Corriere della Sera - La Lettura

Il camion dell’arte

- Di STEFANO BUCCI

Luca Vitone ha preso un furgone e lo ha parcheggia­to nell’abbazia di Valserena, Parma: trasporta opere, archivi, memoria. Ma non è stato il primo. Già Joseph Beuys allestì un modello Volkswagen; e Abramovic arredò casa e atelier su un Citroën

Con il Ford Transit Anni Novanta parcheggia­to sotto la navata centrale dell’abbazia di Valserena, alle porte di Parma, Luca Vitone (Genova, 1964) rende omaggio al concetto di archivio partendo dal furgone utilizzato fino al Duemila per il trasporto e l’acquisizio­ne di opere e archivi all’interno del Centro studi e archivio della comunicazi­one (Csac) fondato nel 1968 da Arturo Carlo Quintavall­e e che proprio nell’abbazia ha la sua sede. Nella mostra Il Canone (fino al 18 ottobre) quel furgone diventa «metafora dell’azione del prelevare e dell’agire per la raccolta e la costruzion­e dell’archivio».

Non è la prima volta che Vitone sceglie le «quattroruo­te» come simbolo di un qualche percorso personale, non solo fisico: nel 2017, in occasione della monografic­a al Pac di Milano ( Io, Luca Vitone) era stata la vecchia familiare Peugeot di Ultimo Viaggio (2005) a raccontare, con una foto dell’artista appena tredicenne, il viaggio da Genova al Golfo Persico compiuto da Vitone nell’estate del 1977.

Ora la lunga parata di lavori e progetti che sembrano uscire quasi per caso dal portellone posteriore del furgone definisce «un ampio spettro della ricerca artistico-culturale italiana del Novecento», una selezione operata secondo un «canone» personale che ricostruis­ce possibili affinità elettive tra le opere conservate allo Csac e l’autobiogra­fia di Vitone, «immaginari legami» che l’artista ha ritrovato confrontan­dosi direttamen­te con il patrimonio dello Csac. Ventiquatt­ro le opere scelte, molto eterogenee per stili e linguaggi: Afro Basaldella ( Giornale 63/1, 1963); Walter Albini (la collezione di moda I clown, autunno-inverno 1972-1973); Mario Schifano ( Los Alamos Centro Atomico, 1970); il cartello pubblicita­rio per il Lambrusco Maranini disegnato da Erberto Carboni (1922); la copertina de «Il Male»; l’imitazione di una lampada di Vico Magistrett­i firmata da un anonimo artigiano... Alla storia dello Csac rimanda invece più direttamen­te, dall’abside della chiesa, il monocromo Stanze eseguito da Vitone con le polveri dello Csac nel 2017, in occasione della sua residenza.

«Entrare nell’archivio — spiega Vitone — è stato come immergersi in un mare tropicale, di quelli noti per lo snorkeling. Impossibil­e non rimanerne affascinat­i, anche se non si riconoscon­o i pesci si è frastornat­i dai colori, dalle forme e soprattutt­o dalla quantità di animali da osservare. Eppure c’era una cosa che mi tornava sempre alla mente: un furgone bianco, parcheggia­to nell’angolo più lontano del piazzale, come fosse abbandonat­o, stava lì con la sua scritta sulla portiera “Università di Parma” a testimonia­re il suo ruolo passato».

Al di là del modello, quella del furgone sembra essere una presenza costante nell’arte contempora­nea. Come testimonia Das Rudel (1969) ovvero Il branco, opera s i mbolo del l ’ i ntero l a voro di Joseph Beuys (1921-1986) a cui Vitone dichiara di essersi ispirato. Passata per il Guggenheim, per la Tate, per Documenta e oggi alla Neue Galerie di Kassel, l’installazi­one era destinata nelle intenzioni di Beuys a mettere in scena quell’energia «caotica e dinamica» che Beuys considerav­a essenziale per portare il cambiament­o nella società. In che modo? Facendo cadere dal portellone, non opere e oggetti d’arte come per Vitone, ma ventiquatt­ro slitte, simili a un branco di cani, ogni slitta dotata di un kit di sopravvive­nza composto da un rotolo di feltro per calore e protezione, un pezzo di grasso animale per l’energia e il sostentame­nto e una torcia per la navigazion­e e l’orientamen­to. Beuys spiegava così la sua installazi­one: «Questo è un oggetto di emergenza: un’invasione del branco. In uno stato di emergenza, l’autobus Volkswagen è di utilità limitata e devono essere adottati mezzi più diretti e primitivi per garantire la sopravvive­nza». Un’installazi­one ispirata all’incidente aereo di Beuys sulla Crimea durante la Seconda guerra mondiale, incidente a cui era sopravviss­uto grazie a una banda di tartari che gli ricoprì il corpo di grasso e lo avvolse nel feltro.

Nel c a s o d i B e u y s e r a u n f u r g o n e Volkswagen, un mito extra-automobili­stico, celebrato al cinema da Hanna-Barbera nel cartoon Scooby-Doo e da film cult come Lost, Ritorno al Futuro, Little Miss Sunshine. Ma anche il Ford Transit di Vitone ha avuto la sua (giusta) gloria cinematogr­afica quando il regista Hany Abu-Assad nel 2003 aveva dedicato il documentar­io Ford Transit al mezzo di trasporto più diffuso nei territori palestines­i occupati. Un altro furgone (stavolta marca Mercedes-Benz) reggeva l’installazi­one site-specific firmata nel 2015 da Erwin Wurm (1954) per celebrare i trecento anni della città di Karlsruhe: un furgone rosso con la parte posteriore ricurva e le ruote poggiate a un muro.

Con un ex cellulare della polizia (altra variazione sul tema del furgone), parcheggia­to nel Cortile di Palazzo Strozzi, a Firenze, iniziava la grande retrospett­iva dedicata nel 2018 a Marina Abramovic (1954). Un furgone che Marina e Ulay (1943-2020), suo compagno di vita e di lavoro, acquistaro­no due anni dopo la loro conoscenza avvenuta nel 1975 e col quale condussero una vita nomade viaggiando incessante­mente per l’Europa.

Nella biografia autorizzat­a firmata da James Westcott Quando Marina Abramovic morirà ( Johan & Levi editore, 2011) l’episodio è raccontato così: «Decisero di lasciare l’appartamen­to di Amsterdam e comprarono un furgone Citroën per andarci a vivere. A forma di scatola con i lati di metallo scanalato, era così alto che Ulay riusciva quasi a starci diritto in piedi. Lo dipinse con una vernice nera opaca, trasforman­do un veicolo già vistoso in un mezzo estremamen­te ambiguo: poteva sembrare un furgone dell’esercito o della polizia, o il mezzo di un commercian­te in fuga. Misero sul retro un materasso, uno schedario per le loro scartoffie, una stufa e una scatola per i vestiti e lo usarono come casa mobile. Una volta personaliz­zato il veicolo, la coppia stilò un manifesto». Un «canone», proprio come Vitone.

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 ??  ?? Il programma L’esposizion­e è il secondo appuntamen­to del programma di residenze d’artista Through time: integrità e trasformaz­ione dell’opera, realizzato per «Parma Capitale Italiana della Cultura 2020+21» Oltre a Luca Vitone (sopra) partecipan­o Massimo Bartolini ( On Identikit, febbraio 2020) e Eva Marisaldi ( Secondi tempi, 6 dicembre 2020 – 31 gennaio 2021). Le immagini Il furgone all’interno dell’abbazia di Valserena e la maquette di Luca Vitone (foto Giovanni Oberti)
Il programma L’esposizion­e è il secondo appuntamen­to del programma di residenze d’artista Through time: integrità e trasformaz­ione dell’opera, realizzato per «Parma Capitale Italiana della Cultura 2020+21» Oltre a Luca Vitone (sopra) partecipan­o Massimo Bartolini ( On Identikit, febbraio 2020) e Eva Marisaldi ( Secondi tempi, 6 dicembre 2020 – 31 gennaio 2021). Le immagini Il furgone all’interno dell’abbazia di Valserena e la maquette di Luca Vitone (foto Giovanni Oberti)

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