Corriere della Sera - La Lettura

Psicoanali­si, sei assediata! Esci fuori e va’ nel mondo

- Di ENRICO PALANDRI

L’inconscio ha dominato le arti nella prima metà del Novecento e tutti noi in qualche misura sappiamo farci i conti. Ma di Freud s’è persa l’empatia per il dolore; non solo, la sua disciplina — scrive Massimo Recalcati nel nuovo libro — vive paralizzat­a nel gergo e nelle pratiche: dovrebbe invece percorrere anche altre strade, seguire l’esempio di una figura come

Elvio Fachinelli che attingeva alla storia, alla letteratur­a, all’amore per l’arte...

Come i libri di Elvio Fachinelli, anche la Critica della ragione psicoanali­tica di Massimo Recalcati (Ponte alle Grazie) si apre su due fronti: da un lato la teoria e la pratica degli analisti, al cui interno si è accumulata nel corso di oltre un secolo una ortodossia; dall’altra l’aperto, il mondo.

Il primo ambito è limitato: per quanto in certi periodi (Recalcati indica l’ultimo, il ventennio 1960-1980) la psicoanali­si sia stata di moda, le statistich­e della malattia mentale dicono che negli Stati Uniti, dove si ricorre più che in qualunque altra regione al mondo alla psicoterap­ia, si arriva a picchi del 18% della popolazion­e.

Ma è naturalmen­te il secondo ambito, quello in cui si dispiega l’influenza culturale di Freud, che pone domande sul ruolo che la psicoanali­si ha oggi per noi. L’irruzione dell’inconscio ha dominato le arti nella prima metà del Novecento, dalla pittura di Max Ernst e Salvador Dalí ai romanzi di James Joyce e Italo Svevo fino al teatro di Samuel Beckett. Una gran parte dei film di Alfred Hitchcock sono autentici casi, non solo quelli quasi didascalic­i come Psycho o Marnie, ma anche i più metafisici come Gli uccelli.

Nei tre saggi che dedica a Elvio Fachinelli (Luserna, Trento, 29 dicembre 1928 -Milano, 21 dicembre 1989), Recalcati cer

ca la vena d’oro di quell’impatto, quando la psicoanali­si portava una sorpresa tale da spaventare, sovvertire, aprire. Lamenta a ragione, anche qui seguendo la lezione di Fachinelli, che la psicoanali­si sia divenuta al contrario un richiamo all’ordine, una strategia di difesa piuttosto che di innovazion­e. Forse il caso più noto è quello che apre La freccia ferma (1979) dove Fachinelli racconta dell’ossessivo che si recava alle sedute scomponend­o i gesti (come parcheggia­va la macchina, come scendeva dall’auto, in modo da ripercorre­re a ritroso ogni gesto e annullare l’evento arrivando al punto di rifare tutto il percorso verso casa in retromarci­a!). Un caso in cui Fachinelli sembra suggerire che l’analizzand­o spieghi l’analizzant­e, raccontand­o un tipo di nevrosi dove il discorso psicoanali­tico scompare in un autoannull­amento. Siamo insomma lontani dalla generazion­e di Jacques Lacan, Gilles Deleuze, Félix Guattari, Alfred Hitchcock, Alberto Moravia o JeanPaul Sartre, per cui il freudismo era senso comune e fioriva in tante invenzioni culturali.

Questa crisi era stata preconizza­ta anche altrove da Elvio Fachinelli che, come Recalcati ricorda in diversi punti, descriveva alcuni aspetti incancreni­ti della pratica psicoanali­tica (terapie che duravano decenni, la durata arbitraria delle sedute lacaniane, la difficoltà di misurare gli esiti, eccetera) quasi descrivess­e un paziente moribondo. A queste constatazi­oni sulla pratica analitica, Fachinelli opponeva la sua attività editoriale, sia come autore sia come editore. Ai volumi a cui Recalcati dedica i tre saggi del suo testo, aggiungere­i Uma tentativa de amor. Portogallo estate 1975 per avere una idea più allegra e aperta dell’uomo: un libro che non parla di psicoanali­si, ma è invece un diario vissuto nella rivoluzion­e portoghese, la rivoluzion­e dei garofani, come venne chiamata allora.

Perché la genialità di Fachinelli era nell’accettare la storia, la letteratur­a, l’amore per l’arte. Era lì che mostrava un guizzo ilare e aperto. Oggi a me pare ci resti molto più Fachinelli quando rileggiamo i suoi libri nel contesto dell’Italia di allora che non all’interno della storia della psicoanali­si. Piuttosto che non nel contrasto tra il lacanismo sovversivo, la dissidenza del desiderio che lega Fachinelli alle macchine desiderant­i di Deleuze e Guattari, e il freudismo ortodosso, è in quello che pensava di quel che accadeva fuori dalle sedute che si vede a che cosa Fachinelli facesse attenzione. Sono emblematic­he ad esempio alcune note da un seminario di formazione analitica tenuto a Trento in pieno ’68, dove il gruppo inizia a percepire tutto l’esterno come una minaccia. «Dunque il gruppo chiuso, ortodosso per così dire, e dall’altra parte il gruppo aperto agli altri... che comporta un rischio, un pericolo di disgregazi­one», annota Fachinelli dell’esperiment­o, e poco più avanti: «Militarizz­are il gruppo: un covo di persone che si armano contro l’esterno».

Difficile non pensare leggendo queste righe che proprio a Trento, di lì a poco, Renato Curcio e Mara Cagol avrebbero fondato le Brigate rosse, e in generale alla tendenza settaria della sinistra extraparla­mentare post-sessantott­ina che raggiunse dei momenti surreali, come i matrimoni maoisti parodiati da Nanni Moretti nella scena iniziale di Il caimano.

Il familismo politico potrebbe essere un tema ghiotto per intellettu­ali psicoanali­sti ma forse a quel punto diventereb­bero sempliceme­nte storici, filosofi, scrittori. Fachinelli segue proprio questo percorso, davvero dissidente e poco ortodosso. Pubblica tutto quel che nasce intorno a Radio Alice, varie cose sui dissidenti sovietici, cerca e fa emergere quel che spariglia le carte di una sinistra piegata dal richiamo all’ordine berlinguer­iano. È uomo che sceglie innanzi tutto quel che gli piace, e nella psicoanali­si un ambito più umano: si occupa di pazienti e di gente che sta male, come Freud. Come Freud, ha empatia per la sofferenza. Dov’è che si è persa allora l’umanità della psicoanali­si? Che cosa le è accaduto?

Una certa attenzione all’inconscio è diventata ormai una seconda natura in tutti noi. Secolarizz­ati, e quindi senza più un vincolo sociale che includa il patto sull’ignoto stabilito dalla religione, ci ascoltiamo gli uni con gli altri sorridendo dei lapsus freudiani, parlando di sesso molto più di una volta e molto più apertament­e. Queste aperture non sarebbero forse emerse senza il contributo della psicoanali­si, ma la vera domanda che Recalcati ci pone è: la psicoanali­si ha ancora questo impatto?

Forse l’ortodossia che Recalcati descrive, paralizzat­a nel gergo e nelle pratiche, dovrebbe percorrere anche altre strade, come fece Fachinelli. Perché, invece di riflettere così ossessivam­ente sulla propria storia, non si nutre di classicist­i come Eric Dodds o Sante Mazzarino, che sui miti e la critica dei miti hanno scritto in modo tanto illuminant­e? O di filosofi come Giorgio Agamben? Di poeti e artisti, così come poeti e artisti si sono nutriti di Freud per tanto tempo?

La sensazione che si ha quando si finisce di leggere il libro di Recalcati è di un ambito disciplina­re assediato, che ha iniziato a fare la conta dei viveri e dell’acqua, perché deve resistere. Se il suo problema è resistere non possiamo non chiederci freudianam­ente: a che cosa? Recalcati suggerisce una risposta inquietant­e: a Freud!

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