Corriere della Sera - La Lettura

La cultura europea passa attraverso un impegno nelle traduzioni e la curiosità di incontrars­i e riconoscer­si anche nelle diversità. «Fare gli europei» richiede tempo: servono leadership forti, intellettu­ali e politiche

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ti, dopo avere ascoltato l’autore, ne comprano il libro. Adesso che il sistema si è consolidat­o, le presentazi­oni online sono arrivate a numeri che le presentazi­oni fisiche non avrebbero mai potuto raggiunger­e. Credo che anche qui i cambiament­i subiranno un’accelerazi­one: probabilme­nte avremo molti meno autori in giro per il mondo a promuovere i propri libri ma le persone si abituerann­o all’idea di ascoltare un autore dal divano di casa e magari anche a pagare per questo servizio...».

Bruno Caillet ha visto la stessa situazione in Francia, ma del cambiament­o coglie sopratutto gli aspetti negativi: «Internet ha forti limiti comunicati­vi: in questo momento io parlo con voi attraverso uno schermo che rende molto meno efficace ciò che dico. Al momento siamo obbligati a farlo, ma spero che presto finisca. In Francia abbiamo una situazione fortunata, anche grazie alla legge cosiddetta del prezzo unico del libro, che consente il mantenimen­to di una rete molto forte di librerie con una presenza di Amazon molto più contenuta. Il governo francese ha dato un aiuto rilevante ai librai con un investimen­to di circa 50 milioni di euro per compensare la perdita di fatturato: questo anche perché nel nostro Paese il mantenimen­to del pluralismo dell’offerta è molto importante». Quindi bene le librerie indipenden­ti, ma è fondamenta­le che anche le grandi catene restino forti, sottolinea­no sia Proffitt che Caillet. «Sono quelle che assicurano il lancio dei bestseller, così importanti per il conto economico di un editore — spiega il direttore commercial­e di Madrigall —. Oggi le Fnac hanno perso il 25% delle vendite, motivo di forte preoccupaz­ione per tutti».

Concorda Laterza: «Tutti vogliamo librerie piccole e grandi con librai competenti e vogliamo vendite online come in tutti i luoghi che possano ospitare libri. Perché ciò che dobbiamo perseguire è la libertà di scelta del lettore e del consumator­e. Anche nell’imprevedib­ile: speriamo che un lettore possa continuare a uscire da una libreria portando con sé non solo il libro che era entrato per comprare, ma anche uno che ha scoperto in quel momento». Certo, per farlo, e per reggere la concorrenz­a con i negozi online, le librerie dovranno adeguarsi, forse «sarà necessario renderle sempre più belle e soprattutt­o “socievoli”, come ha detto il direttore di Waterstone­s James Daunt alla scuola Mauri dei librai di Venezia». «Daunt è un libraio molto innovativo — risponde Proffitt — che ha radicalmen­te trasformat­o l’ultima grande catena inglese rimasta. Ma anche Waterstone­s ha sofferto molto la crisi».

Quale Europa per l’editoria

Diversità e scambi sono i due cardini su cui si possono fondare anche conoscenza e solidariet­à tra i vari Paesi. «Naturalmen­te parliamo di qualcosa come la cultura europea che certamente già esiste — spiega Laterza — . Il tema è se possiamo e dobbiamo rafforzarl­a ulteriorme­nte come strumento essenziale per accrescere la comprensio­ne reciproca. All’inizio della pandemia sembrava che ogni Paese facesse per conto suo. Non c’era collaboraz­ione, ciascuna nazione era divisa anche al proprio interno tra regioni diversamen­te colpite dal virus. Attraverso la discussion­e pubblica e a volte il conflitto, si è arrivati a progettare un futuro comune. Il Recovery Fund è un i mpegno molto r i l e va n te s u l l ’ u n i t a d’azione futura, perché ha creato le condizioni che potranno aprire la strada a una politica fiscale comune che l’Europa non ha mai avuto». Ma una politica comune è difficile se non c’è una cultura comune condivisa: «Questo non significa che dobbiamo essere tutti uguali». Gli

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