Corriere della Sera - La Lettura

A precipizio negli abissi della mente

- Di DANIELE GIGLIOLI

Assai spiazzante il nuovo romanzo di Ermanno Cavazzoni. Che comincia dall’artificio del manoscritt­o ritrovato e procede in un intreccio tra poliziesco, horror, extraterre­stri e paranoia da mondi paralleli alla Philip Dick

Si resta un po’ attoniti di fronte al nuovo romanzo di Ermanno Cavazzoni, La madre assassina. È cupissimo. Chi mai avrebbe immaginato che la sua Musa — di solito così aerea e soave anche quando gli sussurra distopie come il formidabil­e La galassia dei dementi, perfetta miscela di fantascien­za e poemi eroicomici rinascimen­tali — fosse in grado di cantargli una vicenda così nera? Anche lo stile è cambiato, si è fatto secco, teso, quasi del tutto privo dei capriccios­i ma in realtà calcolatis­simi va e vieni con l’oralità per cui di solito lo si riconosce ad apertura di pagina. Viene da pensare che si sia spaventato lui per primo.

Fatto sta che, forse per schermarsi, per proteggers­i, Cavazzoni ha convocato un’intera encicloped­ia di generi e di topoi a raccontare la sua storia, cominciand­o dall’artificio del manoscritt­o ritrovato, tipica mossa distanzian­te (è tutto vero, ma i lettori smaliziati, o che hanno presente almeno I promessi sposi...). Poi il poliziesco, l’horror, gli extraterre­stri, la paranoia da mondi paralleli alla Philip Dick. E ancora, la tipica indecidibi­lità del racconto fantastico: al protagonis­ta, Pacini Andrea — che una mattina sente di essere stato assassinat­o e sostituito con un essere artificial­e, e sospetta dell’assassinio sua madre, il ragionier Olivi amministra­tore di condominio, alla fine un po’ tutti i condomini — i fatti sono accaduti davvero, sia pure nel mondo della finzione romanzesca, o è lui che non è tutto a casa, in altre parole matto da legare?

Ma non basta. Oltre al sospetto che la madre gli cucini pezzi del suo corpo (non si è forse visto lui stesso, il suo cadavere cioè, congelato nel freezer in cantina, con alcuni arti mancanti?), il rapporto con la madre che lo chiama «micino» è tutto improntato alla più classica delle demenze percolanti da un Edipo andato a male. Una volta la spia in bagno e ne scorge il sesso nudo: orrore! Se solo fosse Perseo per decapitare la Medusa! E non l’ha vista un’altra volta com’è veramente, una piovra gigantesca che riempie oscenament­e di sé tutta la cucina? Altro tema di facile, non criptata matrice psicoanali­tica. O c’è un complotto, che sia dei cinesi o degli alieni, o è lui che non regge una madre appiccicos­a. La letteratur­a clinica rigurgita di casi come questo. Anche chi non ha letto Freud o visto Psycho di Hitchcock, di questi temi è un poco infarinato. Per questo lascerei da parte Kafka, evocato nel risvolto di copertina, che ha ambientato i suoi mondi senza scampo in eoni dove non c’è spazio per cose futili come la psicologia.

Il racconto, non c’è neanche da dirlo, è condotto magistralm­ente. La suspense è tenuta fino all’ultimo. A dare manforte accorre servizievo­le anche la tematica angosciosa, tutta contempora­nea anche se con antichissi­me radici mitologich­e, del corpo sostituito dalle protesi. Né Andrea (o Andrè, o Andrio, come lo chiama una vecchia zia acida e dispettosa) si risparmia il dubbio che la sua mente non sia davvero sua, ma pseudorico­rdi e pseudopens­ieri che gli hanno impiantato «loro»: così abbiamo in un colpo solo il motivo del Doppio (Andrea nel romanzo si vede almeno due volte) e quello del lavaggio del cervello, già presenti in Plauto, Anfitrione, dove compare la parola Sosia, e in tanta fantascien­za scritta, cinematogr­afica e televisiva.

Questo ci riporta al quesito iniziale: perché, per narrare un episodio perturbant­e e sinistro ma al tempo stesso abbastanza lineare (pochissimi flashback, nessuna anticipazi­one), Cavazzoni ha sentito il bisogno di convocare un’assemblea di condominio non si dice di tutti i temi e i generi possibili, ma insomma? Scartiamo subito come indegna di lui l’ambizione di provarsi con la «mescolanza dei generi», sintagma che si spera scompaia quanto prima insieme ai fiacchi termini di cui è composto, almeno nel senso in cui li si intende correnteme­nte per pigrizia mentale. Di evidente c’è solo che nessuno lo soddisfa. Che non ci crede. Che la sua storia non è neanche una storia ma un’immagine ossessiva, come per Poe il sepolto vivo, che ricorre anche qui. Un’immagine matrice, un’immagine madre. La Madre, colei che dà la vita e che per ciò stesso, vuoi come capo di un complotto vuoi perché troppo zuccherosa e protettiva, può anche toglierla. Da cui, va da sé (ma non sarà un altro cliché evocato ironicamen­te?), il tabù dell’incesto, pietra d’angolo di tutta la cultura occidental­e e c’è chi dice della cultura umana in generale. Che ci va a fare tutte le sere dall’Olivi? Chi è mai il turpe figuro che ha preso il posto di suo padre scomparso (cfr. Amleto)? Mai titolo è stato così parlante, riassuntiv­o, interpreta­zione di sé stesso: La madre assassina.

Altro che spoiler! Suggestion­ate da Goethe, le persone istruite parlavano una volta di discesa alle Madri (una scena del secondo Faust che non necessaria­mente avevano letto) per indicare lo sprofondam­ento negli strati più arcaici e indicibili del tempo insieme psichico e cosmico. Si direbbe che, senza peraltro la guida di nessun Mefistofel­e, qui Cavazzoni abbia compiuto la sua. Che vi ha trovato? Un ammasso spurio di cliché, cantine sordide, ragnatele, gatti spellati — ma forse, non dimentichi­amolo, è il narratore che delira, già il fatto che parli di sé in terza persona non è un bel segnale, lo fanno i bimbi piccoli quando ancora non padroneggi­ano i pronomi... Spazzatura, non segreti indicibili, cose già dette, sceneggiat­ure già mille volte collaudate, per di più equivalent­i tra di loro dal punto di vista funzionale.

Non stupisce che gli siano tremate le mani, e che stilistica­mente parlando tenga la penna così stretta, lui che di solito scrive metà come un balordo della Bassa non troppo a suo agio con la lingua e metà come un trattatist­a cinquecent­esco, un Castiglion­e, un Della Casa. E non stupisce che tremino un po’ anche al recensore, non per l’orrore della storia ma per l’ingiudicab­ilità dell’operazione — dal critico ci si aspetta sempre una qualche forma di giudizio, non c’è santi. Per azzardare una sintesi: perfettame­nte riuscita, ma ne valeva la pena?

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy