Corriere della Sera - La Lettura
Pochi amici
Matrimonio sinistrato, umiliazioni e violenze, figli che non ti filano, improvvise povertà, mortificazioni profonde, malattie gravi, dolori e sofferenze. Ti senti sfigata/o? Sbagli! Sono tutti doni di Dio. Te lo spiega, sorridendo,
so la memoria, rivolta a un’epoca maschilista che ferisce.
«Non penso che la mia disillusione sia rivolta esclusivamente agli uomini. Ho la sensazione che le divisioni del mondo siano la conseguenza di quanto gli esseri umani si sono allontanati dello stato di grazia con cui, si suppone, tutti nasciamo. Parlando della mia esperienza, ho sofferto per via di uomini, ovviamente, ma sono riemersa e ho continuato a scrivere, a prescindere da tutto, come avevo deciso di fare sin da giovanissima. Certo, continuo a pensare che le artiste donne non ricevano con la stessa frequenza degli uomini i riconoscimenti, il risalto, o i posti migliori nel pantheon della letteratura. Eppure, ironicamente, le donne sanno essere tanto ingiuste, incorrette e riluttanti nei confronti di altre donne quanto gli uomini».
Ha amato uomini o ha avuto modelli che l’hanno rappacificata in questo senso?
Costanza Miriano nel suo nuovo libro Niente di ciò che soffri andrà perduto (Sonzogno, pp. 144, € 15). Ma, al capitolo 8, ammette: «Dio tratta con i suoi amici
(per questo ne ha pochi)».
«Da ragazza oltremodo romantica i miei amori ideali viravano da Gesù, a Heathcliff di Cime tempestose, persino a Dracula, e molti altri nel mezzo; si potrebbe dire che le mie tendenze, e quindi le mie passioni, erano vagamente gotiche. Ma devo dire che è stato crescendo due figli — a volte, può darsi, con troppa indulgenza — che mi sembra di essermi avvicinata al mondo maschile, o forse di averlo capito meglio. Avevo una gran paura degli uomini, una paura che avevo percepito da sempre: negli anni Trenta e Quaranta quando sono cresciuta io in Irlanda, gli uomini e le donne vivevano completamente separati, c’erano spesso liti nelle case, in famiglia. In chiesa uomini e donne sedevano separati, in zone diverse. Quindi avevo paura degli uomini, della loro violenza e anche della loro volontà di controllo. Ho sposato un uomo propenso al controllo il che significa che ho sposato una persona che temevo, pensate quanto sono perversa. Diciamo che il groviglio lo ha sciolto la maternità: lì ho iniziato a capire il maschile».
Lo ha anche celebrato, mi riferisco a molti dei suoi racconti brevi.
«Soprattutto in uno, I re della pala, che traccia la difficile condizione fisico-emotiva di un ragazzo della campagna irlandese che, trasferitosi a Londra per lavorare come operaio in strade e cantieri, si ritrova rinchiuso per sempre in quel ruolo. Al di là del femminile e del maschile, quello che mi piace fare è prendere qualcuno, un uomo, una ragazza, una donna, qualcosa di palpabile, e poi inserirlo con la sua vicenda in un contesto politico. Una storia umana, senza fare psicoanalisi».
Eppure, la psicoanalisi fu per lei un’esperienza rivelatoria.
«Sì, e in particolare il lavoro portato avanti con lo psicoanalista Ronald Laing che ha avuto un’enorme influenza sulla mia vita e sulla mia psiche. Laing era una persona complessa pronta ad applaudire la salute mentale e a lottare per eliminare la follia. Mi ha formata al silenzio e al coraggio. E voglio assolutamente essere chiara: sono stata io a chiedergli di darmi l’Lsd, non me lo ha imposto. Sentivo, penso giustificatamente, che avrebbe allargato i miei orizzonti. Quello che ignoravo è che tutto ciò avrebbe avuto un prezzo: nel mio caso fu un anno di follia e allucinazioni. Se un lettore dovesse, ad esempio, leggere uno dei miei libri scritti prima dell’esperienza con l’Lsd e poi Night senza conoscere il nome dell’autore non credo che sarebbe in grado di capire che si tratta della stessa persona. Fece tutto parte di esperienze che misero le emozioni al centro della mia esistenza, e della mia letteratura. Mi intensificarono».
Anche l’austriaco Thomas Bernhard usò il termine «intensificare» rivolto al proprio cuore narrativo. Si riferiva alla terapia d’urto dell’isolamento che gli potenziò la visione emotiva.
«Amo Bernhard proprio per questo. Nei suoi libri sembrano non esserci emozioni e invece ce ne sono di profondissime. È uno scrittore severo ma quando lo leggo sento il palpito di una persona estremamente arrabbiata, al tempo stesso brillante, isolata, epicurea. Il controllo dell’emozione sulla pagina, dopo che nella vita la stessa emozione è sgorgata senza controllo: è tutto. Così è stato con Ragazza: non volevo scrivere un libro sentimentale, non volevo nemmeno scrivere un libro barbaro perché avrebbe perso la realtà di noi uomini. Cosa ci rimane se non capire chi siamo veramente?».
C o n s t a t a r e l ’ u mano: l ’ a t to p o l i t i c o d i E d n a O’Brien.
«Credo che la più grande educazione nella vita venga dalla letteratura. Non è in grado di fermare le guerre, e probabilmente non lo sarà mai, ma gli effetti che ha sul nostro io interiore sono molto profondi. Nel mondo superficiale bramoso di cliché in cui viviamo è necessaria più che mai. È uno sforzo sacro».
Marco Missiroli
L’autore dell’intervista desidera ringraziare Antonella Zucchelli e Greta Messori per l’aiuto
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