Corriere della Sera - La Lettura
Benvenuto, piccolo Nonno Angelo ha una storia per te
Mettere al mondo un figlio in pieno Covid-19 è atto di coraggio e speranza. Certo, più facile in una confortevole sala parto occidentale rispetto agli ospedali delle zone di guerra, o delle regioni devastate da croniche calamità sanitarie e naturali. Lo scrittore Ferracuti a maggio festeggerà l’arrivo del nipote... Zeno o Edoardo (il nome non è ancora deciso)
Adesso che il ginecologo ha sancito definitamente il sesso e sappiamo che sarà un maschio, qui in casa si disquisisce sul nome, come in tutti i tempi, in tutte le epoche e in tutte le famiglie, mentre prima il nostro gioco era se fosse un bambino o una femmina, cosa di cui mia moglie Alessandra avrebbe giurato. La disputa durerà ancora molti mesi, perché mia figlia Lorenza è solo al quarto, ma già si vede una discreta protuberanza nel ventre. Quando aspettavamo lei, e prima ancora sua sorella Eugenia, e toccavo la pancia della loro madre, dentro m’immaginavo strani animaletti furiosi, forse per via di quelle fotografie dell’ecografo dove sullo schermo vedevo caverne oscure e un piccolo corpo nero sgusciante, di cui a tratti scorgevo piccole porzioni gridando al miracolo di una manina, di un piede, della testa.
Ma ora da aspirante nonno vivo la cosa in maniera diversa, con meno timore: non essere più un giovane padre in attesa mi libera dall’ansia da prestazione, dall’immaginazione di come sarà il mio rapporto con mio figlio, dalla paura che possa essere infelice e io non riesca a salvarlo... Quello del nonno è un ruolo che al cinema, nei film in concorso, casomai vince il premio per il migliore attore non protagonista, una figura defilata ma abbastanza decisiva per la crescita, e forse per questo, conoscendomi, mio genero Giacomo è preoccupato di ch cosa possa raccontare nell’età della ragione a suo figlio un libertario incallito come il sottoscritto.
Comunque, la giostra dei nomi è cominciata, e lui punta su quello che appoggerei in pieno, Zeno, nome di battesimo di uno dei personaggi simbolo della letteratura del Novecento italiano e così magnificamente desueto, mentre mia figlia non ne vuole sapere, s’è intestardita su Edoardo, più regale, che piaceva anche a sua madre Patrizia. A un certo punto erano spuntati fuori anche Tobia e Manuele, poi di loro s’è persa traccia nei discorsi, e ormai non se ne parla più.
Certo, mettere al mondo un figlio in pieno Covid-19 ci vuole un bel coraggio: è un gesto di grande speranza, anche se nell’Occidente opulento con le sue sale parto confortevoli non è niente rispetto a chi partorisce sotto i bombardamenti, o in Paesi minacciati da calamità naturali, o in regioni devastate dalle guerre come quella che si sta ancora combattendo in Siria, o in terre ferite da epidemie di peste o di colera. La vita giustamente se ne infischia della violenza e della stupidità degli uomini, e anche dei virus, vuole continuare a tutti i costi, e ci riesce. Per un non credente come me è la cosa naturale che più si avvicina al soprannaturale, un uomo e una donna diventano divinità, creano dalla propria carne un altro individuo molto probabilmente a loro immagine e somiglianza, se la genetica non scombina i piani, e le sembianze di un antico antenato non riaffiorano.
Non ho rimpianti politici, o generazionali, in genere si rivorrebbe indietro qualcosa che non c’è più per paura di affrontare il futuro: la nascita delle mie figlie è l’unica vera nostalgia, e vedere Lorenza in quello che giustamente è definito «stato interessante» mi commuove molto, anche se invecchiando ho paura delle emozioni. L’idea di diventare un anziano lacrimoso che s’intenerisce guardando film melodrammatici in tv non è certo esaltante, quindi questa emozione la conservo gelosamente dentro di me in questi giorni di clausura forzata, me la godo in segreto, però quando si presenta l’occasione, quando qualcuno mi parla, magari al telefono, dell’anno appena arrivato, scateno subito la mia piccola epica della nonnitudine futura, ricevendo una quantità impressionante di encomi. I già nonni mi confessano che è meraviglioso, quelli che ancora sono lontani dall’esserlo mi guardano con compatimento, pensando che diventerò uno di quelli che nelle catene dei supermercati hanno definito con l’arguta spietatezza del marketing «volpi grigie», i quali superati i 65, nell’autunno della vita, ottengono il vertiginoso sconto del 10%.
Una cosa che ho pensato, e la trovo bellissima, è che in quel bambino c’è anche qualcosa di infinitesimo di me, e di tutti quelli che sono venuti prima di me, i coltivatori arcaici di queste campagne di Fermo, scolpite, disegnate da umili mani contadine, e anche degli altri due nonni, edi quelli che li hanno nati, e tutto questo è meraviglioso, la vita che si rinnova è qualcosa di stupefacente, quella vita che adesso sta dentro la pancia di Lorenza e non ha ancora «visto la luce», come si dice, non è ancora nato ma mio nipote già sogna, non immagina cose visive di cui non ha memoria, ma vagheggia esperienze tattili, sonore, come il battito del cuore di mia figlia che lo incatena a un’assoluta simbiosi.
Edoardo, o Zeno — questo non possiamo saperlo, la disputa tra Lorenza e Giacomo è ancora in corso — nascerà alla fine di maggio. «È maggio quando tutto è in fiore» scriveva Giovanni Pascoli di questo mese davvero congeniale per venire al mondo, nascere quando tutto rifiorisce. «Non basta il melo, il pesco, il pero/ Se manca uno, non c’è nessuno» cantava il poeta.
Spero, avviate le vaccinazioni, che possa riprendere anche tutto il resto, e che ci si possa spostare: ho diversi viaggi arretrati da fare, bloccati dal virus maledetto, a Oslo e Amsterdam per un libro futuro; ma in quel periodo a occhio e croce potrei essere facilmente sopra un battello, in navigazione sul Rio Negro da Manaus verso la Colombia, e sono certo che lui mi perdonerà da grande se il giorno fatidico vedrò il suo corpicino esile sullo schermo di un telefono sopra un’imbarcazione che si sposta lenta sul filo dell’acqua nel cuore dell’Amazzonia più profonda, quando allargherò l’immagine dello schermo con le dita per vederlo meglio e mi commuoverò.
Quello che posso ricordare a lui e a tutti quelli che nasceranno quest’anno è l’Inno di San Paolo: «L’amore è paziente,/ è benigno l’amore;/ non è invidioso l’amore,/ non si vanta,/ non si gonfia,/ non manca di rispetto,/ non cerca il suo interesse,/ non si adira,/ non tiene conto del male ricevuto,/ non gode dell’ingiustizia,/ ma si compiace della verità./ Tutto copre,/ tutto crede,/ tutto spera,/ tutto sopporta./L’amore non avrà mai fine».
A tutti auguro un mondo più giusto — come si diceva una volta, o socialismo o barbarie — meno bruttato dalle merci e dai consumi, più comunitario, perché — come abbiamo visto in questi mesi terribili — nessuno si salva da solo.
Dopo, non riesco a immaginarmi come un anziano che trascina la carrozzina e lo porta ai giardinetti. Ma come avevo promesso alle mie figlie con scarso successo, e più avanti a mio nipote Carlo, forse con lui riuscirò davvero nell’impresa di portarlo a pesca senza imbufalirmi quando gli ami si incaglieranno sul terreno o si conficcheranno sui rami degli alberi. E, soprattutto, gli racconterò con enfasi storie avventurose, incredibili, meravigliose, di ritorno dai molti viaggi nelle tante terre lontane e zone del mondo dove il mio lavoro, quello di «turista di professione altamente specializzato», come lo definiva Susan Sontag, mi porterà, speriamo molte volte ancora, negli anni a venire.