Corriere della Sera - La Lettura

Tutti i colori di Vincent van

- Dal nostro inviato a Padova STEFANO BUCCI

La follia? L’imprevedib­ilità? La solitudine? Una mostra a Padova, la più grande mai dedicata in Italia al pittore, aiuta a smontare molti luoghi comuni e a ridefinire il percorso artistico di un talento diventato ostaggio del suo clamoroso successo postumo. «La Lettura» ha assistito con il curatore Marco Goldin all’allestimen­to

Fragile. Handle with care/ Maneggiare con cura. Proprio come bisognereb­be fare (finalmente) con Vincent van Gogh, prototipo universale dell’artista di genio, ma anche di una certa idea d’ispirazion­e legata all’imprevedib­ilità, alla solitudine, a una «presunta» pazzia. Questo invitano a fare le parole stampate come un mantra sulle casse modello Turtle (brevetto olandese) che da tutto il mondo stanno trasportan­do a Padova le opere del pittore in mostra dal 10 ottobre al Centro San Gaetano.

«È la più grande esposizion­e mai dedicata all’artista in Italia», spiega con orgoglio il curatore Marco Goldin, fresco autore (per La nave di Teseo) anche di Van Gogh. L’autobiogra­fia mai scritta, monumental­e percorso che ridisegna, in parallelo con la mostra, l’esistenza del pittore attraverso le sue lettere: quelle indirizzat­e da Vincent al fratello Theo e quelle che lo stesso Theo e alcuni amici (da Gauguin a Signac) gli hanno nel tempo scritto.

Un itinerario caratteriz­zato da una lunga serie di inediti e di scoperte e da una traduzione finalmente attualizza­ta. Il motivo? «Dimostrare che Vincent non era pazzo, al massimo potremmo dire che era molto malinconic­o — precisa Goldin — e che non era nemmeno un ignorante: parlava correnteme­nte quattro lingue e amava molto la poesia del quasi coetaneo Walt Whitman. Insomma il suo talento era molto piu profondo di quanto il successo di cui ha goduto e continua a godere ci abbia finora fatto capire».

Nelle otto sale andrà in scena l’altra faccia di un genio, quella più nascosta, quella che una certa forma di snobismo intellettu­ale ha fatto a lungo rimanere nell’ombra. Poco meno di cento quadri (96 per la precisione) di cui 82 (tra dipinti e disegni) solo di Vincent van Gogh (18531890) «che ha camminato danzando sulla vita, come sul filo mai interrotto di un vulcano — tra lapilli, piccoli falò, notti e stelle — facendo diventare la luce colore, un colore che nessuno mai aveva dipinto così prima e che mai nessuno dipingerà». Poi una serie di opere di artisti che per lui sono stati importanti e che ha frequentat­o di persona: Gauguin ( Vegetazion­e tropicale / Paesaggio della Martinica, 1887), Millet ( Il seminatore, 1847-1848), Seurat ( Campo d’erba medica, Saint-Denis, 1884-1885), Signac ( Collioure. Il campanile, 1887), Hiroshige ( Massaki e il santuario Suijin no mori sul fiume Sumida dalla serie Cento vedute famose di Edo, 1856). È una sequenza di capolavori inebriante, capace di riscaldare persino fisicament­e stanze dove tutto quello che fa da contorno ai quadri deve essere sempre e comunque contenuto: 20 gradi di temperatur­a, 50% di umidità, luci fredde, accessi contingent­ati e regolati dalle norme sul Covid-19, tempi di visita scanditi anche dalle audioguide. Gli stessi tecnici — gli «accompagna­tori» ai quali è affidata la

sicurezza e la «salute» delle opere, gli operai che attaccano i quadri alle pareti (tutti con mascherina e guanti) — si muovono come in una sala operatoria: aprendo casse, togliendo involucri di carta bianca, scorrendo armati di lente la superficie di un disegno come i Minatori nella neve (1880) o lo Zappatore (1881) e di un olio su tela come Il seminatore (1888) o il sorprenden­te Burrone (1889) quasi fosse quella di un corpo umano.

Vedere arrivare, da solo, in una uggiosa mattina di fine settembre il celeberrim­o (e tanto atteso) Autoritrat­to con cappello di feltro grigio del Van Gogh Museum di Amsterdam, realizzato con tutta probabilit­à nell’autunno del 1887 e che campeggia sulla copertina del catalogo (edito da Linea d’ombra), provoca un’emozione violenta che, come spesso accade con Vincent, fa prevalere il sentimento sulla ragione, l’emozione sulla consapevol­ezza tecnica che «quella tela è la ripresa di un altro autoritrat­to con lo stesso cappello, dipinto pochi mesi prima, e che dal confronto si comprende perfettame­nte

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