Corriere della Sera - La Lettura
Le tracce di vita forse provengono dalla Terra
Che cosa ci dice la fosfina (già rintracciata nelle atmosfere di Giove e Saturno) trovata sul pianeta
sastra atmosfera nebbiosa con un orizzonte impossibile da cogliere. L’inferno era confermato. Ma rimase misteriosa la coltre perenne delle nubi che salivano a un centinaio di chilometri: per smascherarne i segreti la Nasa spedì due Pioneer Venus da una delle quali si scagliarono nei gorghi gassosi quattro capsule. Dall’orbita, gli strumenti scoprirono che il monte Maxwell — 10,8 chilometri — era il più alto del pianeta.
Ma la missione più spettacolare fu ancora opera dei sovietici. Nel 1984 dalle due sonde Venera spedite per scrutare la cometa di Halley, lungo il transito in prossimità di Venere lasciarono scendere un pallone aerostatico che volò nelle nuvole per quasi due giorni e pure un modulo che sbarcò per trivellare il suolo. A quel punto l’interesse si estese sempre più alla superficie e le nuove sonde imbarcarono radar capaci di scandagliare oltre le nubi. In questo modo una Venera e soprattutto l’americana Magellan compilarono alla fine degli anni Ottanta una mappa del pianeta per molti aspetti più precisa di quella che allora si possedeva della Terra.
L’idea di una possibile vita con il tempo trovò forza grazie a nuove ricerche. Carl Sagan ipotizzò che l’assorbimento di radiazioni solari fosse dovuto alla presenza di microorganismi. Ora la scoperta della fosfina, dopo una quarantina di spedizioni, sembra andare in quella direzione. L’amministratore della Nasa, Jim Bridenstine, ha twittato: «È ora di dare la priorità a Venere». Sul suo tavolo ci sono due proposte diverse che attendono decisioni. Una battezzata DaVinci dovrebbe portare nell’atmosfera una sfera dotata di un laboratorio chimico in grado di esaminarne i gas e le condizioni dell’anidride carbonica che negli strati bassi, a causa dell’elevata pressione, sarebbe addirittura allo stato liquido. Il veicolomadre dovrebbe rimanere in orbita per un’intera annata a rilevare le variazioni nuvolose. La seconda proposta è Calypso e prevede un pallone atmosferico in volo a 50 chilometri d’altezza dal quale fare scendere un cavo per una quarantina di chilometri. Alla sua estremità le camere fotografiche riprenderebbero valli e monti con un dettaglio inferiore ai 10 centimetri.
E mentre la società Rocket Lab propone una piccola missione privata, c’è un’impresa ancora più ambiziosa che da tempo impegna Nasa e Roscosmos, unendo esperienze russe e americane. Insieme stanno organizzando la missione Venera-D formata da una sonda destinata a rimanere in orbita per cercare microorganismi. Poi libererà minisatelliti con compiti diversi e soprattutto un corposo modulo di sbarco realizzato negli Usa concepito per sopravvivere a lungo analizzando la composizione chimica delle rocce e rilevare terremoti. La partenza è prevista nel 2026 ma il progetto sarà definito solo nel 2023, quando su Venere arriverà una sonda indiana. In origine su Venere doveva scorrere acqua in abbondanza e gli scienziati si chiedono che cosa abbia provocato la sua scomparsa e la nascita dell’imponente effetto serra. L’esplorazione mira a decifrare l’evoluzione di un pianeta che potrebbe rappresentare il destino della Terra.
Ha fatto scalpore l’annuncio che è stata trovata fosfina (PH3), molecola fatta da fosforo e idrogeno, nelle zone polari delle nubi di Venere, in quantità tale da far pensare all’esistenza di forme di vita. In verità la notizia va presa con cautela.
A volte la vita ci sorprende, è vero. Ne troviamo forme in luoghi impensabili. Comunità di animali autonome sono state scoperte nei fondali oceanici, accanto ai vulcani o ai depositi di ghiaccio e metano, luoghi senza luce e a una pressione 100 volte maggiore di quella alla superfice del mare. Altre comunità autonome sono state trovate nelle grotte, oscure e piene di gas sulfurei. E batteri nei sedimenti marini o nelle fratture della crosta terrestre a chilometri di profondità. Senza la pretesa di scoprire umanoidi, ma microrganismi, gli scienziati cercano tracce di vita sui pianeti del Sistema Solare e delle stelle vicine.
I migliori candidati sono Marte, che miliardi di anni fa aveva fiumi e laghi di acqua liquida, Titano (satellite di Saturno) con una probabile produzione di amminoacidi a basse temperature, Europa (satellite di Giove) con un oceano sotterraneo, e una ventina di pianeti simili alla Terra scoperti intorno ad altre stelle. Venere era stato scartato perché ha una temperatura superficiale di 465 °C, sufficiente a fondere il piombo, un’atmosfera vulcanica con una pressione 90 volte maggiore della nostra, e una pioggerellina di acido solforico. Niente di più ostile alla vita, poiché le nostre molecole si dissociano già sopra i 100 °C, e l’acido solforico corrode persino le rocce.
Ora spostiamo l’attenzione a 4,6 miliardi di anni fa, quando Venere, Terra e Marte si erano formati dalla nube protosolare e si raffreddavano. Tutti e tre potevano avere acqua liquida in superficie e temperature adatte alla nascita della vita. Su Venere però, più vicino al Sole, questo periodo non è durato molto: i gas serra dei vulcani (anidride carbonica, metano, vapor d’acqua) hanno fatto impennare la temperatura, cancellando qualsiasi processo chimico biologico.
Sulla Terra la vita appare 650 milioni di anni dopo la formazione del pianeta, e se in questo periodo anche Venere ha ospitato forme di vita, esse potrebbero essersi rifugiate nel sottosuolo, in uno strato intermedio con alta pressione, ma temperature adatte a conservare falde acquifere, o in alta atmosfera, sospese tra le nubi. Sulla Terra più di 1.800 specie batteriche sono state trovate nella troposfera, lo strato più basso dell’atmosfera, e microorganismi e spore sono stati scoperti fino a 77 chilometri di quota, nella stratosfera, portati da tempeste e monsoni insieme a polveri e goccioline d’acqua. Su Venere la troposfera arriva a 60 chilometri di quota, dove finiscono le nuvole, contro i nostri 12. Spore batteriche nate miliardi di anni fa potrebbero aver trovato lì una nicchia ecologica, a pressione di una atmosfera e temperature tra 0 e 60 °C. Le spore condenserebbero il vapor d’acqua e potrebbero tornare attive e riprodursi nel minuscolo mondo di una goccia d’acqua, per poi ricadere in basso quando essa è diventata pesante e restare sospese fino al prossimo «risveglio». Se spore «venusiane» producessero fosfina, spiegherebbero l’osservazione di questa molecola dove nessuno si aspettava che fosse.
Tuttavia la fosfina è stata già trovata nelle atmosfere di Giove e Saturno, prodotta dai fosfati presenti nelle nubi colpiti dai fulmini in abbondanza di idrogeno. Essa è stata trovata su Titano, essendo solubile nel metano di cui sono formati i suoi laghi. Sulla Terra è prodotta da batteri in ambienti senza ossigeno, come quelli dovuti alla decomposizione. Ma, anche se è abbondante a basse temperature, la fosfina inizia a decomporsi a 375 °C e perciò, se generata da ipotetiche forme di vita nel sottosuolo di Venere, non potrebbe attraversare gli strati densissimi del pianeta, di 100 gradi più caldi. Restano due ipotesi, se la fosfina osservata è prodotta da microrganismi: che essi siano nativi del pianeta, trasportati miliardi di anni fa ad alta quota e lì rifugiati (lo scenario di cui si è detto prima), oppure che, nati sulla Terra, siano stati lanciati nello spazio dall’impatto di una meteora. Attratti dal Sole, avrebbero potuto diffondersi nelle nubi venusiane popolandole in un processo detto «panspermia», già proposto per l’origine della vita sulla Terra. Questa provenienza, dovuta a un evento fortuito, potrebbe spiegare perché si trovi solo la fosfina e non altre molecole di origine biologica più abbondanti sulla Terra.
Indigene o forestiere che siano, ci saranno davvero forme di vita su Venere? Solo nuove ricerche ce lo diranno.