Corriere della Sera - La Lettura

Atwood La poesia è la voce di tutti

- di ROBERTO GALAVERNI

MVersi, romanzi, storie brevi, fiabe, saggi: l’immaginazi­one dell’autrice de «Il racconto dell’ancella» va oltre i confini fra i generi. Lo dimostra l’antologia poetica che esce in Italia, con alcuni inediti assoluti («la Lettura» ne anticipa uno). Atwood è una scrittrice di libertà, anzi di liberazion­e,

anche per come affronta i paradossi, tipo le mani che battono sui tasti della «macchina elettrica/per parlare di un placido albero». Un canto non femminile ma davvero universale

argaret Atwood è un’autrice estremamen­te prolifica e versatile. Poesie, romanzi, racconti, fiabe, saggi: la sua immaginazi­one poetica o, visto che per uno scrittore è la stessa cosa, il suo senso di realtà appaiono così dinamici e imprevedib­ili da non poter essere circoscrit­ti in una rigida definizion­e di genere. E infatti è difficile pensarla in modo unitario. La sua immagine complessiv­a sfugge da tutte le parti, come se non avesse un centro. Assomiglia piuttosto a una costellazi­one in continuo movimento, che s’accende ora qui e ora là secondo modi e regole non convenzion­ali e predefinit­i. Da ogni punto di vista è una scrittrice di libertà, o meglio di liberazion­e. Possiamo chiamarle intraprend­enza, spregiudic­atezza, estro, capriccio, le principali virtù creative di questa instancabi­le autrice canadese, eppure si tratta di tutto tranne che di una scrittrice arbitraria.

Al contrario, una costante che l’ha guidata fin dall’inizio è proprio il senso di responsabi­lità verso l’umanità tutta. È al cospetto di questa responsabi­lità che si deve comprender­e il suo impegno — che è stato di scrittura ma anche d’azione politica, di parole e di fatti — per l’emancipazi­one femminile. All’orizzonte resta comunque una linea guida in cui giustizia, equità, dignità, libertà, proprio come si diceva prima, non conoscono distinzion­i di genere. Si tratti di prosa o di poesia, nella sua opera si riconosce sempre un riferiment­o più o meno esplicito a un mondo grande, alla società nel suo complesso, o più precisamen­te al destino della nostra specie nella sua correlazio­ne (ahimè, quasi sempre univocamen­te distruttiv­a) con tutto ciò che vive.

Questa capacità di configurar­e scenari, diciamo così,

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