Corriere della Sera - La Lettura
Ecco che cosa siamo: il denaro che ci danno
Pietro, imprenditore pieno di progetti e ambizioni, attracca con la sua barca ai piedi di un fiordo ancora incontaminato. Lì costruisce una città. Che si popola: negozi, case, persone. Trent’anni dopo, la città è cresciuta. La festa per l’anniversario della sua fondazione è in pieno svolgimento, Pietro ce l’ha fatta. Ma gli resta poco tempo da vivere. Accanto a lui si riuniscono quelli che sembrano essere i suoi affetti più cari: l’ex moglie; la figlia mai conosciuta da poco ritrovata; il fratello, suo devoto assistente. Ma perché i suoi familiari sembrano non avere memoria? Essi mostrano di esistere solo nella funzione che per lui svolgono: riusciranno a sopravvivergli?
La precarietà delle identità, l’incerto confine tra realtà e finzione — al centro anche di teatro e recitazione —, l’individualismo a cui il singolo è spinto dal sistema economico. Sono i temi di Uomo senza meta, del romanziere e drammaturgo norvegese Arne Lygre, classe 1968. Autore minimalista ancora poco frequentato in Italia — ma Jacopo Gassmann ne ha recentemente portato in scena Niente di me —, Lygre tesse una parabola aperta su ciò che diventano i legami umani in una società governata dal denaro. Diretta da Giacomo Bisordi (qui sotto, foto Azzurra Primavera), la nuova produzione del Teatro di Roma apre, dal 17 al 25 ottobre, la stagione dell’Argentina (Largo di Torre Argentina 52, info: teatrodiroma.net. Biglietti: da € 40 a € 7). Paragonato a Jon Fosse per lo stile minimalista, l’autore norvegese utilizza una scrittura ridotta all’essenziale ma prodigiosamente suggestiva, sotto cui si intuisce una violenza e un’angoscia che lasciano senza fiato. I suoi «drammi da camera», come lo stesso Lygre li definisce, dispiegano ambigue finzioni di un’implacabile costruzione drammatica e di una ricerca formale sempre inaspettata. «I personaggi — spiega Bisordi — parlano con frasi secche, scarnificate. La forza del testo è nell’economia delle parole, nel loro impatto diretto, lontano da ogni lirismo. Con poche battute contratte, Lygre costruisce, con una precisione di dettaglio unica, un intero mondo». Quando Pietro, interpretato da Francesco Colella (nella foto in alto), muore, sarà chiaro, prosegue il regista, che «gli affetti che aveva attorno a sé non erano quello che sembravano, che pretendevano di essere, ma persone pagate per recitare una parte loro assegnata. Figuranti disposti in nome del denaro a cancellare la propria vita per diventare funzioni al servizio dei desideri di Pietro. Nell’ultima parte scopriremo cosa succede a questi personaggi. Venuta meno la ragione della loro finzione, si troveranno smarriti, soli, senza la prospettiva di quello che potrà essere il futuro».
Uomo senza meta di Lygre mostra come «la nostra capacità di stare assieme agli altri venga compromessa dal sistema economico. Come il neoliberismo costringa il singolo a una individualità estrema. Il primo compito della regia — precisa Bisordi — è stato dunque quello di fare in modo che l’enorme spazio dell’Argentina, dove andiamo in scena, fosse in continua evoluzione rispetto alle vicende dei personaggi, diventando progressivamente sempre più incombente, ostile. Una serie di meccanismi scenici spingeranno gli attori verso la platea. Un modo anche per fare incontrare gli spettatori con la vicenda che si sta raccontando». Nel cast anche Aldo Ottobrino, Monica Piseddu, Anna Chiara Colombo, Silvia D’Amico, Giuseppe Sartori. (magda poli)