Corriere della Sera - La Lettura
Anche se sai cucire l’organza non vali nulla
Mariangela Mianiti e una storia nell’Emilia degli anni Sessanta
Molti italiani sono stati salvati dall’analfabetismo dal mitico maestro Alberto Manzi conduttore, sull’unico canale Rai esistente allora, di Non è mai troppo tardi, programma ideato insieme al ministero dell’Istruzione pubblica. In fascia preserale, per permettere ai lavoratori di seguire la trasmissione, si svolgevano vere e proprie lezioni per insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Non tutti però si appassionavano a questa primordiale didattica a distanzia e gran parte del Paese continuava a parlare in dialetto. Proprio come i protagonisti di Organsa, romanzo di Mariangela Mianiti, pubblicato da il verri edizioni, casa editrice nata dalla storica e omonima rivista letteraria. Foglio fondato dal grande critico Luigi Anceschi nel 1956 che, a prescindere da innumerevoli peripezie editoriali, non ha mai smesso di essere pubblicato.
Il titolo di questo libro conduce subito al cuore della trama: è la storpiatura emiliana di «organza», prezioso e delicato tessuto trasparente di seta, molto di moda negli anni del dopoguerra per la confezione degli abiti femminili più eleganti. A utilizzarlo, con ammirazione e parsimonia, è Luisa, la protagonista del romanzo, una sarta provetta che deve mettere in secondo piano il talento per fare invece la serva ai familiari.
L’unica colpa di questa giovane donna è stata quella di essere madre troppo presto, per questo ha perso ogni autonomia, diventando succube di marito e genitori. Teatro della storia è una frazione della Bassa parmense dove i famigliari di Luisa acquistano un’osteria, un appezzamento di terreno e un negozio di alimentari. La donna deve pulire, badare agli animali, servire i clienti e cucinare per tutti. Una routine schiavizzante dove utilizzare la macchina da cucire e tagliare cartamodelli viene considerato fuori luogo. Usare l’organza per vestire una paesana ricca diventa un raro e rischioso momento di indipendenza.
A raccontare la dura quotidianità di Luisa è la figlia, prima voce di bambina stupita dalla remissività della madre, poi testimone cinica di angherie e soprusi considerati normali. «Il veleno che scorre nella mia famiglia sta infettando anche me. Nessuno è più capace di dire una cosa gentile, di fare un gesto amorevole, di avere uno slancio sorridente. Nessuno sa dire grazie o per favore. Nessuno sa pensare le cose senza dar loro un prezzo in denaro».
Anni Sessanta, l’Italia del boom, ma in campagna il progresso