Corriere della Sera - La Lettura

Le cannonate benefiche Porta Pia rafforzò la Chiesa

- Conversazi­one tra FRANCESCO MARGIOTTA BROGLIO, FRANCESCO TRANIELLO e GIOVANNI MARIA VIAN a cura di ANTONIO CARIOTI

Il 20 settembre 1870, dopo aver aperto con i cannoni una breccia a Porta Pia, le truppe italiane entravano a Roma, superando la blanda resistenza delle forze militari al servizio del Papa. Venne così soppresso centocinqu­anta anni fa lo Stato pontificio, grazie al crollo dell’Impero francese di Napoleone III, protettore del potere temporale della Chiesa, che era appena stato sconfitto nella guerra con la Prussia. Roma, già proclamata capitale del Regno d’Italia nel 1861, lo diventò allora effettivam­ente, ma al tempo stesso si aprì un forte contenzios­o con il Papa Pio IX, che si dichiarò vittima di un sopruso.

Solo nel 1929, sotto il pontificat­o di Pio XI, si arrivò alla Conciliazi­one tra Stato e Chiesa con i Patti Lateranens­i, firmati da Benito Mussolini e dal cardinale Pietro Gasparri, e venne creato lo Stato della Città del Vaticano. I Patti furono recepiti dall’articolo 7 della Costituzio­ne repubblica­na, in vigore dal 1948, e uno di essi, il Concordato, è stato rivisto d’intesa tra le parti nel 1984. Abbiamo chiamato a riflette re s u quel complesso di e ve nt i t re esperti: il giurista Francesco Margiotta Broglio, collaborat­ore del «Corriere della Sera»; Francesco Traniello, storico del Risorgimen­to e del Novecento; Giovanni Maria Vian, storico e direttore del quotidiano della Santa Sede, «L’Osservator­e Romano», dal 2007 al 2018.

Sarebbe stato possibile giungere a una soluzione del conflitto tra Stato e Chiesa diversa da quella militare adottata nel 1870?

— No. C’era sempre il rischio che la Francia volesse ingerirsi di nuovo nella questione romana. E Pio IX aveva respinto tutte le proposte di compromess­o avanzate fino all’ultimo dal re Vittorio Emanuele II. I negoziator­i inviati dal governo italiano a trattare con la Santa Sede erano sempre tornati a Firenze, capitale di allora, a mani vuote. Certo, l’azione militare per molti ebbe conseguenz­e gravi. Per esempio mia nonna materna, all’epoca bambina, mi raccontò la breccia di Porta Pia alla quale aveva assistito, mentre la famiglia del nonno, suo marito, venne rovinata, perché il padre, mio bisnonno, perse l’appalto dei tabacchi pontifici che aveva acquistato a caro prezzo dieci anni prima.

Nel 1861 il primo ministro Camillo di Cavour, poco prima di morire, aveva insistito sul fatto che occorreva superare il potere temporale del Papa, ma non usando la forza. E poi nel 1864, con la «convenzion­e di settembre», l’Italia si era impegnata con la Francia di Napoleone III a non invadere lo Stato pontificio, ridotto ormai al solo territorio del Lazio. In seguito le tensioni si erano inasprite per via del tentativo garibaldin­o di prendere Roma fallito nel 1867 con la battaglia di Mentana, da cui le camicie rosse erano uscite sconfitte. Nel 1870 il governo italiano si trovò dinanzi a una scelta secca: intervenir­e militarmen­te o rinunciare ad annettere la città.

— Credo anch’io che non ci fossero margini per un negoziato. Pio IX si sentiva molto italiano e all’inizio del suo pontificat­o aveva guardato in modo benevolo al moto risorgimen­tale. Ancora nel 1866 (anno della Terza guerra d’Indipenden­za, con cui l’Italia ottenne il Veneto), in un colloquio con il futuro premier britannico William Gladstone, ammise il principio dell’unità del Paese, accennando a Trento e Trieste come terre italiane. Ma sul Papa pesava il trauma delle tre precedenti soppressio­ni violente del potere temporale della Chiesa. Già nel 1798, con l’arrivo delle truppe rivoluzion­arie francesi, era stata proclamata a Roma una Repubblica; poi nel 1809 Napoleone I aveva fatto prigionier­o il Pontefice Pio VII; infine c’era stata la Repubblica instaurata nel febbraio 1849, dopo la fuga dello stesso Pio IX a Gaeta l’anno prima, che fu presto abbattuta dalle truppe francesi. Tra gli ecclesiast­ici molti si rendevano conto che l’esauriment­o del potere temporale era inevitabil­e, ma papa Mastai Ferretti vedeva in gioco anche una questione religiosa. Non

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