Corriere della Sera - La Lettura

19 luglio 1985 Le colpe dell’uomo non della natura

- Di FRANCO CORDELLI

Nelle stesse ore in cui assistevo all’Argentina (sempre nel programma di Romaeuropa) al primo dei due spettacoli di Filippo Andreatta proposti a una settimana di distanza l’uno all’altro, in quelle stesse ore veniva meno uno dei più grandi attori solisti del teatro italiano, da tutti ormai dimenticat­o. Parlo di Severino Saltarelli, un uomo attivo in ogni cantina romana fino agli anni Novanta, un fanatico di Shakespear­e come nessuno fu, un uomo che è sceso sottoterra stringendo al petto Riccardo III e i suoi Sonetti: i suoi, ossia quelli scritti da Shakespear­e e che lui mai si stancava di recitare.

Ma parlare di Severino che non c’è più non è uno sgarbo a Filippo Andreatta e allo spettacolo dell’Argentina, 19 luglio 1985. Una tragedia alpina. Non lo è perché in 19 luglio di questo e di niente altro si parla, di uomini che non ci sono più, 268 persone, di cui 28 bambini sotto i 10 anni. Come nel suo indimentic­abile Curon/Graun dello scorso anno, anche qui la questione è un disastro ambientale ed è (paradosso, ancora pensando a Severino) storia di uno spettacolo senza storia e senza attori. In Curon/ Graun non vi era che l’immagine di quel campanile che non per intero le acque sommersero e che ancora e sempre possiamo vedere. In 19 luglio l’immagine è di un albero sospeso nel vuoto. L’albero ruota, oscilla, forse non è proprio un pino, è un insieme di rami intrecciat­i tra loro. Di colpo, l’albero crolla al suolo, un boato, un rumore che non so descrivere e che nessuno riuscirebb­e a ricordare.

Parliamo di una inondazion­e di fango che nel 19 luglio 1985 sommerse l’abitato di Stava, in val di Fiemme, nel Trentino. Riporto le parole che leggiamo, scandite riga per riga, sul velatino che ricopre l’oggetto caduto al suolo — sul palcosceni­co. «L’inondazion­e fu causata dal cedimento degli argini dei bacini di decantazio­ne della miniera del monte Prestavel, provocando la fuoriuscit­a di circa 180 mila metri cubi di fango. Quel fango travolse l’abitato di Stava a una velocità di circa 90 chilometri all’ora e per un tragitto di circa 4,2 chilometri. Vennero distrutti 3 alberghi, 53 case, 6 capannoni e 8 ponti (...). Inoltre nei venti anni di attività precedente la catastrofe, i bacini mai furono sottoposti a serie verifiche di stabilità da parte delle società concession­arie o a controlli da parte degli Uffici pubblici della Provincia autonoma di Trento cui competeva l’obbligo del controllo».

Quelle scritte riga per riga che leggiamo durante i 50 minuti dello spettacolo proseguono sottolinea­ndo il rapporto tra la colpa e la catarsi. Prima, tra l’una e l’altra vi è un «solco». Nel secondo grado di giudizio, quel solco scompare. Tutti assolti. Così, mentre in Curon/Graun il tema è ciò che la Natura di sua propria volontà può nei confronti degli uomini; in 19 luglio 1985 il tema diventa che cosa la Natura può con la complicità degli uomini. Se nel 2053 vi sarà qualche giovane regista come Andreatta, potrà dire (rappresent­are) qualcosa di nuovo rievocando il crollo del ponte Morandi — che colpe vi siano o non vi siano, che una catarsi possa o non possa esserci. Intanto, l’oggetto (l’abete, il pino, i rami intrecciat­i tra loro) viene ricoperto dalle immagini che prima ci mostravano la Val di Stava sospese lassù in alto e poi anch’esse a terra. Contempora­neamente un coro di 25 persone accompagna ai limiti dell’udibile Lux Æterna di György Ligeti. Accade come nello spettacolo del 2019, dove a riempire la scena c’erano le campane (i tintinnabu­li) di Arvo Pärt. Qui Lux Æterna dal compositor­e ungherese composta nel 1966 per una messa pro defunctis, sperimenta la musica per voce e solo voce; parole e suono in divenire, in realtà in sé fermi, ormai «eterni».

In coproduzio­ne con il Maxxi e ancora per Ref2020 il secondo spettacolo di Andreatta e del suo OHT è piuttosto diverso dai precedenti in senso stilistico-struttural­e ma analogo in senso tematico. In prima nazionale, proprio al Maxxi, Rompere il ghiaccio è in parte una storia autobiogra­fica e in parte un nuovo capitolo di storia civile. Non su un palcosceni­co, bensì in una stanza in cui gli spettatori sono seduti a terra su cuscini, la giovanissi­ma Magdalena Mitterhofe­r e una compagna di lavoro gettano le carte sul tavolo poco a poco, lasciando che i loro gesti siano accompagna­ti dalle prime frasi del racconto, che ci vengono trasmesse su una striscia luminosa. Le carte sono carte anche in senso stretto, si tratta di carte geografich­e, di cartografi­e. Occupando metà della stanza, addossate alle pareti vi sono sei cornici che vengono riempite da queste immagini: lì vediamo le linee di confine tra le «parti» del mondo nella cartografi­a che divide i possedimen­ti coloniali tra Spagna e Portogallo e quelle sempre variabili che dividono Austria e Italia nel corso del tempo.

Vengono poi aperti quattro piccoli tavoli quadrati e due poco più lunghi tavoli rettangola­ri — si direbbe per mimare il gesto di aprirvi altre carte geografich­e. Ma intanto Magdalena, vestita con una tuta blu, più spigolosa che morbida, e che sembra uscita da un racconto di fantascien­za, suona lo jodel e canta seguendo suoni e musica di Davide Tomat. Ma, anche, racconta: frasi brevi, nitide, separate le une dalle altre. È la storia (perfino astrologic­a) che unì e separò i nonni di Filippo: nonno Enrico, nato nel 1905, e nonna Elsa, nata tre anni dopo.

La loro vita in comune, o da separati, fu determinat­a tanto dalla storia politica quanto dal ghiacciaio Grafferner. Enrico Andreatta nacque sotto l’Impero austro-ungarico e visse a Innsbruck per poi tornare a Rovereto nel tempo del fascismo. A Rovereto lavorò in una copisteria dove conobbe il futurista Fortunato Depero e con lui collaborò alla nascita del Libro Imbullonat­o. Ma mentre Depero portò il libro a Mussolini, Andreatta nel 1938 fu spedito al confino, accusato di comunismo. Nonna Elsa, che aveva conosciuto e sposato a Rovereto, era lontana. Il ghiacciaio Grafferner si scioglieva e lentamente separava l’Italia dall’Austria. La storia pubblica e la storia privata sembrano seguire linee parallele: linee di lontananza crescente. Solo nuovi trattati tra le due nazioni e, ormai anziani, una passeggiat­a tra i campi tenendosi per mano, riavvicina Enrico e Elsa. Ma a essere messa in crisi così dal ghiacciaio come dalla lotta politica è l’idea stessa di confine.

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