Corriere della Sera - La Lettura
Gramsci La volontà e gli affetti
La nuova edizione critica delle «Lettere dal carcere» testimonianza di un combattente gracile che non si arrese mai
Quando Antonio Gramsci indirizza alla madre Giuseppina Marcias la lettera riportata qui accanto, ha perso la libertà da circa due anni e mezzo. Arrestato l’8 novembre 1926, è stato condannato dal Tribunale speciale fascista il 4 giugno 1928 a vent’anni e quattro mesi di reclusione per la sua attività di capo del Partito comunista. È quindi dal penitenziario di Turi, provincia di Bari, che l’8 aprile 1929 spedisce la missiva, il più rilevante degli inediti contenuti nella nuova edizione critica delle Lettere dal carcere, curata da Francesco Giasi (Einaudi).
L’episodio rievocato risale alla primavera del 1921. Siamo a Torino, dove il giovane sardo, nato nel 1891, è giunto dalla sua isola per iscriversi all’università nel 1911 e poi ha abbracciato la fede politica socialista, su posizioni intransigenti. Con Palmiro Togliatti, Umberto Terracini, Angelo Tasca e altri militanti entusiasti della rivoluzione bolscevica, Gramsci ha creato nel 1919 la rivista «L’Ordine Nuovo», poi insieme a Livorno, nel gennaio 1921, hanno aderito alla scissione del Partito socialista da cui è sorto il Pci, guidato però allora dal napoletano Amadeo Bordiga.
In quella fase «L’Ordine Nuovo» diventa quotidiano e Gramsci ne assume la direzione. A suo fratello maggiore Gennaro affida il ruolo di amministratore del giornale: Nannaro (come viene chiamato affettuosamente nella lettera) è stato il primo della famiglia a professare idee socialiste (un altro dei fratelli Gramsci, Mario, è invece fascista) e ha una certa esperien