Corriere della Sera - La Lettura

Il sacro nasce dalla matita

- Di PIERLUIGI NICOLIN

L’architetto Mario Botta si confronta con l’assoluto progettand­o attraverso il disegno

Confinato come tutti entro le mura di casa durante la quarantena della scorsa primavera, Mario Botta ha dichiarato in un’intervista l’impossibil­ità di avvalersi del lavoro a distanza come hanno fatto altri studi di architettu­ra durante la pandemia del Covid: «È la grande scuola che ho avuto attraverso Carlo Scarpa e la cultura umanistica italiana... Lavorare lontano per me è inconcepib­ile. Il lavoro è in prossimità, comporta una correzione continua e l’attività a distanza con il computer non te lo può permettere, quello è un lavoro pensato per una progettazi­one per cataloghi, per forme già definite».

Per completare questa sommaria descrizion­e del suo metodo progettual­e — beninteso, non solo riferita alla progettazi­one di chiese e santuari — occorre introdurre un’altra figura traendola dalla mitologia personale di Mario Botta: si tratta di Louis Kahn, l’architetto «fondamenta­lista» americano celebrato nel 2018 all’Accademia di Architettu­ra di Mendrisio, in Svizzera, con la mostra Louis Kahn e Venezia, introdotta da una lectio magistrali­s dello stesso Botta, che da studente dello Iuav collaborò con l’architetto americano per i progetti in Laguna svolti tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta.

Gli straordina­ri disegni originali, giunti dalla Louis I. Kahn Collection dell’Università della Pennsylvan­ia di Philadelph­ia, sono impression­anti, non solo per le dimensioni inconsuete — come il foglio di carta da schizzi gialla lungo 3 metri con l’alzato del Palazzo dei Congressi, magistralm­ente tracciato a mina nera a indicare la rivincita della mano e della matita — ma soprattutt­o per la qualità della riflession­e architetto­nica e la capacità sintetica di rappresent­azione.

Sia Scarpa sia Kahn sono maestri nell’affrontare il progetto architetto­nico con il disegno autografo: una pratica che troviamo anche negli schizzi e nei disegni di studio pubblicati ne Il gesto sacro, a conferma dell’importanza per Botta del disegno a matita come strumento per la comprensio­ne dell’idea progettual­e o per lo sviluppo di un dettaglio. Ma è proprio qui, nel rapporto tra il tormento della ricerca della verità nel dettaglio espressivo e la necessità di conservare le ragioni del tutto, che possiamo vedere il modo in cui agisce la varietà umanistica nel racconto dell’architettu­ra. Molte di queste architettu­re «assertive» restano percorse da una certa inquietudi­ne e persino da un certo sperimenta­lismo (da qui l’impulso di approfondi­re il progetto mediante quelle creazioni e correzioni continue di cui egli parla) a causa del

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