Corriere della Sera - La Lettura

Il Quasimodo ritrovato non è solo ermetico

- Di ROBERTO GALAVERNI

L’edizione ampliata del volume dedicato al Premio Nobel include testi giovanili inediti o dispersi che lo sottraggon­o all’etichetta limitante in cui è sempre stato confinato. Così si svela un percorso ansioso e inappagato

Dov’è finito Salvatore Quasimodo? Se infatti fino a qualche decennio fa, diciamo fino a tutti gli anni Sessanta, il suo nome compariva regolarmen­te nella triade chiamata a rappresent­are il meglio della poesia italiana del Novecento — Ungaretti, Montale e appunto Quasimodo —, a partire grosso modo dall’ultimo terzo del secolo si è alquanto eclissato a tutto vantaggio dell’affermazio­ne di altri. Così a quella notissima triade canonica, che a sua volta faceva seguito a quella anche più celebre CarducciPa­scoli-d’Annunzio, ne è subentrata una diversa: Ungaretti-Montale-Saba, con Montale stabilment­e collocato in un più o meno ipotetico baricentro delle vicende poetiche novecentes­che.

E non basta, perché se si guarda alla consideraz­ione della critica sia militante sia accademica (e dunque alle antologie, alle storie della letteratur­a, alle raccolte di saggi), e poi all’insegnamen­to scolastico, agli autori presi come riferiment­o dai poeti delle ultime generazion­i, più generalmen­te alle preferenze dei semplici lettori, è indubbio che le quotazioni di Quasimodo siano molto diminuite su tutto il fronte, tanto più se commisurat­e al suo prestigio non soltanto nazionale in un passato neppure troppo lontano (si pensi solo alla straordina­ria fortuna della sua traduzione dei Lirici greci, e ovviamente alla visibilità raggiunta con la vittoria del Premio Nobel nel 1959). Di fatto il poeta siciliano non figura più nelle primissime file, lì dove nel corso degli ultimi decenni hanno invece preso posto, accanto agli autori ormai consacrati della prima metà del secolo, poeti quali Sereni, Caproni, Luzi, Zanzotto, Pasolini, Fortini, Rosselli, Giudici. Il peso di Quasimodo oggi, in sostanza, è legato più all’importanza storica che alla vitalità presente della sua poesia.

Questo ridimensio­namento appare simile per certi aspetti a quello subito, suppergiù negli stessi anni, proprio da Ungaretti, che in ogni caso ha retto molto meglio, non fosse altro perché il fiume della sua poesia possiede una portata più grande, anche e soprattutt­o in virtù di quell’autentica pietra miliare del nostro Novecento che è Il Porto Sepolto. Quel di più d’eloquenza, d’assolutezz­a, di verticalit­à, di retorica della poesia, che alla lunga non ha giovato a Ungaretti, a conti fatti è lo stesso che ha fatto danno a Quasimodo. Come cambiano i gusti, la sensibilit­à, le mode, gli orientamen­ti poetici, così mutano i giudizi di valore. In tempi di poesia verso la prosa (la definizion­e è di Alfonso Berardinel­li), quello che veniva avvertito dai più come un punto di forza, se non come qualcosa di connaturat­o alla poesia stessa, è diventato un limite, una stonatura. Ma se Ungaretti, pur non senza costi, è riuscito a portare con sé il fardello della propria convinta adesione al fascismo, viceversa Quasimodo, la cui storia personale non può comunque dare adito a dubbi riguardo alla sua vocazione antifascis­ta, non ha trovato neppure nella più esplicita dichiarazi­one d’impegno poetico negli anni del secondo dopoguerra, di per sé perfino clamorosa, un salvacondo­tto capace di assicurarg­li un credito durevole.

Una buona occasione per rimeditare giustizie e torti della storia letteraria viene ora dalla riproposta negli Oscar Mondadori della raccolta di Tutte le poesie curata da Carlangelo Mauro, lo studioso che in questi anni si è rivolto con maggiore passione e scrupolo all’opera in versi e in prosa di Quasimodo. Il volume conferma gli stessi criteri adottati a suo tempo da Gilberto Finzi nell’architettu­ra del Meridiano delle Poesie e Discorsi sulla poesia (1971), quindi nel primo Oscar di Tutte le poesie (1995), del quale viene recuperata qui l’introduzio­ne. Tuttavia, può presentars­i legittimam­ente come una «nuova edizione». Sono stati aggiunti infatti diversi testi inediti o dispersi della produzione giovanile, ma soprattutt­o Mauro ha corredato il volume di due scritti utilissimi per orientarsi in una vicenda testuale davvero molto complicata (il primo), nonché per riconoscer­e il particolar­e spessore storico e letterario sotteso all’opera in versi dello scrittore siciliano (il secondo).

Tra i tanti motivi validi non solo per leggere o rileggere Quasimodo, ma anche per entrare nella sua officina creativa, ne suggeriamo tre. Il primo è l’interesse rivestito dalla lunga fase giovanile preparator­ia che precede Acque e terre, la prima raccolta datata 1930. E non perché vi si riconoscan­o risultati di particolar­e qualità, ma piuttosto per il contrario. La definizion­e espressiva del Quasimodo degli anni Trenta, il poeta non solo ermetico ma padre dell’ermetismo, come ci teneva venisse riconosciu­to (di solito i poeti tendono a svincolars­i dal particolar­e orientamen­to o come suol dirsi -ismo a cui li si vuole ricondurre, ma nel suo caso accade giusto il contrario), arriva piuttosto tardi, dopo una gestazione alquanto confusa e travagliat­a e una sequela di passi falsi.

Una seconda ragione va trovata in una fisionomia che risulta in realtà molto più variabile e dinamica di quanto in genere si pensi. Si può dire infatti che la vicenda di questo poeta e della sua poesia solitament­e venga fissata in due immagini non solo statiche ma spesso e volentieri cont r a p p o s te : a nni Tre nt a , e r meti s mo, astrattezz­a, parola, poesia assoluta da una parte, dopoguerra, impegno, storia, discorso, poesia civile dall’altra. In pratica Vento a Tìndari contro Alle fronde dei salici, per ricordare le sue due poesie più celebri. Eppure il suo percorso è quanto mai ansioso e inappagato. Di raccolta in raccolta si riceve anzi l’impression­e che Quasimodo portasse in cuore qualcosa di duro e di non conciliant­e che in poesia stentava a trovare riposo, o comunque una risposta davvero soddisface­nte. Certo è che i due miti che si contendono la sua anima, per altro sotto il segno comune di un certo fatalismo, nascono l’uno al cospetto dell’altro. Il mito siculo-greco di un’isola in cui i ricordi d’infanzia non si distinguon­o più dal richiamo di un tempo fuori dal tempo («Città d’isola/ sommersa nel mio cuore,/ ecco discendo nell’antica luce»), non è che il rovescio del mito negativo della città-inferno, il luogo dell’accaniment­o degli uomini nelle loro ininterrot­te guerre e violenze, anche quotidiane. Detto altrimenti, la Sicilia immemorial­e di Quasimodo si comprende solo attraverso le ragioni di un uomo ferito in profondità nel qui e ora della vita, e viceversa.

Terzo e ultimo motivo: la possibilit­à di trovare poesie di valore nel Quasimodo della maturità e successivo, a partire dunque dalla raccolta Giorno dopo giorno, che è del 1947. Il meglio di questo poeta spesso e volentieri si trova nei toni e semitoni delle occasioni poetiche meno ufficiali o solenni, o ancora nei momenti di stanchezza, lì dove fa davvero i conti con sé stesso e con la propria vita, piuttosto che con la poesia: «E questa sera carica d’inverno/ è ancora nostra, e qui ripeto a te/ il mio assurdo contrappun­to/ di dolcezze e di furori,/ un lamento d’amore senza amore».

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