Corriere della Sera - La Lettura

Il mio amico Kerr vero scozzese al sangue

- Da Londra PAOLA DE CAROLIS

L’estate di Berlino «ribolle come l’ascella di un fornaio». È il 1938, i nazisti sono al potere e l ’ i nvesti gatore Bernie Gunther, dopo aver preso le distanze dalla Kriminalpo­lizei, viene richiamato in servizio da Reinhard Heydrich, tra i più alti gerarchi di Hitler, per risolvere il caso della misteriosa scomparsa di diverse adolescent­i bionde con gli occhi azzurri. Philip Kerr, maestro del giallo, se ne è andato due anni fa. La sua prosa precisa e calda, l’abilità di ricostruir­e l’atmosfera di un periodo come il Terzo Reich, l’abilità con la quale fa innamorare il lettore di un protagonis­ta tutt’altro che perfetto sono un’eredità che durerà nel tempo. Tra i suoi ammiratori spiccano Salman Rushdie, Tom Hanks, il regista Sam Mendes nonché Ian Rankin, altro grande giallista, scozzese come Kerr, che in occasione della ripubblica­zione in Italia di Il criminale pallido (Fazi), secondo capitolo della trilogia berlinese, ricorda «un raccontato­re supremo» e un amico.

Questa è un’intervista sulla pubblic a z i o n e d i u n l i b r o , ma a n c h e s u un’amicizia. Ci racconti come ha conosciuto Philip Kerr e suoi libri.

«Ho vissuto a Londra tra il 1986 e il 1990. Formammo un piccolo gruppo di giovani e affamati giallisti che chiamammo Fresh Blood, Sangue nuovo. Philip Kerr e Michael Dibdin erano i membri più famosi. I primi libri di Philip su Bernie Gunther erano già stati pubblicati. Nonostante ciò era abbastanza sfuggente, così a Londra non ci incontramm­o mai. Quando mi sono trasferito in Francia abbiamo cominciato a scriverci e a sentirci per telefono. Ci siamo ritrovati poi al festival di Hay-on-Wye, in Galles. Nel 2015 l’ho intervista­to al festival del libro Bloody Scotland, a Stirling. Dopo gli ho dato un passaggio in macchina a Edimburgo e più tardi quella sera abbiamo cenato insieme, una cena con non pochi alcolici. Avevamo tanti piani, volevamo lavorare insieme e abbiamo continuato a scriverci con quest’obiettivo. Ma non ci siamo più rivisti».

Lei Rebus e Kerr Gunther: due scrittori, due protagonis­ti seriali e un legame profondo con due città. Ci sono altre somiglianz­e tra i vostri stili?

«Philip faceva molte ricerche. Scriveva libri in cui figuravano eventi storici e personaggi realmente esistiti, così doveva conoscere i fatti, le loro vite, eccetera. Io no: invento. I miei libri sono ambientati nel presente, fare ricerche per me significa passeggiar­e per strada e immaginare a che cosa penserebbe Rebus. So però che per i suoi gialli sul calcio (tre romanzi con il protagonis­ta Scott Manson, ndr) Philip ebbe la possibilit­à di incontrare tante squadre importanti, i loro allenatori e i giocatori più famosi. So che questo gli fece molto piacere».

Sino a che punto vi siete ispirati a vicenda o aiutati?

«Quando nei miei libri ho deciso di usare fatti veri (ad esempio il killer Bible John in Morte grezza) mi sono sentito più libero di farlo perché prima di me lo avevano fatto scrittori come Philip Kerr e James Ellroy. Rebus, inoltre, deve molto alla figura classica dell’investigat­ore privato. Lavora da solo all’interno della polizia, non fa parte di una squadra, ha metodi suoi. In questo è simile a Bernie Gunther. Philip era nato a Edimburgo ma non aveva memorie felici della città. Scrisse un racconto breve, The Unnatural History Museum, in cui non fece un bel ritratto di Edimburgo. Parlavamo spesso di questa città, di come sa essere il dottor

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