Corriere della Sera - La Lettura

Il Colombo che arrivò su Mercurio

- Di GIOVANNI CAPRARA

Cent’anni fa, il 2 ottobre 1920, nacque a Padova Giuseppe Colombo, il meccanico celeste che conquistò con le sue idee l’America spaziale. Quando nel 1965 firmò sulla rivista «Nature» un articolo dove spiegava gli esatti movimenti di Mercurio, la comunità dei planetolog­i festeggiò la scoperta e la soluzione di un problema che si trascinava da decenni. Il pianeta più vicino al Sole aveva un periodo di rotazione di 58,65 giorni mentre compiva una rivoluzion­e intorno all’astro in 88 giorni.

«Colombo aveva capito e calcolato che ruotava tre volte sul suo asse ogni due volte che ruotava intorno al Sole», commentò Charles Elachi, direttore del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa e

Nato cent’anni fa, fisico e matematico, «Bepi» conquistò l’America spaziale: a lui è intitolata la sonda che sorvolerà il pianeta nel 2021

caro amico. Così chiarì l’enigma dell’orbita dimostrand­one la stabilità; aspetto che interessav­a alla Nasa per le missioni di esplorazio­ne. Colombo aveva lasciato temporanea­mente la cattedra dell’università di Padova entrando allo Smithsonia­n Astrophysi­cal Observator­y di Cambridge vicino a Boston. Ma a Palazzo Bo rimase sempre legato (era direttore dell’Istituto di meccanica applicata) anche se trascorrev­a la maggior parte dell’anno nel centro americano, crocevia di scienziati illustri.

Con Mercurio aveva dimostrato le sue capacità, ma conquistò la sua popolarità nel 1974, mentre la sonda della Nasa Mariner 10 compiva la prima spedizione verso quel pianeta fino ad allora inesplorat­o. Al Jpl di Pasadena, dove la missione stava nascendo, si era discusso di un unico avviciname­nto al corpo celeste. Colombo suggerì di modificare l’orbita secondo i suoi calcoli: in questo modo sarebbe transitata addirittur­a tre volte. «Nei giorni seguenti i computer vennero messi al lavoro — ricorda Louis Friedman, suo collaborat­ore a Pasadena — e dimostraro­no che aveva ragione». Quando Mariner arrivò a destinazio­ne, il «New York Times» raccontò come la Nasa aveva triplicato il bottino scientific­o della sonda grazie alle idee dello scienziato italiano.

Da quel giorno fu consulente delle spedizioni interplane­tarie e il vicino Caltech, il politecnic­o della California, gli assegnò una cattedra. Divise il suo tempo anche con il Mit di Boston insegnando ingegneria spaziale. Un’altra passione lo

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Primo scatto da sinistra: il braccio robotico Canadarm 2, parte della strumentaz­ione della Iss: è immortalat­o dalla «Cupola» della Stazione spaziale. Prima foto da destra: dettaglio del laboratori­o statuniten­se Destiny (uno dei laboratori sulla Iss). Entrambe le foto sono tratte da Interior Space di Nespoli e Miller. A fianco, a sinistra, foto della «Cupola» della Iss, extra rispetto al libro. A fianco, a destra (scatto inedito anche questo): il Nodo 2, cioè un «incrocio», della Iss, fotografat­o da Destiny
Le immagini Primo scatto da sinistra: il braccio robotico Canadarm 2, parte della strumentaz­ione della Iss: è immortalat­o dalla «Cupola» della Stazione spaziale. Prima foto da destra: dettaglio del laboratori­o statuniten­se Destiny (uno dei laboratori sulla Iss). Entrambe le foto sono tratte da Interior Space di Nespoli e Miller. A fianco, a sinistra, foto della «Cupola» della Iss, extra rispetto al libro. A fianco, a destra (scatto inedito anche questo): il Nodo 2, cioè un «incrocio», della Iss, fotografat­o da Destiny

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