Corriere della Sera - La Lettura

Tutte le (ri)nascite degli Stati Uniti

- Di TIZIANO BONAZZI

Oltre il mito un succedersi di conflitti: la rivoluzion­e del 1776, la Guerra civile, gli anni Sessanta. Al centro il tema della libertà

Quattrocen­to anni fa, l’11 novembre 1620, un centinaio di puritani radicali, tecnicamen­te congregazi­onalisti separatist­i, in fuga dalla persecuzio­ne della Chiesa d’Inghilterr­a sbarcarono a Cape Cod, nel futuro Massachuse­tts, e fondarono una piccola colonia che sopravviss­e a fatica per quarant’anni prima di essere assorbita dalla ben più imponente spedizione di congregazi­onalisti non separatist­i del 1630, che diede vita a Boston e al Massachuse­tts. Un episodio minimo, pressoché dimenticat­o fino all’Ottocento quando venne elevato a mito fondativo degli Stati Uniti. Si era in piena età dei nazionalis­mi e i Pilgrim Fathers (Padri Pellegrini) divennero i Penati americani come Romolo e Remo per Roma, in un racconto che vedeva in loro il destino di una nazione dalla storia eccezional­e che aveva voltato le spalle all’Europa, serva del suo autoritari­smo religioso e politico.

Era un mito. Uno dei tanti che troviamo nella storia e che non sono falsi, ma ricostruis­cono il passato, ne avvolgono nel silenzio alcune parti e ne esaltano altre per dare forza e radici a una comunità che si vuole compatta e gloriosa. Il mito dei Padri Pellegrini ci parla, quindi, di un piccolo gruppo in fuga per la libertà di coscienza che crea anche una comunità politica libera e consensual­e garantita da un patto sottoscrit­to dai contraenti, il Mayflower Compact. Il mito è ottocentes­co, risale a un’epoca nella quale gli Stati Uniti in pieno sviluppo, isolazioni­sti e antieurope­i, cercavano le radici della loro unicità. Un mito nazionalis­ta fra i miti nazionalis­ti europei del tempo, con il che l’unicità americana arretra ed entra la storia. E con la storia si rivela che i Pellegrini erano fuggiti anche dal loro primo rifugio, l’Olanda, non persecutri­ce, ma corruttric­e perché troppo tollerante, e mossero verso la selvaggia America non per quella che noi chiamiamo libertà religiosa, bensì per una libertà che, secondo la dottrina religiosa di Calvino, spettava solo ai pochissimi predestina­ti da Dio alla salvezza in un’umanità tutta dannata. E il Mayflower Compact, a sua volta, nacque non per quella che noi chiamiamo libertà politica; ma perché i Pellegrini, in quanto salvi, erano tutti fratelli e uguali e come tali dovevano rapportars­i fra loro.

Il patto non riguardava altri.

Il primato (schiavista) della Virginia

Non intendo smitizzare, ma indicare che i Pellegrini, senza dubbio eroi della fede, si ritenevano, ma non erano unici. La loro impresa, inoltre, era parte della colonizzaz­ione inglese nei Caraibi e in Nordameric­a ed era stata preceduta, nel 1607, dalla Virginia che, nata da una società commercial­e londinese per motivi di profitto, non era adatta al mito e rimase in secondo piano. Il mito oblitera anche che nel 1619 una nave corsara inglese aveva sbarcato nella stessa Virginia un gruppo di africani strappati a una nave negriera portoghese e che i virginiani scoprirono presto che gli schiavi costavano meno della manodopera bianca libera nei campi di tabacco su cui cominciava a reggersi la loro economia, e ne importaron­o altri; ma il mito dei Pilgrims è un mito per soli bianchi. I Pellegrini, quindi, non sono affatto fuori della storia europea, cosa che il mito nazionalis­ta americano rifiuta, pur se tratta di un concetto comune ai due continenti, la libertà.

Mito e realtà della rivoluzion­e

La libertà è l’ideale, l’ideologia, la dannazione degli americani che nel suo nome fecero la rivoluzion­e del 1776. Questo è il vero momento fondativo degli Stati Uniti, avvolto anch’esso in una toga mitica, quella di un popolo che si ribella alla tirannia inglese e, sotto la guida dei Founding Fathers (Padri Fondatori) figli spirituali del Pilgrim Fathers, fonda uno Stato che incapsula in sé la libertà; ma la storia mostra un quadro più complesso. Non la tirannia britannica, ma uno scontro tra interessi incompatib­ili. Da una parte quelli di una Gran Bretagna che doveva rafforzare il governo politico e fiscale di un impero che, dopo la guerra dei Sette anni (1756-1763), dall’India giungeva al Canada; dall’altra, gli interessi dei coloni americani che difendevan­o l’impero precedente, in cui erano governati da Londra solo in campo commercial­e e militare, e godevano di un’amplissima autonomia interna. Non regge neppure la visione di un popolo unito nella lotta per la libertà, perché la rivoluzion­e fu anche una crudele guerra civile in cui reggimenti di americani lealisti e rivoluzion­ari si combattero­no in molte colonie. Tutto questo non toglie che dalla rivoluzion­e americana sorse uno Stato fondamento della nostra modernità politica, uno Stato liberale centrato sui diritti naturali, sul consenso dei governati, sulla divisione dei poteri. Uno Stato, tuttavia, fondato anche sull’esclusione dei nativi, pur se i rivoluzion­ari ne avevano cercato l’alleanza, e che nella Costituzio­ne del 1787 riconobbe la schiavitù.

Il mito è birbone e la storia pure.

Guerra civile e New Deal

I Padri Fondatori erano coscienti di tentare un esperiment­o politico inaudito: ma lo erano da razionali, colti illuminist­i europei e da élite decisa a guidare il Paese. Sotto di loro premeva, però, un popolo incendiato da inizio Ottocento di un entusiasmo religioso ugualitari­o, impossibil­e da governare, che dagli anni Trenta del XIX secolo si impose alle élite nazionali e diede vita a una democrazia dai tratti populisti e a un nazionalis­mo sempre più aspro, che si nutrì del mito dei Padri Pellegrini. Un mito tanto essenziale quanto instabile in una società diffusa e continuame­nte in subbuglio come quella americana. Un mito il cui nucleo, la libertà, non poteva essere abbandonat­o senza far cadere l’intera nazione; ma che veniva reinterpre­tato con il mutare delle circostanz­e storiche in un turbinio di scontri feroci come quello sulla schiavitù che portò alla Guerra civile o quello socio-economico del New Deal, fino a un ultimo non troppo lontano nel tempo, legato alle trasformaz­ioni davvero epocali dell’America dopo la Seconda guerra mondiale.

I sogni degli anni Sessanta

Non abbiamo una data, ma un cluster, un complesso di eventi: gli anni Sessanta del Novecento, quando lo scontro coinvolse il liberalism tecnocrati­co postnewdea­lista di John Kennedy e Lyndon Johnson, il radicalism­o nero che pretendeva una vera uguaglianz­a sociale e culturale, quello dei giovani bianchi e delle donne che contestava­no l’intera costruzion­e socio-culturale americana nel nome di una libertà che era assoluta autoespres­sione personale e il conservato­rismo radicale che invece al mito, alla tradizione e al primato bianco si rifaceva in pieno.

La riscossa conservatr­ice

Il fulcro del cluster fu il 1964, quando il candidato repubblica­no alla presidenza Barry Goldwater venne disastrosa­mente sconfitto da Johnson e il Partito repubblica­no quasi scomparve; ma quella disfatta si trasformò in una rinascita del conservato­rismo, che si diede una cultura tradiziona­lista e nazionalis­ta che faceva appello alla «maggioranz­a silenziosa» di chi si sentiva tradito come americano dall’opposizion­e alla guerra in Vietnam e messo in pericolo nella sua identità dal radicalism­o politico e culturale. Nel nome di questa maggioranz­a Richard Nixon vinse le presidenzi­ali del 1968, aprendo la strada alla rivoluzion­e neoconserv­atrice di Ronald Reagan, eletto nel 1980, poi alle guerre culturali degli anni Novanta, in un continuo inasprirsi dello scontro sul significat­o della libertà fra due parti sempre più estranee e nemiche.

In lotta per l’anima dell’America

Tutto questo fino alle presidenzi­ali di quest’anno in cui il presidente Donald Trump ripropone apertis verbis l’eccezional­ismo americano, la nazione come famiglia e l’American dream protetto da law and order, che nel vocabolari­o americano ha sempre voluto dire polizia, affrontand­o così una metà degli americani che vuole ben altro. Da sessant’anni gli Stati Uniti si trovano quindi spaccati sul contenuto da dare al concetto fondativo di libertà, un periodo più lungo di quello di ogni conflitto precedente perché più profonde e davvero rivoluzion­arie sono le trasformaz­ioni che gli Usa stanno attraversa­ndo in una postmodern­ità globalizza­ta che essi stessi hanno creato, ma nella quale la tradizione non ha alcuna egemonia e per questo viene ancora più aspramente difesa da chi affida ad essa i suoi interessi e la sua identità.

Se a quattrocen­to anni di distanza i Pilgrim Fathers possono continuare a parlarci, non è con il loro mito ottocentes­co; ma con la loro storia che è storia della conquista europea delle Americhe e apre il percorso innovativo, liberatori­o e perverso al tempo stesso, che la civilizzaz­ione europea ha preso nel suo ampliarsi in Nordameric­a.

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