Corriere della Sera - La Lettura
I confini nelle città: la storia( con) divisa
La proclamazione di Nova Gorica e Gorizia, terre spaccate dalla Seconda guerra mondiale, come Capitale europea della cultura nel 2025 è un segnale per «guarire i ricordi diversi». Molti territori urbani sono stati travolti dai conflitti
La Capitale europea della cultura per il 2025 sarà la città slovena di Nova Gorica, che ha scelto di presentare un progetto congiunto insieme a Gorizia. La decisione di premiare un programma transfrontaliero non nasce solo dall’indicazione europea di accrescere la solidarietà e l’integrazione tra le zone di confine, ma dall’ambizione del progetto Go! Borderless di «guarire i ricordi diversi per aiutarli a convivere». Nella tormentata divisione delle frontiere tra l’Italia e l’allora Jugoslavia, decisa e risolta alla fine da Stati Uniti e Unione Sovietica, potenze uscite vincitrici dal conflitto a contendersi l’Europa in zone di influenza e controllo, la città di Gorizia era rimasta all’Italia, ma il suo immediato retroterra era andato alla Jugoslavia, che proprio sul confine aveva eretto in pochi anni Nova Gorica, cresciuta quasi come continuazione della vecchia città, con l’architettura socialista a innervare i nuovi edifici accanto alla Stazione Transalpina, il simbolo della periferia urbana di Gorizia che rimaneva, con altre strutture e numerosi edifici, dalla parte jugoslava. È qui che venne costruito un ampio e lungo reticolato d’acciaio, il Muro di Gorizia che anticipò di 14 anni quello di Berlino, simbolo anch’esso delle divisioni della guerra fredda.
Superare la storia passata e i miti a essa legati (primo fra tutti la «esclusività del dolore» rivendicata da entrambe le parti) è il compito di questo coraggioso progetto che l’Europa ha giustamente premiato, e che intende unire «il meglio dei due mondi per rendere il tutto più della semplice somma delle due parti». Gorizia e Nova Gorica non sono state le prime città a essere divise dagli esiti delle guerre e degli accordi politici che li hanno accompagnati, ma la scelta di farne un’unica Capitale europea della cultura suggerisce di andare oltre la loro esperienza e di pensare ai tanti casi, simili o analoghi anche se mai uguali, che si sono succeduti tra Otto e Novecento, quando l’imporsi dello Stato nazione come forma istituzionale consolidata s’è intrecciato ai cambiamenti geopolitici e di confine dovuti ai tanti conflitti (tra cui due guerre mondiali) e alla raggiunta indipendenza di tanti nuovi Stati. La nuova vita di Gorizia e Nova
Gorica, infatti, è iniziata con l’indipendenza della Slovenia e si è poi imposta con l’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, rendendo aperto e continuo il territorio delle due città, ormai parte di un’unica grande area urbana su due Stati.
Herzogenrath, una città fondata nell’XI secolo nel cuore di quello che divenne poi il Ducato di Brabante, e che passò nei secoli sotto la dipendenza spagnola, austriaca e francese, al Congresso di Vienna del 1815 venne affidata per una parte, quella orientale, alla Prussia, mentre quella occidentale, rinominata Kerkrade, divenne parte del Regno d’Olanda. La strada principale, la Nieuwstraat/Neustrasse, costituiva il confine tra i due Stati, ma fu solo all’inizio della Prima guerra mondiale — e poi anche della Seconda — che i tedeschi costruirono una fortificazione lungo il lato della strada che fungeva da confine. È solo con la creazione dell’area Schengen che ogni divisione tra le due città è stata smantellata e adesso esse godono di numerosi servizi pubblici in comune. Gli abitanti, circa 100 mila, sono per il 45 per cento in Olanda e per il 55% in Germania, ma hanno al centro del vecchio confine un complesso di uffici di entrambi gli Stati — detto la città di Eurode — che per una metà è situato a Kerkrade e per l’altra a Herzogenrath.
Una vicenda complessa è quella che ha diviso, da una parte e dall’altra del confine tra Stati Uniti e Messico, la città di El Paso, fondata da frati francescani spagnoli in Texas, con quella che dal 1888 è stata chiamata Ciudad Juárez, nello Stato messicano di Chihuahua (fino ad allora El Paso del Norte, il primo nome della città unita), ancora mescolate tra loro negli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo, l’epoca della guerra tra Texas e Messico, il cui confine era stato istituito nel 1850. Nel 1909 avvenne qui il primo incontro tra i presidenti di Usa e Messico, William Taft e Porfirio Díaz, e quando l’anno dopo scoppiò la rivoluzione messicana, capitò che le sparatorie frequenti in corso a Ciudad Juárez colpissero passanti di El Paso, dove si erano rifugiati nel tempo alcuni leader di parte avversa come Victoriano Huerta o Pancho Villa. Tra le due città ci sono quattro grandi punti d’ingresso — i ponti delle Americhe, Ysleta, Paso del Norte e Stanton Street — che vedono ogni anno il passaggio di circa 25 milioni di persone.
È stata soprattutto la Seconda guerra mondiale, con gli spostamenti di confini e di popolazioni decisi dalle potenze vittoriose a moltiplicare le città divise, spesso separate da un fiume che prima vi scorreva all’interno. Ecco tre esempi tra i tanti. A Francoforte sull’Oder, città del Brandeburgo situata sulla parte occidentale del fiume che le dà nome, e dal 1949 nella Germania Est, dopo la guerra venne tolta la zona orientale, che divenne la polacca Słubice. Sul fiume Sava si trova la cittadina di Brod, prima ottomana e poi austriaca, croata durante la guerra e dal 1945 città della Jugoslavia. Ha una popolazione mista (al 40 per cento croata, al 28 serba e al 14 bosniaca musulmana) e con la guerra del 1992 — il ponte sul fiume è distrutto in quell’anno — finisce in parte nella Republika Srpska della Bosnia e nella sua maggioranza in Croazia orientale con il nome di Slavonski Brod. Nel 1945 la cittadina russa di Ivangorod, dal 1649 parte della città estone di Narva (l’Estonia aveva ritrovato l’indipendenza nel 1920 dopo alterne vicende), venne affidata al distretto di Leningrado e poi definita nel 1954 una autonoma città russa. Con l’indipendenza dell’Estonia nel 1991, il conflitto con la Russia sullo stato giuridico e amministrativo ebbe strascichi lunghi ma le due città, separate dal fiume Narva, non furono più riunite.
Nel dopoguerra anche la prima fase di decolonizzazione ebbe conseguenze analoghe: la città indiana di Hili, con un’importante stazione ferroviaria, venne affidata per tre quarti al Pakistan al momento della spartizione del 1947, ma trovandosi nella zona orientale divenne poi parte del Bangladesh in seguito all’indipendenza da esso ottenuta nel 1971. L’altro quarto della città rimase sempre in India.
È negli anni Settanta che due città importanti, in Medio Oriente e in Europa, furono divise dalla guerra civile: Beirut e Belfast. Ostaggio della violenza politica e religiosa, l’una e l’altra conobbero attentati e stragi. Durante la guerra civile libanese scoppiata nel 1975 la città fu divisa tra una zona cristiana a est e una musulmana a ovest, la prima conobbe distruzioni ancora più gravi da parte siriana nel 1978, mentre la seconda nel 1982 le ebbe con l’assedio israeliano. A Belfast, capitale dell’Irlanda del Nord dal 1921, i Troubles (il conflitto tra cattolici e protestanti che dal 1969 si è protratto fino al 1998) hanno a lungo diviso la città, con muri, varchi e cancelli, a partire dagli scontri del 14 agosto 1969, quando i cattolici furono tutti costretti a riparare nei quartieri di West Belfast. Un caso diverso, ma altrettanto grave, è quello di Nicosia, capitale un Paese dell’Ue come Cipro, dove una recinzione militare separa la zona greca da quella turca.
La città divisa per antonomasia è stata, nel corso della guerra fredda, Berlino, fin dal blocco del 1948-1949 e ancora più dalla costruzione del Muro che nel 1961 divise la zona occidentale della città da quella orientale e parte della Germania Est, che venne abbattuto soltanto il 9 novembre 1989, nell’anno che fu segnato dalla fine dei regimi comunisti in Europa. Tra il 1948 e il 1961 i tedeschi che fuggirono a Berlino Ovest furono due milioni e mezzo, mentre successivamente, dopo la costruzione del lungo recinto in cemento armato lungo più di 150 chilometri e alto tre metri e mezzo, furono solo 5 mila.
Di tutt’altra natura la divisione più lunga e tormentata di una città che le Nazioni Unite avevano voluto libera e con uno statuto internazionale, come previsto dalla risoluzione 181 del novembre 1947: Gerusalemme. L’armistizio del 1949 al termine della prima guerra arabo-israeliana destinava la parte ovest della città agli israeliani, la est alla Giordania. Dopo la guerra dei Sei giorni del 1967 Israele s’impadronì anche di Gerusalemme Est, che le Nazioni Unite considerano invece parte della Palestina. Su Gerusalemme non c’è stata alcuna soluzione neppure durante le fasi che portarono agli accordi di Oslo tra Rabin e Arafat nel 1993 o a quello fallito tra Barak e Arafat nel 2000. Israele rivendica il possesso dell’intera città, mentre lo Stato palestinese ha designato Gerusalemme Est come propria capitale.
Oltre alle città divise dalla storia vi sono state, ancora più numerose, quelle divise nella storia, che hanno conosciuto nel tempo confini, Stati, governi diversi e opposti e che hanno spesso attraversato molteplici esperienze nel corso di pochi decenni. Un cittadino che oggi nasce a L’viv, in Ucraina, forse non ricorda che dal 1340 al 1772 la città, parte del Regno polacco-lituano, si chiamava Lwów, poi fu parte dell’Impero asburgico come Lemberg, ridivenne polacca nel 1919, fu conquistata dai sovietici, che la chiamarono L’vov, in base al patto Molotov-Ribbentrop del 1939, nel 1991 con l’indipendenza dell’Ucraina divenne finalmente L’viv (in italiano sempre tradotta con Leopoli).
Non è un caso che come sede del Parlamento europeo sia stata scelta Strasburgo, una città che aveva più volte cambiato stato e nazione, alternandosi tra Francia e Germania, simbolo prima del nazionalismo più acceso, poi del suo tramonto sotto la speranza di un’Europa unita.