Corriere della Sera - La Lettura

Covidizion­ario

- Di GIUSEPPE ANTONELLI

Abbiamo fatto conoscenza, ahinoi, con una nuova, ma la parola «coronaviru­s» esiste dagli anni Sessanta. Abbiamo creduto di inventare termini inediti per descrivere una che si trasforma, ma «quarantena­re» si usava nel 1855 e «dittatura sanitaria» addirittur­a nel 1839. Abbiamo rivoluzion­ato il significat­o di «tamponare», ma in Gran Bretagna hanno fatto di più, trasforman­do «2020» in un’ingiuria. Insomma, il Covid ha investito le nostre esistenze, ma anche la nostra Una guida de «la Lettura» tra le pagine del...

Visto ciò che ha portato con sé, non c’è troppo da stupirsi se in inglese il 2020 (letto twentytwen­ty: venti-venti) è già usato a mo’ di parolaccia in frasi ingiuriose come «go 2020 yourself!». Forse anche in italiano si dirà in futuro «qui succede un 2020» o «ha combinato un 2020», proprio come da più d’un secolo si fa con il quarantott­o: il 1848 dei moti risorgimen­tali.

È certo un’esagerazio­ne quella di chi, a partire da quest’annus horribilis, ha addirittur­a azzardato un’interpreta­zione di a.C. e d.C. come avanti Covid e dopo Covid. Ma resta il fatto che in quest’anno molte cose sono cambiate: tra le altre, anche il nostro modo di esprimerci.

«I tamponati positivi, anche se asintomati­ci, dovranno autoquaran­tenarsi per evitare che le loro goccioline li rendano dei superdiffu­sori». Una frase che oggi ci suona perfettame­nte normale, ma meno di un anno fa sarebbe stata impensabil­e prima ancora che incomprens­ibile. Perché, ormai lo sappiamo bene, la nuova realtà portata da questa pandemia ci ha costretto a prendere confidenza con molte nuove parole. A partire proprio da quel nome di Covid — maschile o femminile che sia, storpiato o no nell’italianizz­azione dialettizz­ante Coviddi — con cui è stata battezzata la nuova malattia.

Il risultato è uno speciale «covidizion­ario»: un insieme di nuovi vocaboli, nuovi modi, nuovi usi che con inconsueta rapidità sono entrati a far parte della lingua di tutti i giorni. Trattandos­i di pandemia, cioè di un fenomeno globale, la questione non riguarda certo il solo italiano. Anzi: il primo vocabolari­o ad aggiornare lemmi e significat­i è stato l’Oxford English Dictionary, che già ad aprile e a luglio aveva provveduto a pubblicare in rete due aggiorname­nti straordina­ri. In una recente intervista, il direttore di quel dizionario racconta di non essere mai stato testimone di una tale ondata di neologismi in un solo anno e di un così rapido e generalizz­ato incremento del loro uso. Tra gli esempi che fa, c’è quello di Coronaviru­s: parola risalente agli anni Sessanta, ma rimasta sempre nella ristretta nicchia dell’uso scientifi

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