Corriere della Sera - La Lettura
C’è sempre un gesto che ci discrimina
Il memoir di padre di origini cubaneaustriache, madre americana, lei anche — rompe un tabù: «Per noi omosessuali è rassicurante rappresentarci migliori degli altri, per essere degni dei diritti che ci spettano. Invece certi stereotipi che sembrano positivi in realtà non permettono di esprimere la vera umanità, difetti compresi»
Ap a r t i r e d a l l ’e t à d i 5 a n n i , quando ha scritto il primo racconto — un tacchino si perde nella grande città e cerca di tornare a casa, dove finisce servito a tavola per la cena del Ringraziamento — Carmen Maria Machado ha tentato di raccontare punti di vista non tradizionali senza farsi limitare dal realismo. Cresciuta in Pennsylvania con il papà ingegnere chimico di origini cubane-austriache e la mamma casalinga, già nelle poesie e nei racconti che scriveva da bambina ricorda «l’interesse per l’horror, l’oscurità, la malattia, i mostri». Da adolescente si unì a un gruppo evangelico che predicava la verginità fino al matrimonio, con sollievo dei genitori quando l’ha abbandonato. Oggi vive con la moglie a Philadelphia. mischia autobiografia e saggistica, allora il libro è uscito da me come una piccola giraffa bagnata».
L’obiettivo del libro è di rompere il silenzio sull’abuso domestico nelle comunità queer, un discorso che lei definisce «perfino più recente e più in ombra» dell’abuso sulle donne da parte degli uomini. Che reazioni ha avuto?
«Molte persone — lesbiche, gay, ma anche uomini vittime di violenza da parte di fidanzate o mogli — mi hanno scritto che leggerlo è stata un’esperienza catartica, anche se scriverlo non lo è stato. Ho rivissuto il trauma, emotivamente è stata una lotta. Penso che non lo rifarei».
Lei elogia lo stereotipo dei cattivi queer — «sinistre drag queen come Crudelia De Mon, stitiche lesbiche di potere che odiano gli uomini come la Matrigna Cattiva della Disney» — definendole figure liberatorie: «Noi queer ci meritiamo una rappresentazione delle nostre malefatte pari a quella delle nostre gesta eroiche, perché quando rifiutiamo l’idea che un gruppo di persone possa compiere malefatte stiamo rifiutando la loro umanità».
«La ragione per cui sviluppiamo idee come per esempio che i gay sono persone migliori degli etero è l’omofobia. Il punto è che, quando cercavamo di ottenere i nostri diritti, la gente diceva: “Siete pervertiti, distruggete la famiglia”. Non bastava rispondere che come persone quei diritti ci spettano; abbiamo dovuto creare una narrazione secondo cui li meritiamo perché siamo migliori degli altri. Lo stesso per le donne al potere: la ragione per cui dobbiamo presentarle come se fossero perfette è il sessismo. È strana questa pressione a dimostrarsi virtuosi che si accompagna alla mancanza di rappresentazione di alcuni gruppi: la cultura dominante crea stereotipi che sembrano positivi, in realtà non permettono l’espressione della propria umanità, dei difetti. Che poi è come dire alle persone che i loro problemi non sono reali».
Uno dei suoi racconti ne «Il mio corpo e altre feste» riscrive in chiave surreale 272 episodi della serie poliziesca «Law&Order». Oggi «legge e ordine» è lo slogan di Donald Trump, mentre le rivolte per gli afroamericani uccisi dalla polizia sfociano nella violenza.
«Ho guardato Law&Order per tutta la vita, l’ho sempre trovato stranamente rilassante. Quand’è iniziata la pandemia, lo riguardavo mentre facevo i puzzle. Quest’ondata di discussioni sul razzismo e la polizia ha cambiato il mio rapporto con quella serie, mi ha fatto riflettere su quanto Law&Order sia propaganda. Autrici come Sarah Marshall ed Emma Eisenberg hanno esaminato il “crimine”