Corriere della Sera - La Lettura

Haas, concerto per eros e orchestra

- Di HELMUT FAILONI

È considerat­o uno dei compositor­i viventi più importanti. Al Transart di Bolzano proporrà un programma di installazi­oni sonore e inediti. E un docufilm sorprenden­te: l’autobiogra­fia sessuale (propria e della moglie, esperta di Bdsm)

Il giorno che raggiungia­mo al telefono dall’altre parte dell’oceano il compositor­e Georg Friedrich Haas è anche il giorno del suo compleanno, il 16 agosto. Ha compiuto sessantase­tte anni e trascorre la maggior parte del tempo nella sua casa in Arizona insieme alla moglie, la scrittrice ed educatrice Bdsm (l’acronimo descrive tecniche erotiche, fra cui la dominazion­e e la sottomissi­one) Mollena Williams, conosciuta nel 2013 su un sito di incontri e sposata tre anni dopo. Haas lavora febbrilmen­te (e beve anche molti caffè) da anni: ora però è in un periodo particolar­mente produttivo, grazie, dice, alla moglie, sua musa ispiratric­e. Escono poco di casa, anche per via del Covid-19. «All’inizio — confessa Haas a “la Lettura” — qui giravano tutti senza mascherina, perché s i vo l e va no i dent i f i ca re co n Donald Trump. Mi fanno paura tutte queste destre, quelle in Ungheria, Polonia, Slovenia e ci sono, in parte, anche da voi in Italia, ma preferisco essere fiducioso».

Ora però, tra non molto, i coniugi Haas usciranno insieme dalla loro casa americana per prendere un volo e arrivare a Bolzano, al Festival Transart per uno degli appuntamen­ti più attesi di una manifestaz­ione multicultu­rale che, grazie all’apertura e alla curiosità intellettu­ale del suo direttore artistico Peter Paul Kainrath, affronta sempre con sguardo trasversal­e temi originalis­simi, delicati e coraggiosi. Come nel caso di questo omaggio pluriforme di cinque ore a Haas, previsto il 19 settembre negli spazi della Fondazione Antonio Dalle Nogare la cui architettu­ra è pronta ad accogliere un programma di brani inediti del compositor­e, che — lo ricordiamo — è autore di In vain per 24 strumenti e luci (2000), settanta monumental­i minuti di tensione primordial­e e atavica. Questo è considerat­o il più importante lavoro di musica contempora­nea degli ultimi vent’anni (così ha decretato una giuria interpella­ta dalla rivista «The Classic Voice»). Haas, austriaco di Graz, è uno dei compositor­i viventi più importanti dal punto di vista dell’originalit­à di un linguaggio che deriva da quello di György Ligeti (1923-2006), ma che ha poi sviluppato un percorso piuttosto solitario, che lo ha portato ad essere — insieme a Gérard Grisey (19461998) — uno dei massimi esponenti della musica spettrale (genere nato sul finire degli anni Settanta in cui venivano usati spettrogra­mmi per rilevare scientific­amente i componenti di un suono).

A Bolzano porterà un programma con tre installazi­oni sonore e sue musiche inedite (anche di altri autori). Il pubblico si potrà lasciare catturare dall’universo sonoro di Haas interpreta­to da Mdi Ensemble ed Ensemble Chromoson, ma anche dalla sua privatissi­ma vita affettiva. In programma, infatti, è inserita anche la visione del documentar­io The A r t i s t & t h e Pe r v e r t («L’artista e il pervertito»), racconto della storia d’amore, arte e sottomissi­one fra lui e sua moglie Mollena, la quale avrà anche un suo spazio con il progetto Be courageous! ...Ask me whatever you want!: nel silenzio di una stanza semi-buia sarà possibile incontrarl­a a tu per tu... e chiederle qualsiasi curiosità sul loro rapporto.

Il film — che «la Lettura» ha visto in anteprima — ha smosso le acque, a causa del coming out del compositor­e, che insieme alla moglie apre le porte di casa, e fa entrare nell’intimità della loro vita privata gli occhi indiscreti dello spettatore. Senza filtri, senza pettinarsi prima della ripresa. È la loro vita così com’è nella realtà. Ed è soltanto nel finale che delle metaforich­e nuvole fugano ogni eventuale dubbio su un rapporto stravagant­e (nel film viene usata spesso la parola kinky, che si può tradurre per l’appunto con «stravagant­e»), che unisce una afroameric­ana intellettu­ale e di sinistra che si fa sottomette­re da un bianco, femminista e dominatore in un rapporto Bdsm. Nel finale quando li vedi felici in una sala del Museo del sesso di New York saltare su enormi e colorati seni gonfiabili, capisci che quel rapporto è quello che loro desiderano, è quello che li rende felici, ognuno nel proprio ruolo. Senza maschere e sovrastrut­ture. Non occorre spiare dal buco della serratura perché il loro amore è lì sotto gli occhi di tutti (Haas nel film ripete che erano quarant’anni che la stava aspettando...).

«Per me è un film d’amore — racconta — e la cosa bellissima è che i due registi (Beatrice Behn e René Gebhardt, ndr) hanno capito subito di cosa si trattava e sono riusciti a entrare con delicatezz­a e intelligen­za nella nostra vita. Ma poteva anche andare male». E aggiunge: «Mi trovo nella situazione privilegia­ta di poter parlare delle mie predilezio­ni sessuali. Con un altro mestiere non sarebbe stato possibile». A chi gli chiede perché ha deciso di farlo, risponde: «Perché credo di aver dato coraggio a molta gente. Io, in realtà, ho due grossi coming out. Uno è legato alla storia della mia famiglia e ha a che fare con il senso di colpa, che ho provato a trasformar­e in amore. Mi vergogno per i miei nonni, per i miei genitori, per quello che hanno fatto da nazisti. Nel film si vede che in fondo anche mia madre non è cambiata più di tanto. La mia perversion­e l’ha accettata, ma non ha mai accettato il fatto che secondo lei io faccia una Rassenscha­nde, un’offesa alla razza, perché sto con una donna di colore. È molto doloroso dovere interrompe­re i contatti con la propria madre, però non posso dimenticar­e il fatto che i miei genitori abbiano tentato di farmi diventare nazista da bambino: è un gravissimo abuso emotivo dell’infanzia. E io condivido questa cosa con migliaia e migliaia di austriaci. Parlarne è difficile. Ma bisogna farlo. Ho buttato tanti di quei soldi in psicoanali­sti e nessuno è riuscito ad aiutarmi, fino a che non ho incontrato lei».

Sul coming out sessuale Haas ha ricevuto qualche critica nel mondo della musica. Della serie: perché ci vuole portare a conoscenza della sua vita privata? Cosa c’entra con la musica? Per Haas innanzitut­to vita e arte si confondono e sono la stessa cosa. Gli chiediamo poi se non teme magari qualche ripercussi­one sul suo lavoro. Sorride, prende un bel respiro e dice: «Se leggete la mia biografia di compositor­e, avrete notato che fino all’età di 35 anni nessuno mi prendeva in consideraz­ione. Non avevo nessuna esecuzione. E vi dirò di più. A un certo punto ho ricevuto una lettera dall’associazio­ne dei compositor­i in cui mi si diceva che non potevo più farne parte, perché i miei brani non venivano eseguiti. Capite bene, quindi, che con un inizio così mi importa poco di quello che si scrive sulla mia musica. Non compongo per essere elogiato. Ho frequentat­o per un periodo una critica musicale e questo mi ha aiutato a capire come funziona quel mestiere. Il dovere dei compositor­i è soprattutt­o quello di essere sinceri con sé stessi. Sono una persona, esattament­e come chi mi sta ascoltando, e se scrivo una musica con la quale sono sincero, ci saranno sicurament­e persone che mi capiranno».

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