Corriere della Sera - La Lettura
Il tempo che faceva la storia
Il ruolo del clima Eruzioni vulcaniche, città cancellate da tempeste, stagioni più calde: perché serve studiare la meteorologia antica
La città inghiottita dal mare
Ha senso chiedersi se Amsterdam sarebbe stata così importante se nel 1362 la tedesca Rungholt non fosse stata sommersa
Un giorno di gennaio del 1362, estremi lembi settentrionali della Germania. Si scorgono nuvole nere all’orizzonte ma è normale, di questa stagione, e forse nessuno se ne cura troppo. Ma a grande distanza da qui, nell’Oceano Atlantico sta montando una spaventosa tempesta che ha cominciato a spostarsi verso nord-est. Quando arriva sulle coste dell’Irlanda è ormai un autentico uragano. Le coste dell’isola e quelle della vicina Inghilterra meridionale ne vengono devastate. Ma il peggio deve ancora arrivare.
Sulla costa della Germania settentrionale la pioggia ha già cominciato a cadere fitta e il vento sta montando con tremenda violenza. La tempesta arriva sul continente e l’enorme massa d’acqua si spinge verso la costa bassa e piatta. Una sfortunata combinazione di venti violenti, alta marea e pressione atmosferica estremamente bassa nell’occhio del ciclone fa alzare il livello dell’acqua di diversi metri dando origine a un’enorme ondata, simile a uno tsunami. L’inondazione taglia a metà una penisola della Frisia meridionale, generando l’isola di Strand. Nel suo cammino impetuoso spazza via una bella fetta di territorio, compresa la parte su cui sorge la città di Rungholt. Le abitazioni, le chiese, le ricchezze dei mercanti: tutto si inabissa per sempre. E così, da qualche parte, sul fondo marino, si trova oggi ciò che rimane di quella fiera città portuale medievale.
L’autore del libro di cui stiamo parlando, lo svedese Marcus Rosenlund, comincia proprio da qui, raccontando come in quel giorno terribile sia cambiata l’intera geografia costiera del Mare del Nord e indagando le successive conseguenze della tragedia. La sua considerazione finale sulle conseguenze della catastrofe non è per nulla campata in aria: Amsterdam sarebbe diventata uno dei grandi snodi commerciali del Nord Europa se tutti quei porti medievali non fossero stati devastati alcuni secoli prima? Così la storia inizia a prendere forma. Cominciando dal più remoto passato per raccontare quanto l’uomo e il clima siano strettamente legati. Quanto la storia delle civiltà e della cultura abbia bisogno anche della storia naturale, climatica e geologica per essere compresa e spiegata fino in fondo.
Non fatevi fuorviare dal titolo italiano del volume: I 10 disastri climatici che hanno cambiato il mondo (Garzanti) banalizza un po’ il senso del racconto di Rosenlund, che infatti in svedese è intitolato più sobriamente Il clima che cam
bia il mondo. Forse meno efficace ma sicuramente più legato al senso del libro. Non un elenco di fatti eccezionali e mirabolanti ma una vasta ricostruzione
di eventi a sostegno di tesi di fondo molto importanti: si capisce meglio la nostra storia se proviamo a pensare noi stessi, in quanto genere umano, come una parte integrata dell’ambiente naturale in cui viviamo.
Così, eccoci proiettati all’epoca in cui i nostri lontani antenati cominciarono a spingersi fuori dall’Africa. Una migrazione che coincide con un collo di bottiglia genetico nello sviluppo umano, avvenuto tra 50 mila e 100 mila anni fa. Una popolazione composta da un numero di individui in fondo esiguo, tra i tremila e i diecimila. E la cui migrazione è forse da associare a una spaventosa eruzione vulcanica, quella del vulcano Toba nell’attuale Indonesia, che si verificò attorno a 74 mila anni fa e che provocò effetti devastanti sul clima e sulle condizioni atmosferiche.
Poi, naturalmente, è chiaro: troppa distanza per poter dire una parola sicura su quei fenomeni così antichi. C’è chi sostiene che quel fenomeno provocò un raffreddamento, un inverno vulcanico, durato secoli; c’è chi ritiene invece che l’eruzione ebbe effetti molto più modesti. Ma è evidente che vale la pena guardare anche in quella direzione per capire la nostra storia.
Il discorso si snoda attraverso un percorso lungo. Dai tempi lontani in cui il Mar Nero smise di essere un lago e la lingua di terra dove oggi si trova il Bosforo fu colmata dalle acque, sino alle avventure dei navigatori vichinghi. Al di là di certe interpretazioni di fenomeni culturali forse un po’ troppo azzardate, rimane il dato di fondo innegabile: il clima è parte imprescindibile per capire gli spostamenti e le migrazioni, e talvolta per capire anche certe improvvise trasformazioni economiche e politiche. Come nel caso dei mongoli, ad esempio.
Siamo alla metà del XIII secolo quando la loro ondata devastatrice si spegne quasi improvvisamente ai confini d’Europa. Dopo avere invaso la Polonia e l’Ungheria, i mongoli puntano su Vienna, ma lì le sorti della guerra si ribaltano.
Nel 1242, appena due mesi dopo avere attraversato il Danubio e prima di mettere in ginocchio la capitale austriaca, i temuti guerrieri asiatici tornano improvvisamente sui loro passi e riprendono la rotta dell’Est verso le steppe della Russia. Che cos’è successo? — si chiede l’autore sulla scorta di numerosi studi che ormai hanno affrontato l’argomento. Una possibile spiegazione può essere trovata nel bizzarro clima europeo.
Il tempo atmosferico, che ha aiutato i mongoli a edificare il loro regno, adesso volge loro le spalle. Fonti storiche ci mostrano che verso la fine degli anni Trenta del XIII secolo il clima in Europa è caldo e asciutto, come lo è stato generalmente durante tutto il periodo caldo medievale, che in linea di principio perdura ancora. Ma all’inizio del decennio successivo, il clima si fa più umido e freddo. Forse bastò davvero questa penuria di cibo per uomini e cavalli, forse altre furono le ragioni. Non è detto che sia l’unica risposta ma di sicuro quel dato, leggibile tanto attraverso le fonti quanto attraverso i resti della vegetazione di quei tempi, va perlomeno tenuto in considerazione.
Insomma, un libro interessante, divulgativo e volutamente piacevole nella lettura, che racconta una storia importante a cui tutti faremmo bene a dare un po’ più di ascolto.
Da molto tempo gli studiosi fanno anche storia del clima, da molto tempo si interessano dei fenomeni naturali e dei rapporti dell’uomo con l’ambiente che lo circonda. Mai come oggi una visione integrata si dimostra particolarmente utile. Non per fare del facile determinismo: per dire cioè che senza quel particolare fenomeno le cose sarebbero andate diversamente. Piuttosto per sforzarci di cogliere sempre di più e sempre meglio il nostro ruolo di esseri viventi al pari degli altri. E attraverso questa chiave pensare a una nostra storia integrata a quella del pianeta che abitiamo e per il quale mostriamo sin troppa indifferenza.