Corriere della Sera - La Lettura

Un altro caffè, grazie per aggiustare i ricordi

- Di ANNACHIARA SACCHI

Il primo romanzo era stato un successo. Ora il giapponese Toshikazu Kawaguchi torna con la seconda avventura ambientata in un singolare bar di Tokyo, dove si può fare pace con il proprio passato

luci color seppia: Gotaro, che non è mai riuscito a svelare la sua identità alla ragazza che ha cresciuto come una figlia; Yukio, che per seguire il sogno di diventare vasaio non ha assistito alla morte della madre; Katsuki, che ha taciuto per paura di fare soffrire l’amata Asami; Kiyoshi che non ha detto addio alla moglie come avrebbe voluto. Sono storie di dolore e coraggio, il viaggio nel tempo è un espediente per curare le ferite di una vita, per piangere (a dirotto) sui propri errori e lasciarli andare, come fa Gotaro incontrand­o il suo carissimo amico Shuichi, il vero padre di Haruka.

Destini comuni. Vite ordinarie. Alla ricerca di una felicità a lungo negata, soffocata dal rimpianto o dal senso di colpa. «Volevo che i miei personaggi viaggiasse­ro nel tempo nonostante le rigide regole del locale — ha spiegato lo scrittore in un’intervista al “Japan Times” — per dare un carattere realistico alla vicenda: i protagonis­ti non possono cambiare il presente, per quanto triste sia il loro destino. Desideravo scrivere un libro su come affrontare la realtà per andare avanti. In questo senso le regole servivano; doveva essere una storia, più che una fantasia». Un romanzo corale in cui il proprietar­io del locale, Nagare, e l’insondabil­e Kazu, colei che versa il caffè e che tramanderà il suo «dono» alla piccola Miki, non sono comparse che collegano gli episodi, ma elementi chiave di una narrazione sospesa tra quotidiano e straordina­rio, tipica di tanta letteratur­a giapponese. Come la donna in bianco colpevole di non avere terminato il caffè in tempo. Il risultato è questa delicata guida alla serenità — dallo stile semplice, piano — che va oltre la retorica, la liturgia delle «piccole cose», lo stereotipo della «via orientale», ma diventa un inno all’accettazio­ne di sé come motore per ripartire, un canto alla vita nuova che si intravede all’orizzonte, alla primavera dopo un inverno difficile (e questo spiega il successo di Kawaguchi durante l’esplosione del coronaviru­s).

C’è poi un elemento che rende Basta un caffè per essere felici più omogeneo e lineare rispetto all’esordio: questa volta ogni personaggi­o deve fare i conti con un non detto, con una menzogna. Il figlio che non ha rivelato alla madre di essere sul lastrico, il marito che non se la sente di confessare alla moglie di volere lasciare il lavoro da poliziotto... Il viaggio nel tempo diventa allora uno stratagemm­a per squarciare il velo di omissioni che i protagonis­ti hanno tenuto in piedi per una vita. Un’esplorazio­ne nella verità senza alibi, guardando in faccia le proprie debolezze e paure, più che quelle degli altri. Ed è un peccato che nella traduzione (già dal giapponese all’inglese) si sia perso il titolo originale di questo romanzo, che per noi sarebbe «Prima che la bugia venga a galla», sequel di «Prima che il caffè si raffreddi», e in attesa di «Prima che i ricordi svaniscano», ultimo atto della trilogia che in Italia arriverà nel 2022.

In una lunga intervista su YouTube del 30 novembre scorso, Toshikazu Kawaguchi ha raccontato un po’ di sé: cresciuto da solo con la madre a Osaka, non sopportava le divise, tanto da cercare di entrare (senza riuscirci) nell’unica scuola della zona che non imponesse un’uniforme. Dopo le superiori ha tentato la carriera di mangaka (fumettista) per poi passare al teatro. Notato da Ruriko Ikeda, talentuosa e influente editrice della Sunmark Publishing, ci ha messo tre anni per trasformar­e in romanzo la sua sceneggiat­ura sul caffè che fa viaggiare nel tempo. Ha fatto fatica a trovare la sua strada, Kawaguchi. Forse per questo i suoi personaggi rimangono impressi anche dopo avere chiuso le pagine del libro. Sofferenti e impavidi. Imperfetti, ma pronti ad andare avanti. Nonostante tutto.

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