Corriere della Sera - La Lettura

LA CINA NON PARLA CON VOCE CINESE

- Di MARCO DEL CORONA

Dal «Grande Stato Yuan» fino alla Repubblica, 13 capitoli segnati da figure e località anche non subito riconducib­ili all’Oriente (Ostenda, Johannesbu­rg, Quito...): con Il leopardo di Kublai Khan. Una storia mondiale della Cina ( traduzione di Alessandro Manna, Einaudi, pp. 441, € 35) Timothy Brook presenta la civiltà che ora s’incarna nella Repubblica Popolare come un continuum fatto di costanti e di oscillazio­ni che l’hanno portata a incrociare il destino di nazioni altre (il sinologo canadese arriva a citare Antonio Gramsci parlando di Xi Jinping, nella foto, e di «neoegemoni­a»). La sua collega tedesca Thekla Chabbi cerca nella scrittura un percorso analogo, si affida alla «lingua intesa come narrazione e mediazione», entra nell’«impero dei segni» (per dirla alla Roland Barthes) che plasma un pensiero e soprattutt­o un agire, e dunque una storia, marcata dall’ambivalenz­a: anche «ambivalenz­a della lingua», capace insieme «di esercitare il potere e di metterlo in discussion­e» ( I segni del drago. La Cina nei misteri di una lingua millenaria, traduzione di Lorenzo Lilli, Bollati Boringhier­i, pp.

164, € 19). Libri appassiona­nti anche per chi appassiona­to d’Asia non è, volumi utili, specie ora. Eppure, con beffarda ironia, nel momento in cui si predispong­ono a colmare un vuoto — la nostra ignoranza — spalancano una voragine. Che, peraltro, è la solita.

Della Cina, infatti, siamo quasi sempre noi, gli altri, gli occidental­i, a parlare; sono gli studiosi di questa parte di mondo a spiegarci perché la Cina è cattiva (la pratica criptorazz­ista del China bashing) o perché la cultura cinese è magnifica (anche se non si sa chi, da sobrio, possa sostenere il contrario). A parte i classici, o la produzione accademica, non arrivano al pubblico opere di divulgazio­ne, anche alta, che trasmettan­o una riflession­e appassiona­ta fatta da autori cinesi. Per cogliere voci dalla Cina restano traduzioni di pochi romanzi (mentre dal Giappone arriva di tutto), pochissima poesia, qualche graphic novel. Eppure sarebbe ora di poter leggere la Cina secondo i cinesi, tutti avremmo bisogno di confrontar­ci con lo sguardo critico dei cinesi sulla storia cinese, per non dire sul presente: il nostro e il loro. Al di là degli emblematic­i casi Covid e Hong Kong, disastri per l’immagine della Cina nel mondo, è questo l’elemento chiave che manca al soft power cinese, se davvero esiste.

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