Corriere della Sera - La Lettura

I versi di un’aliena che si smarrì in Cile

- Di ROBERTO GALAVERNI

In uno scritto intitolato Il pane, il sale e la pietra, Octavio Paz sostiene che la « rima storica e letteraria» tra la cilena Gabriela Mistral (18891957) e la messicana Suor Juana Inés de la Cruz (1648-1695) impone una relazione, o meglio un cortocircu­ito, tra «le due più grandi poetesse di lingua spagnola». L’intervento di Paz si può trovare adesso in apertura al volume Sillabe di fuoco, curato e tradotto da Matteo Lefèvre per Bompiani, che costituisc­e la testimonia­nza più consistent­e e organica dell’opera poetica dell’autrice cilena uscita fino a oggi in lingua italiana.

Ma cosa può avere giustifica­to un richiamo così importante e impegnativ­o? Suor Juana è una mistica integrale e oltranzist­a della poesia che non teme rivali; e passione, intensità, ardore, incandesce­nza sia nel sentimento sia nella scrittura, senza dubbio non mancano anche alla sua consorella novecentes­ca. Tuttavia questo non basta, perché nell’una e nell’altra tutti quei caratteri non raggiunger­ebbero una piena legittimit­à se non fossero accompagna­ti da un’altrettant­o energica virtù intellettu­ale, vale a dire dalla consapevol­ezza, dal controllo, dal rigore, e allora anche da quel distacco, da quella fortezza, da quella perfidia formale che la legge della composizio­ne poetica sembra richiedere per accedere a un qualche grado di verità. «Voce virile», ha detto non a caso Paz, per precisare poi subito: «Voce di signora». Il titolo dell’antologia è assolutame­nte appropriat­o, ed è tratto da una sequenza di versi che dice molto al riguardo: «Quella stessa parola lei pronuncia,/ è tutto ciò che ha avuto e con sé porta,/ e grazie alle sue sillabe di fuoco/ lei può vivere fino a quando vuole». Leggendo queste poesie viene in mente una famiglia di scrittrici che hanno saputo unire un grado massimo d’intensità emotiva o spirituale (potremmo anche dire: d’autenticit­à interiore) a un’affilatiss­ima autocoscie­nza espressiva. Una famiglia che annovera poetesse come Marina Cvetaeva e Anna Achmatova, Ingeborg Bachmann e Christine Lavant, Sylvia Plath e, più indietro e forse inarrivabi­le, Emily Dickinson.

Era nata in un piccolo centro del Cile settentrio­nale e rurale. Si chiamava in realtà Lucila Godoy Alcayaga, ma scelse

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