Corriere della Sera - La Lettura
I cattolici spaccati più che mai
Chiese La maggioranza dei credenti non ha votato per il presidente fedele a Roma
Durante la campagna presidenziale del 1960, le origini cattoliche di John F. Kennedy furono un argomento ripetutamente usato per affondare la sua candidatura. Oggi, gli americani hanno eletto il secondo presidente cattolico della loro storia, e pochi se ne sono accorti. È un altro esempio di quanto siano cambiati gli Stati Uniti, la Chiesa cattolica e gli stessi cattolici americani.
Nel 1960, gli Stati Uniti erano più vicini ai loro miti fondatori di quanto non lo siano oggi; fra questi, uno dei più tenaci era il mito della nazione Wasp (White, Anglo-Saxon, Protestant), anche se i bianchi protestanti di origine anglosassone erano una minoranza già alla fine dell’Ottocento. Per gran parte della storia americana, i cattolici erano stati considerati un po’ come molti europei reputano oggi i musulmani: alieni inassimilabili, fanatici, sediziosi e, in generale, grezzi e incolti. Per decenni, gli americani hanno continuato a celebrare il 5 novembre la Guy Fawkes Night, in cui si bruciava l’effigie del Papa in ricordo del fallito attentato cattolico del 1605 contro il re inglese Giacomo I. Durante la guerra civile, furono i cattolici di New York a insorgere contro la coscrizione obbligatoria; e fu un gruppo di terroristi cattolici a uccidere Abraham Lincoln (uno dei cospiratori, fuggito a Roma, divenne zuavo pontificio). Al Smith, primo candidato cattolico alla Casa Bianca nel
1928, fu accusato tra le altre cose di voler scavare un tunnel tra Washington e Roma per ricevere gli ordini del Papa; per la cronaca, Smith ottenne 87 voti elettorali contro i 444 di Herbert Hoover.
Smith aveva però conquistato la quasi totalità dei voti cattolici; Kennedy, nel 1960, ne ricevette circa l’80%; nel 2020, Joe Biden ne ha ottenuti un po’ meno della metà (49%, secondo l’Associated Press). Per alcuni, questa sarebbe la prova che i cattolici si comportano alle urne come tutti gli altri americani. Non è proprio così: se avessero votato solo loro, infatti, Trump sarebbe stato rieletto.
Inoltre, tra i cattolici bianchi, gli elettori di Trump sarebbero stati il 57%, e addirittura il 59% tra i più praticanti: più si va a messa, ha notato preoccupato il National Catholic Reporter, più si vota per «candidati e ideologie che sono anatema per il Vangelo».
Una spiegazione di questo slittamento elettorale risiede nell’ascesa sociale dei cattolici americani. Nel 1928, irlandesi, italiani, polacchi e tedeschi cattolici si trovavano ancora, nella loro quasi totalità, sui gradini più bassi della scala sociale, e Al Smith rappresentava la loro comune volontà di riscatto. Nel 1960, molti di loro erano entrati a far parte dell’agognata classe media, quella dei sobborghi con le casette a schiera, e John Kennedy rappresentava il loro successo.
Da allora, l’ascesa dei cattolici di origine europea è proseguita, specie dopo la riapertura delle frontiere nel 1965, quando nuove leve di immigrati li hanno definitivamente rimpiazzati nei «3D jobs»
(dirty, difficult and dangerous: lavori sporchi, difficili e pericolosi). Con lo status sociale è cresciuta anche la loro
ambizione di contare di più in politica, e perfino di diventar parte dell’élite dominante, accanto ai mitici Wasp, proprio quando quella stessa élite ha cominciato a sentirsi minacciata. Poco alla volta, si è diffuso tra di essi il timore di perdere i privilegi conquistati dopo più di un secolo di subordinazione, spingendoli ad accodarsi a chi sostiene che l’identità della vecchia America bianca è messa in pericolo dagli immigrati e dalla globalizzazione. Così, le incompatibilità sociali hanno avuto la meglio sulle affinità religiose, mettendo i cattolici «arrivati» (i bianchi, ma anche molti ispanici di seconda o terza generazione, se si pensa che il 33% di loro ha votato per Trump) contro i cattolici ultimi arrivati.
Anche se i progressisti del National Catholic Reporter si mostrano inquieti, la possibilità di uno scisma è remota. Come scrisse Carl Schmitt nel 1923, la Chiesa è una complexio oppositorum:
«Pare non possano darsi opposizioni che essa non riesca ad abbracciare». Inoltre, è abituata a che una parte dei fedeli non rispetti il suo insegnamento ufficiale: per decenni, in materia di morale sessuale, la massa dei cattolici ha fatto quello che ha voluto, disubbidendo al parroco, al vescovo e al Papa. Il rischio è semmai un altro: che la polarizzazione della società americana, e quindi le divisioni tra gli stessi cattolici, siano sfruttate (o addirittura alimentate) per le battaglie di corrente nella Chiesa. Da anni gli Stati Uniti sembrano essere diventati il quartier generale della fronda anti-Bergoglio: tra i protagonisti, il cardinale Raymond Leo Burke, l’ex nunzio Carlo Maria Viganò e l’ex consigliere di Trump, Steve Bannon, a fare da tramite con l’estrema destra religiosa e politica di tutto il mondo, in un ultimo (e disperato) tentativo di rovesciare gli esiti del Concilio Vaticano II.
C’è, infine (ma non meno importante), il lato romano della questione. All’epoca di Kennedy, i rapporti tra Santa Sede e Washington furono difficili: Jfk doveva dimostrare di essere, come disse lui stesso, un presidente americano «che per caso è anche cattolico»; per Roma, invece, un cattolico deve essere innanzitutto una vetrina della fede anche se, e soprattutto se, è presidente degli Stati Uniti. Due esigenze chiaramente incompatibili. Dopo il novembre 1963, scrive lo storico Eric Hanson, «fu molto più facile per il Vaticano avere a che fare col protestante texano Lyndon Johnson che con il cattolico irlandese Kennedy». Ancora nel 2004, il Vaticano sparò ad alzo zero contro il candidato cattolico John Kerry, contribuendo al suo naufragio di fronte al protestante George W. Bush.
Oggi, benché il Papa abbia atteso dieci giorni prima di congratularsi con Biden, il clima è apparentemente più disteso. Ma l’agenda degli Stati Uniti e quella del Vaticano, due superpotenze della politica internazionale, continueranno necessariamente a divergere, chiunque sieda alla Casa Bianca; per questo, un presidente cattolico resta verosimilmente, per la Chiesa, un fastidio di cui farebbe volentieri a meno.