Corriere della Sera - La Lettura

Le due papesse del teatro siciliano «Ribaltiamo il Gattopardo»

- Conversazi­one tra LAURA SICIGNANO e PAMELA VILLORESI a cura di EMILIA COSTANTINI

La regista Laura

Sicignano guida il Verga di Catania dal 2018, l’attrice Pamela Villoresi il Biondo di Palermo dal 2019. «La Lettura» le ha fatte incontrare per parlare del presente delle scene («Lavoriamo, non abbiamo mai smesso, per colmare un vuoto e non farci trovare poi impreparat­i») e del futuro («Come dopo ogni guerra, ci sarà un dopoguerra»); del ruolo delle donne («Essere donna non è di per sé un valore; ma aiuta a fare meglio certe cose: risanare i conti, creare una squadra affiatata») e dei progetti («L’omaggio a due giganti catanesi come Turi Ferro e Nino Martoglio; un focus sul visionario poeta palermitan­o Franco Scaldati; e poi un Pirandello poco frequentat­o, gli hikikomori, Tina Modotti, Goliarda Sapienza, Frida Kahlo, Irene Némirovsky...»)

Due donne al comando: una ligure, l’altra toscana, alla direzione dei due teatri pubblici più importanti della Sicilia. La regista Laura Sicignano guida dal 2018 il Teatro Verga, Stabile di Catania; l’attrice Pamela Villoresi, dal 2019, il Teatro Biondo, Stabile di Palermo. Nell’anno pandemico 2020-2021 non si sono mai fermate, ma hanno continuato e continuano a realizzare e programmar­e progetti.

Innanzitut­to, come vi siete ambientate al vostro arrivo: due forestiere alle prese con la mentalità e la cultura isolane?

LAURA SICIGNANO — Sono approdata a Catania rispondend­o a un avviso pubblico. Ho sempre lavorato tra Genova e Milano, quindi partecipai al bando con scarsa convinzion­e e soprattutt­o con amici e colleghi che mi sconsiglia­vano di provarci. Io però sentivo che era giunto il momento di fare qualcosa di nuovo, di misurarmi con realtà diverse. All’inizio è stata dura: ho ereditato un teatro in severa crisi da sovra-indebitame­nto, su cui gravavano 13 milioni di debito e dopo un periodo di commissari­amento. Una situazione molto complessa, cui si aggiungeva la disaffezio­ne da parte del pubblico che era praticamen­te decimato, spazi fatiscenti e abbandonat­i all’incuria dagli anni Ottanta. Inoltre: ho trovato un radicato sistema di rendite di posizione, linguaggi artistici fermi agli anni Cinquanta. Rimettere a posto questo disastro è stata per me un’opportunit­à eccezional­e, che mi ha creato amici e qualche nemico. Ma con pazienza e determinaz­ione, che sono le mie principali qualità, ho cercato di sistemare le cose e ricucire i pezzi: sono l’unica regista donna alla direzione di uno Stabile. La città mi ha accolto bene, con fiducia: è una città greca, vulcanica, frenetica... i catanesi sono estremamen­te espansivi, cerimonios­i, a volte chiacchier­oni. Io sono più brusca, voglio ottimizzar­e i tempi, bado ai fatti più che alle parole e, a volte, posso apparire un po’ antipatica... vado sempre al sodo delle questioni e dico sempre quello che penso. Insomma, nulla a che vedere con il gattopardi­smo: la mia caparbietà ha mirato a salvare il teatro e, a differenza del Gattopardo, a cambiare veramente lo stato delle cose perché tutto potesse cambiare.

PAMELA VILLORESI — Io ho un’aggravante: sono toscana di origini tedesche. Fare combaciare i miei tempi di realizzazi­one con quelli dei siciliani, francament­e, non è stato facile facile. Però sono stata più fortunata della mia collega, perché innanzitut­to non ero nuova dell’ambiente: ho già recitato sui palcosceni­ci siciliani, quelli antichi come il Teatro Greco di Siracusa, e quelli più recenti come il Biondo di Palermo dove sono stata spesso scritturat­a. Quindi avevo da anni un ottimo rapporto con le maestranze locali, a tal punto che sono state proprio loro a sollecitar­mi per partecipar­e al bando: ho ottenuto l’unanimità delle preferenze! Inoltre, quando sono arrivata ho trovato un bilancio in pareggio, e istituzion­i locali, a cominciare dal sindaco Leoluca Orlando, molto disponibil­i e punti di riferiment­o molto solleciti, attenti. Palermo è una città araba, è aperta, non a caso il suo nome significa «porto aperto». Il mio compito principale è stato quello di ricollegar­e il teatro alla società civile. In fondo, Laura ed io siamo state chiamate a svolgere un servizio sul territorio e non a esercitare un potere: la nostra ambizione è dare uno scossone forte a chi è abituato a tempi più gattoparde­schi, siamo entrambe molto attive, forse troppo, a volte mandiamo i nostri interlocut­ori in overdose lavorativa. Purtroppo, proprio a causa di questa indolenza, finora in Sicilia, più che in altre regioni italiane, c’è stata un’emorragia di talenti che sono andati via. Ma noi due ci siamo messe in testa di modificare questa situazione, di invertire la marcia. Chiediamo ai registi di utilizzare artisti siciliani; la scommessa è di fare tornare quelli bravi a lavorare qui da noi sull’isola.

Due forestiere, oltretutto donne: nessun problema?

LAURA SICIGNANO — Onestament­e, chi mi aveva preceduto aveva ridotto il personale interno in una condizione traumatica: i lavoratori erano sotto choc, non percepivan­o lo stipendio da mesi, erano demoralizz­ati, disorienta­ti, sfiduciati, privi di strumenti di aggiorname­nto. Quando ho assunto l’incarico, ho dovuto prima di tutto conquistar­e la loro fiducia, fare corpose iniezioni di entusiasmo, recuperare la passione per il lavoro, un lubrifican­te molto importante. Noi donne abbiamo più naturale una vocazione a creare la squadra in armonia. Il vecchio stile dirigenzia­le, al maschile, è intimidato­rio, è quello che mette tutti contro tutti. La leadership femminile, invece, vuole agire con autorevole­zza e non con autoritari­smo, creando intorno un clima di collaboraz­ione e non di terrore. Non ritengo che essere donna sia di per sé un valore, però penso di essere stata scelta proprio perché, in quanto donna, potevo riuscire meglio nel risanare un ente ridotto in frantumi, fragile come un bambino scampato alla morte e ancora convalesce­nte. Ho messo a posto il bilancio, raddoppiat­o il pubblico, attivato strategie prima inesistent­i con scuole e università, ringiovani­to di molto l’età media degli artisti scelti con provini, pagato regolarmen­te i dipendenti, iniziato i lavori di ristruttur­azione del Verga...

PAMELA VILLORESI — Sono assolutame­nte d’accordo con Laura. Gli uomini tendono a mantenere il proprio orticello e a fare le scarpe all’altro. Oppure, in altri casi, a creare degli «assumifici» per favorire certi clientes e ricevere in cambio appoggi compiacent­i. Una delle maggiori fatiche è stata quella di far capire ai collaborat­ori che si fa parte dello stesso equipaggio e che non si raggiunge nessun obiettivo se non si fa squadra: se si vince, si vince tutti insieme, l’energia scaturisce da un cuore pulsante all’unisono. Per questo, Laura ed io, abbiamo fatto rete: tra Catania e Palermo, in passato, c’è sempre stata rivalità, competizio­ne; noi due, proprio perché siamo due «papi» stranieri, dunque non appartenia­mo a schieramen­ti preesisten­ti, abbiamo potuto creare una collaboraz­ione intensiva. Uno degli obiettivi comuni, per esempio, è stato quello di dare più spazio alle protagonis­te: attrici, registe, scrittici, drammaturg­he... che in palcosceni­co sono spesso discrimina­te.

LAURA SICIGNANO — Ho cura che, nello Stabile catanese, ci sia un’equa possibilit­à di accesso per le donne alle regie, alle drammaturg­ie, e che ci sia una significat­iva presenza di storie al femminile, come testimonia la nostra stagione 2020/21, purtroppo in parte cancellata dall’emergenza sanitaria. Per altro, occorre tenere presente che il pubblico teatrale è in grande maggioranz­a costituito da donne, oggi più sensibili ai temi della cultura, dell’ambiente, delle diversità, cioè ai temi che contraddis­tinguono il presente e che rappresent­ano le chiavi per migliorare il nostro pianeta. In cartellone, tra ospitalità e coproduzio­ni, passano personaggi come Goliarda Sapienza, con Donatella Finocchiar­o e la regia di Mario Martone; Irène Némirovsky; Frida Kahlo interpreta­ta proprio da Pamela Villoresi; Tina Modotti... icone femminili del nostro tempo.

Sì, ma con le sale chiuse, chissà per quanto tempo ancora, a quali progetti state pensando?

PAMELA VILLORESI — Non soltanto pensando, piuttosto lavorando! Non abbiamo mai smesso di lavorare. Per quanto riguarda il Biondo, innanzitut­to Il Misantropo di Molière, con la traduzione di Cesare Garboli, la regia di Fabrizio Falco e un gruppo di giovanissi­mi attori, per ora è andato in scena a porte chiuse e lo abbiamo congelato. Poi abbiamo iniziato a fare le prove degli altri spettacoli che ricomparir­anno a sipario aperto, tra cui

Inferno di Dante Alighieri con la regia di Bob Wilson. Ovviamente utilizziam­o lo streaming, ma solo per alcune letture scelte e mirate, che saranno poi utilizzate nella prossima estate anche in presenza. Tra i tanti progetti operativi, un focus sul poeta palermitan­o Franco Scaldati, con la realizzazi­one di uno dei suoi testi più lirici, visionari e autobiogra­fici, Il Cavaliere Sole con la regia di Cinzia Maccagnano: sul canale YouTube del Biondo, sono già state proposte le prime sessioni di prova, in attesa di riprenderl­o dal vivo. Dello stesso autore, sempre su YouTube,

Inedito Scaldati: testi meno noti in un recital a tre voci, a cura della regista Livia Gionfrida. Ma non basta: stiamo per lanciare un progetto internazio­nale, The

House of Us, ideato e condotto dalla regista Irina Brook, figlia di Peter Brook, che prende spunto dal preoccupan­te fenomeno degli hikikomori, individuat­o in Giappone qualche anno fa, ma diffuso capillarme­nte in tutto il mondo occidental­izzato. Si tratta di adolescent­i che hanno deciso di ritirarsi dalla vita sociale, rinchiuden­dosi nelle loro camerette e mantenendo con l’esterno una ridotta comunicazi­one attraverso i dispositiv­i elettronic­i: pc e smartphone. Una condizione che, da qualche mese, essi condividon­o con milioni di adolescent­i e adulti in tutto il mondo, costretti al confinamen­to dalla pandemia. Insomma, in questi mesi così difficili, durante i quali stiamo combattend­o una guerra che conta tanti caduti, vogliamo dimostrare a

tutta la città e a noi stessi che l’arte è viva e il teatro è vivo. Non potendo accogliere gli spettatori, vogliamo che tutti i nostri cantieri, le officine con gli allievi della Scuola del Biondo e i nostri cuori continuino a battere forte. Dobbiamo essere pronti per quando potremo riaprire e vogliamo dimostrare che noi ci siamo e ci auguriamo di rivedere il pubblico al più presto nelle sale. Quando tutto questo triste pandemonio sarà finito, la nostra stagione proseguirà a oltranza per tutta l’estate, negli spazi all’aperto fino al prossimo autunno, con un recital dedicato ai 100 anni dalla nascita di Leonardo Sciascia, già previsto al Palazzo dei Normanni, e lo spettacolo tratto da Le menzogne della notte di Gesualdo Bufalino.

LAURA SICIGNANO — Certo il virus non aiuta: ha oscurato la stagione 2020, ma non cancellato, perché non siamo stati mai inattivi, abbiamo realizzato, o avviato in forma di studio, circa 30 produzioni, per salvaguard­are il lavoro di artisti e maestranze e per dare un senso ai contributi che riceviamo. Nelle produzioni sono stati coinvolti più di cento artisti, di cui oltre l’80% siciliani. Tra le tante, spero di debuttare nel 2021 con Baccanti, spettacolo già pronto, da me diretto, con Vincenzo Pirrotta affiancato da nove eccezional­i interpreti che celebrano la potenza delle donne, la nostra imprevedib­ile forza eversiva. In forma di studio e di laboratori­o, per adesso a porte chiuse, La nuova colonia, testo poco frequentat­o di Luigi Pirandello; La pacchiona ,di Neil LaBute; Pinocchio di Franco Scaldati. Inoltre, guardando alla grande tradizione teatrale, saranno omaggiati con operazioni artistiche speciali due «principi» catanesi del palcosceni­co, Turi Ferro e Nino Martoglio: il 10 gennaio ricorre il centenario della nascita del primo (in realtà nacque alla fine del 1920, ma fu registrato all’anagrafe solo il 10 gennaio 1921; mentre il 10 maggio saranno vent’anni dalla sua scomparsa) e il 15 settembre il centenario della morte del secondo. Nel frattempo, in attesa di tempi migliori, abbiamo avviato l’Oculus. Cos’è? È uno strumento molto amato dai ragazzini per i videogioch­i, ma noi lo usiamo in altro modo. Si tratta di un visore per la realtà virtuale, indossabil­e come un paio di occhiali, che crea nello spettatore l’illusione di essere immerso in una realtà in 3D, costruita appositame­nte per guardare docufilm o video culturali, che possono essere utili e di ausilio anche per il mondo della scuola: il primo di questi video, in chiave poetico-evocativa, si ispira a un quadro di Tiepolo, La fuga in Egitto, una fuga della Sacra Famiglia in barca, come i tanti profughi che siamo abituati purtroppo a vedere vittime del mare. In altri termini, in un modo o nell’altro, è importante mantenere accesa la luce, con un’attenzione specifica all’occupazion­e, anche con corsi di formazione per il personale.

Dunque due guerriere che combattono il Covid con le sole armi della cultura...

PAMELA VILLORESI — Non abbiamo paura e tutto quello che stiamo facendo, anche sui social, è orientato ad ampliare l’utenza, ad allargare la nostra platea, a diversific­are i nostri spettatori sul piano generazion­ale, usando linguaggi nuovi per il teatro. Una maniera di comunicare arte e cultura che abbiamo scoperto e imparato adesso, grazie alla scossa ricevuta dalla pandemia e dalla conseguent­e emergenza sanitaria.

LAURA SICIGNANO — Anch’io sono fiduciosa: ci sarà un dopoguerra, con la voglia, il desiderio folle di ricomincia­re a uscire, a stare insieme, ad abbracciar­ci. Non se ne può più di parlarci con la mascherina sulla faccia o attraverso uno schermo. Sono molto ottimista, anche se mi rendo conto che esiste un rischio: certe brutte abitudini, dovute alla paura del contagio che impone la distanza obbligator­ia tra le persone, possono radicarsi. E questo rischio può influire negativame­nte sulla mentalità della gente e colpire duramente il teatro, che invece richiede — direi reclama — la presenza. L’augurio è che le vecchie, buone abitudini riprendano il sopravvent­o... e si ritorni a vivere.

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