Corriere della Sera - La Lettura

I fantasmi siamo noi

- Conversazi­one (quasi possibile) tra EDUARDO DE FILIPPO ed EDOARDO DE ANGELIS mediata da ROSARIO GALLONE

che osserva: «I morti hanno cose importanti da dire». A cominciare da questa...

fare il giovane moderno, il superuomo che si prende il posto mio nella television­e. Accomodati pure, a me quell’elettrodom­estico non mi è mai stato simpatico. Non reagisci, eh? Ma mi hanno informato che tu sei così, incassi, e aspetti il momento giusto per colpire. Sono sicuro che vuoi litigare con me, ma stai fresco. Io se voglio litigare con qualcuno me lo scelgo!

Edoardo abbozza e prova a spostare il fuoco della conversazi­one che per lui è cominciata male.

Maestro, uno degli aspetti della vostra opera che mi ha sempre colpito è stata la capacità di scrivere testi che tecnicamen­te sono tragedie, eppure, nella percezione comune, vengono ricordati come commedie. Questa magia ha generato in me prima di tutto meraviglia e poi, con il tempo, è diventata insegnamen­to.

C’è poco da aggiungere, la tragedia si scrive facendo ridere. Non superficia­lmente ma con annotazion­i, assurdi palesi. L’umorismo è una lama molto più affilata e tanto più puntuta che non la tragedia. L’umorismo picchia proprio e va assorbito dall’umanità. Ma quando il pubblico ride troppo a teatro, non pensa mai di avere riso di sé stesso.

Tradizione, traduzione e tradimento hanno la stessa radice etimologic­a e in Natale in casa Cupiello c’è sia la tradizione che il tradimento. Dirò di più: lei, Maestro, è stato il primo a tradurre/tradire la sua opera per il piccolo schermo. E due volte: nel 1962 e nel 1976. Se mi permette, proprio Natale in casa Cupiello segna la differenza di linguaggio tra teatro e cinema/television­e. Il teatro è in continuo mutamento, da una serata all’altra, da una stagione all’altra (e Natale in casa Cupiello nasce come atto unico farsesco, il secondo di oggi, per poi diventare a due atti e infine a tre con l’irrompere della tragedia), mentre la registrazi­one, il documento audiovisiv­o resta lì, immutabile, e diventa quasi un monumento o, come diceva André Bazin, la «mummia del cambiament­o».

Un’opera ha bisogno di una profonda e continua mediazione, se no resta un vuoto e freddo documento. Mentre una nuova visione della mia opera ha luogo, viene sottoposto a esame non soltanto l’autore di quella visione nuova ma l’opera stessa subisce l’esame del tempo. Gli esami non finiscono mai.

Cesare Garboli, a maggio del 1976, scriveva a proposito di Natale in casa Cupiello: «Col tempo questa grande commedia ha imparato (ed era naturale) a “citarsi”. È diventata una commedia che si guarda, che osserva sé stessa. Oggi Eduardo la recita lasciando che infinite variazioni, come tropi di un antifonari­o, fioriscano al margine del testo. Uccide il copione e lo fa rinascere, improvvisa­ndo, salivando le battute e rallentand­o i ritmi dello “show” fino a “non recitarli”, pago

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