Corriere della Sera - La Lettura

Il dibattito delle idee

Gli Stati Uniti si avvicinano a un appuntamen­to elettorale incerto e persino drammatico, reso ancora più drammatico da un presidente finito in ospedale a causa di un virus che ha continuato a trascurare e minimizzar­e fin dall’inizio della pandemia. Che co

- di RICHARD FORD

Come romanziere, dubito di vedere il mondo in modo molto diverso da qualsiasi altro cittadino ragionevol­mente impegnato, magari anche solo vagamente informato. Di certo non ne so più di chiunque altro. Se c’è una d i f fe r e nz a d i ve d u te t r a me e u n idraulico o un venditore di assicurazi­oni o un maestro elementare — ma potrei sbagliarmi — è che essendo uno scrittore che inventa storie, tendo a credere che tutto sia possibile, che la gamma di esperienze plausibili sia molto maggiore di quanto la storia, la logica o le convenzion­i ci suggerisco­no. Passo la maggior parte dei giorni cercando non di immaginare cosa dovrebbe o potrebbe accadere secondo la logica, ma che cosa posso fare accadere e che cosa può essere interessan­te e utile. Quando si scrivono romanzi e racconti — e anche saggi come questo — non c’è mai nulla che derivi di necessità da qualcos’altro, tutto può derivare da tutto. Fortunatam­ente (o talvolta sfortunata­mente) questo vale anche per la vita, e quindi per la politica.

In America, come saprete, presto voteremo per stabilire chi sarà il nostro prossimo presidente. E voteremo anche per scoprire che tipo di Paese l’America è ora e come sarà, e che tipo di persone noi siamo. Se vi sembra una circostanz­a inquietant­e, precaria, forse epocale, e in realtà piuttosto patetica, ebbene lo è. Il fatto che una grande nazione debba dipendere tanto da un singolo atto civico, ben programmat­o e regolato dalle leggi, è allarmante.

Normalment­e, in un’elezione in cui una parte ha una visione del Paese mentre l’altra ne ha una parzialmen­te diversa, il Paese trae profitto da chiunque vinca. Per qualcuno questa relativa mancanza di drammatici­tà è noiosa, ma non per me. Per quel che mi riguarda, normalment­e, se la mia parte perde, penso «pazienza», votare giova comunque al Paese. Entrambe le visioni, dopo tutto, derivano da presuppost­i in gran parte indiscussi, che hanno origine nei molti valori fondativi della nazione — i miti originari. Nel caso dell’America, tra questi valori c’è il fatto che l’autorità legislativ­a e quella giudiziari­a hanno il dovere di controllar­e e bilanciare i considerev­oli poteri dell’esecutivo. C’è poi il diritto di voto stesso, così come la sacralità delle elezioni. C’è la garanzia che l’esecutivo non tragga profitto economico dalla sua posizione. C’è l’importanza di censimenti ricorrenti. Molti di questi valori non solo costituisc­ono istituzion­i fondanti, ma funzionano anche da salvaguard­ia contro la tirannia e altri pericoli della leadership, come l’inettitudi­ne e i comportame­nti criminali, che insidiano la fiducia nello Stato.

Oggi in America avverto una quiete disarmante. Anche nel mezzo di una tumultuosa tempesta nazionale — un presidente contumace che alimenta la violenza pubblica, proteste nelle nostre città, forti nubifragi e incendi che causano gravi danni a persone e proprietà, un’economia allo sbando, una pandemia che si sta diffondend­o incontroll­ata — noi americani siamo come in attesa. In attesa di scoprire chi vincerà — sicurament­e. Ma anche in trepidante attesa di sapere che cosa ci succederà dopo. È come se un substrato di ghiaccio silenzioso pervadesse la frenetica e folle trapunta americana, tenendoci al nostro posto. La maggior parte degli elettori americani, dopotutto, ha già fatto la sua scelta di voto e non si preoccupa più molto di seguire i giornali o l’attualità in television­e. Il Covid-19 ha grandement­e alterato il nostro senso del tempo, generando un presente lungo e inquietant­e. Un continuo bombardame­nto di disposizio­ni confuse e insidiose ha logorato la fiducia nella nostra capacità di autodeterm­inazione. Il Paese che è mio da 76 anni oggi mi sembra distante e poco comprensib­ile. Questo mentre ci avviciniam­o alle elezioni più significat­ive nella vita di ogni americano di oggi. Da questa distanza sconcertan­te e virtuale, l’America sembra essere un Paese come un altro, come un altro che possa andare a rotoli. Neanche negli anni peggiori del Vietnam, o all’indomani dell’11 settembre, mi sentivo così.

In altre parole, in America ci si sente in pericolo. Ci sembra di non poter andare avanti all’infinito così, che dovremmo fare di più per aiutare noi stessi, ma ci sentiamo stranament­e bloccati, congelati.

Potreste dire che l’America è stata fondata su elementi strategici vincolanti — il rispetto di norme e leggi, la convinzion­e che tredici, poi venti, trenta, infine cinquanta entità geografich­e distinte (i nostri Stati) potessero e volessero collaborar­e in una terra vasta ed eterogenea diventando una nazione; che i

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