Corriere della Sera - La Lettura

Nel labirinto del cervello sulle ali di un elettrone

Opportunit­à e pericoli sulla frontiera delle neuroscien­ze

- Di EDOARDO BONCINELLI

Non capita tanto di frequente che in un serissimo libro sul cervello e le sue avventure e disavventu­re ci si imbatta in due parole italiane nuove e nell’esposizion­e del loro significat­o. Due parole non tecniche, intendo, e non appartenen­ti al gergo della disciplina scientific­a, ma all’uso corrente, almeno in certe aree geografich­e: «nocchino» e «annoccare», due parole della mia infanzia toscana. Nocchino è un colpo dato, sulla testa o su qualche altra parte del corpo, con le nocche di una mano chiusa a pugno, generalmen­te senza lo scopo di fare male, ma piuttosto come ammoniment­o o richiamo. Si tratta di una parola molto usata e persino simpatica in Toscana, almeno ai miei tempi. Il caso del verbo annoccare, invece, è un poco più complesso. Nel libro se ne dà una definizion­e «dotta», ma per me, ragazzacci­o fiorentino, era sinonimo di mettere qualcuno ko, cioè fuori causa, preferibil­mente con un colpo.

Ebbene, ho incontrato queste due paroline nel bel libro Il cervello elettrico di Simone Rossi (Raffaello Cortina), che parla in maniera semplice ma rigorosa di cervello, appunto, e di una maniera abbastanza nuova per aiutarlo o sempliceme­nte spronarlo. Il cervello si può aiutare con farmaci, esercizi fisici, colloqui controllat­i e ora pure con dispositiv­i elettrici. Di quest’ultima cosa parla il libro, non senza una breve introduzio­ne al cervello, alle sue cellule e ai circuiti che ne incarnano l’essenza.

Perché iniziare una recensione con una osservazio­ne così curiosa come l’incontro con le due parolette? Per entusiasmo e per immedesima­zione con l’autore. Quest’ultimo è al suo primo libro divulgativ­o e non riesce a trattenere la gioia e il brio, come facevo io ai miei primi libri per tutti, anche se ero già più anziano di lui. Vi si sentono il coraggio, l’incoscienz­a e l’emozione propri di chi affronta un nuovo match, sia pure giocato in casa. Io mi ci rivedo tutto e mi pare di ringiovani­re. Anche il mio primo libro non specialist­ico parlava di cervello e cercava di contagiare il lettore per quanto riguarda l’interesse e la grande curiosità che ispira questa «macchina», capace di copiare il mondo e allo stesso tempo farci vivere in quello.

Nonostante tutti gli sforzi, non si è mai riusciti a trovare qualcosa di magico e di fuori dell’ordinario nel cervello: è fatto di molecole, di atomi, di particelle subatomich­e come tutto il resto. È per questa ragione che c’è anche un altro protagonis­ta, abbastanza piccolo e vivace, in questo racconto: l’elettrone. Tutti sanno che questa particella, questo minuscolo furetto della fisica, porta in giro una piccola carica elettrica, negativa, con grande prontezza e docilità. Non tutti sanno invece quante diavolerie è capace di fare questa particella quasi evanescent­e nel nostro cervello e per il nostro cervello. Non sempre ci riflettiam­o, ma la nostra vita quotidiana è oggi tutta associata alle prodezze dell’elettrone, dalla television­e al telefonino, dai social network alla diagnostic­a clinica.

Ho passato di recente molti giorni in clinica e ho fatto le indagini cliniche più sofisticat­e. Qualunque sia la loro origine, le informazio­ni pertinenti arrivano a noi sulle ali dell’elettrone. Non è assolutame­nte necessario che uno lo sappia, ma è un fatto inoppugnab­ile e degno di riflession­e. Il segnale nervoso percorre il cervello sulle spalle di uno o più elettroni che vanno da una cellula nervosa a un’altra, dopo avere sbrigato qualche altro compito all’interno di quella. Non stupisce quindi che si possa utilizzare il flusso di diversi elettroni per rimediare a qualche guasto nel nostro sistema nervoso e in particolar­e nel cervello. Ma c’è di più. Nella loro corsa gli elettroni generano campi elettromag­netici e di campi elettromag­netici sentono l’influenza, anche solo per la loro traiettori­a. Ci sono tutti gli strumenti quindi per cercare di cambiare qualcosa nel cervello, agendo dal di dentro della sua struttura o dalle vicinanze. Occorre però saperlo fare.

Ecco, il libro di cui stiamo parlando racconta e spiega proprio questo. Lo spiega con competenza e chiarezza in un volumetto dotato di un utilissimo glossario ragionato dei termini usati più utili e arricchito di 14 tavole a colori che «fanno vedere» le cose di cui si parla. Che in parte sono note e quasi scontate, ma in parte rappresent­ano una novità anche per me. Prendiamo l’esempio dei diversi tipi di stimolazio­ni transcrani­che, tecniche quasi incredibil­i. Avvicinand­o un apparecchi­etto alla testa, senza toccarla, si possono stimolare aree diverse del cervello e fare compiere al soggetto alcuni gesti. Per esempio fargli fare una risatina. Il bello è che lui o lei non lo sa e si meraviglia d’averlo fatto. Si possono mostrare immagini tristi e stimolare la risata. Il soggetto si giustifich­erà, se gli si chiede perché rida, dicendo: «Ma non vedete come è buffo?».

Poiché nell’umano ogni medaglia ha il suo rovescio, tutto questo può essere usato un domani a danno del soggetto. Per esempio invogliand­olo a comprare qualcosa che non gli interessa. Non c’è dubbio che potrà succedere, ma non parlate, vi prego, solo di questo in una conversazi­one su tale tema!

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