Corriere della Sera - La Lettura
Un’Europa dei libri
Esiste un’Europa della cultura che va al di là dei confini geografici e delle decisioni politiche, un’Europa dei libri — un mondo dei libri — che ogni anno si ritrova alla Buchmesse di Francoforte, sempre meno per scambiarsi diritti (ormai si fa tutto l’anno), sempre più per condividere idee, esperienze, scenari, per rinnovare rapporti di collaborazione, spesso di amicizia. Quest’anno, dal 14 al 18 ottobre, la fiera sarà digitale, non ci saranno gli stand, gli incontri in presenza, gli scambi e i saluti informali nei corridoi, gli aperitivi nelle lobby degli alberghi, le famose feste. Un’atmosfera unica che mancherà a molti, anche perché «il lockdown ha avuto un impatto drammatico per tutti e mai come quest’anno sarebbe stato prezioso scambiare idee su come reagire alla crisi», dice Giuseppe Laterza che dell’apertura internazionale, del ragionare oltre i confini ha fatto un principio, anche editoriale. Per questo si è fatto promotore e anfitrione di un incontro virtuale (via Zoom) a cui ha invitato quattro colleghi europei.
Quattro esponenti (in ruoli differenti) di alcune tra le più prestigiose case editrici del vecchio continente. Aziende diverse tra loro, che certamente non rappresentano l’intero parterre editoriale, ma insieme formano uno straordinario catalogo dei maggiori scrittori e pensatori europei contemporanei (e non solo): da Thomas Mann a Ernest Hemingway da Marcel Proust a Jürgen Habermas, da
Bruno Munari a Jacques Le Goff, solo per citarne alcuni.
Bruno Caillet, responsabile commerciale del gruppo Madrigall che comprende sigle come Gallimard, Flammarion e Casterman; Nora Mercurio, responsabile dei diritti della tedesca Suhrkamp; Valeria Ciompi, editrice della spagnola Alianza; Stuart Proffitt, direttore editoriale della britannica Penguin: sono loro gli interlocutori di questo incontro-confronto a cui «la Lettura» ha partecipato.
Nel salone della sede romana della casa editrice, con le pareti decorate dalle decine di foto dei più prestigiosi collaboratori, Giuseppe Laterza ha messo sul grande tavolo di legno alcuni temi cruciali per oggi e per il futuro. Il Covid-19 ha cambiato l’editoria: la cambierà per sempre? Ma anche: che cosa possono fare gli editori per la crescita di una cultura comune in Europa? A una ideale unione europea della cultura appartiene naturalmente anche la Gran Bretagna, nonostante la Brexit. Lo nota, con un lieve sorriso di imbarazzo, in un clima amichevole e rilassato, Stuart Proffitt, ringraziando Laterza per avere dato loro la possibilità di mettere la testa fuori dai «bunker», gli uffici in cui la pandemia li ha rinchiusi: «Stiamo tutti parlando in inglese, la lingua del Paese che è uscito, in modo così terribile, dall’Ue. Ve ne sono davvero grato. È un tale sollievo non essere costretto a cercare di parlare in una delle vostre lingue».
L’impatto della pandemia
L’ultimo report della Federazione degli Editori europei dice che tra marzo e aprile la chiusura delle librerie ha portato dappertutto a un calo medio delle vendite dell’80-90%, non compensato in nessun Paese dalle vendite online e digitali. Alla riapertura tutti si sono trovati di fronte a delle scelte: che cosa pubblicare, quanto pubblicare, come raggiungere i lettori, come fare sì che i governi aiutassero il settore. Eppure l’editoria ha sofferto meno della crisi rispetto ad altre industrie culturali. Lo dice Valeria Ciompi: «Siamo fortunati, soprattutto se penso a chi in Spagna opera nel teatro e nella musica». Lo conferma Stuart Proffitt che elenca: per sopravvivere la Royal Opera House di Londra ha appena messo all’asta, per una base compresa tra 11 e 18 milioni di sterline, il suo pezzo più pregiato, un quadro di David Hockney; una delle principali catene di cinema inglesi chiuderà fino a primavera; per la seconda volta è stata rinviata l’uscita del nuovo film di James Bond.
I dati dicono che nell’editoria la situazione è invece meno peggio di quanto si potesse prevedere. Laterza riassume
quella italiana: «Alla riapertura gli editori erano scettici sulla possibilità di ripresa del mercato, ma ora si prevede di chiudere l’anno con un calo del 5-6%, anche perché, se è vero che la maggioranza ha spostato le novità in uscita all’autunno e in parte al 2021, molti hanno confermato la pubblicazione dei titoli più vendibili». Le previsioni di fine anno sono simili per la Spagna, anche se il Paese sta vivendo una seconda ondata e una chiusura parziale che «non sappiamo come condizionerà il futuro, in un contesto economico — spiega Valeria Ciompi — che si sta rapidamente deteriorando. Nei primissimi giorni di ottobre il mercato ha molto rallentato, pure in presenza di parecchie novità, e dunque siamo un po’ preoccupati». La sua casa editrice, Alianza Editorial, ha recuperato abbastanza bene, almeno sul mercato interno, soprattutto grazie all’autobiografia di Woody Allen, lanciata il giorno della riapertura delle librerie, «ma la situazione è più critica nel mercato sudamericano». Insomma, non è il momento di abbassare la guardia e questo vale per tutti: «Dobbiamo seguire la nostra attività giorno per giorno, restare creativi, ottenere attenzione dai governi, mantenere alta la fiducia nella nostra missione», continua Ciompi.
Dalla crisi emergono indicazioni utili: in Francia, spiega Caillet, «oggi il calo rispetto al 2019 si attesta all’8%, ma con due punti interessanti: la tenuta del catalogo e gli audiolibri, dove le vendite sono triplicate, uno dei nuovi canali a cui riservare attenzione».
La Germania ha un mercato del libro molto forte, ma anche qui fino ad aprile si prevedeva una catastrofe. «Se le cose continueranno come negli ultimi tre mesi, dovremmo chiudere l’anno con un -3%», riassume Nora Mercurio, che con Suhrkamp lo scorso anno ha avuto in casa il Nobel Peter Handke. «Adesso abbiamo recuperato una fiducia diffusa. Per il futuro dovremo focalizzarci di più sui libri che vogliamo offrire e su come offrirli, forse potremo farne meno e prestare a ogni titolo maggiore attenzione».
Chi sembra stare meglio di tutti è, a sorpresa, la Gran Bretagna. «Certo, anche noi abbiamo chiuso le librerie per 12 settimane — dice Proffitt —. I dati non sono completi, ma sembra che durante il lockdown le persone abbiano letto di più. Le vendite da qui a fine anno saranno probabilmente addirittura superiori a quelle dell’anno scorso».
Se c’è una cosa che non ha conosciuto crisi è la produzione di nuovi libri: mentre gli editori passavano ore in interminabili riunioni sul web, gli autori, bloccati in casa dalla pandemia, costretti a non viaggiare e a fare presentazioni solo online, hanno avuto più tempo per scrivere. Lo dice Mercurio che di Suhrkamp è la responsabile dei diritti. Lo conferma Proffitt: «Durante l’estate ci è arrivata un’ondata di manoscritti. Tra cui quello di un famoso storico inglese che sta per consegnarci un libro con un anno di anticipo». Proffitt menziona anche l’importanza registrata in Inghilterra dal movimento americano Black Lives Matter, che ha spostato gli interessi dei lettori su un certo tipo di saggistica più militante e forse il modo di ragionare degli editori.
La resistenza delle librerie
Nel periodo di maggiore crisi, con tutti i negozi chiusi, ovunque ci sono state forme di resistenza. Laterza ricorda per esempio il servizio di consegna a domicilio «Libri da asporto», che in Italia ha coinvolto più di 200 librerie, anche se, secondo una recente ricerca del Centro per il libro, durante il lockdown la lettura degli italiani è drasticamente calata, al contrario del consumo di tv e internet. «Il recupero viene soprattutto dalle vendite online, in particolare da Amazon — spiega Laterza —. Ma anche dalle librerie indipendenti e di quartiere, mentre soffrono le più grandi, collocate spesso nei centri delle città, nei centri commerciali, nelle stazioni e negli aeroporti».
Nora Mercurio sottolinea la grande creatività che hanno mostrato i librai in questi mesi: «Bisogna essere loro grati per la passione e l’impegno che hanno messo nel reagire alla crisi, nel mantenere il rapporto con i clienti, rendendosi sempre disponibili, cercando di raggiun