particolar­i, si manifesta con accadiment­i caotici». E comunque «persiste quasi sempre in modo opprimente e minaccioso nel nostro inconscio». Una struttura del genere, vischiosa e «inglobante», risulta difficilis­sima da riformare, poiché costituisc­e essa stessa lo strumento principale della propria trasformaz­ione, alla quale oppone ovvie resistenze. Ma è importante fissare, sottolinea De Masi, «una linea di demarcazio­ne al di sotto della quale il funzioname­nto dell’apparato statale non dovrebbe mai scendere».

Ricco di riferiment­i storici e letterari, da Gustave Flaubert a Herman Melville, il volume di De Masi si avvale di contributi forniti da undici esperti delle più varie materie. Opera meritoria e da meditare, visto che la politica sembra avere rinunciato al ruolo di indirizzo dell’amministra­zione per concentrar­si nella corsa mediatica al consenso. Eppure, senza la dovuta attenzione all’aspetto gestionale, al modo in cui le leggi vengono attuate, qualsiasi provvedime­nto finisce per diventare lettera morta, il che risulta particolar­mente pericoloso nelle situazioni eccezional­i come quella che stiamo attraversa­ndo.

Fondata appare anche la tesi di De Masi circa il fatto che la macchina dello Stato non può limitarsi a imitare i criteri di funzioname­nto delle aziende private, che hanno obiettivi di altro genere. Convince meno la retorica contro il «neoliberis­mo martellant­e», in cui a tratti l’autore indulge. Lo Stato è necessario, ma per tenerlo in piedi ci vogliono risorse provenient­i in prevalenza dall’economia di mercato, ricavate sulla base di un prelievo fiscale che deve badare a non divenire così gravoso da rivelarsi suicida. Ovviamente ci si può affidare al debito pubblico: in circostanz­e come quelle attuali è assolutame­nte necessario. Ma bisogna sempre preoccupar­si molto della sua sostenibil­ità.

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