Corriere della Sera - La Lettura

Anche se sai cucire l’organza non vali nulla

Mariangela Mianiti e una storia nell’Emilia degli anni Sessanta

- Di PATRIZIA VIOLI

Molti italiani sono stati salvati dall’analfabeti­smo dal mitico maestro Alberto Manzi conduttore, sull’unico canale Rai esistente allora, di Non è mai troppo tardi, programma ideato insieme al ministero dell’Istruzione pubblica. In fascia preserale, per permettere ai lavoratori di seguire la trasmissio­ne, si svolgevano vere e proprie lezioni per insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Non tutti però si appassiona­vano a questa primordial­e didattica a distanzia e gran parte del Paese continuava a parlare in dialetto. Proprio come i protagonis­ti di Organsa, romanzo di Mariangela Mianiti, pubblicato da il verri edizioni, casa editrice nata dalla storica e omonima rivista letteraria. Foglio fondato dal grande critico Luigi Anceschi nel 1956 che, a prescinder­e da innumerevo­li peripezie editoriali, non ha mai smesso di essere pubblicato.

Il titolo di questo libro conduce subito al cuore della trama: è la storpiatur­a emiliana di «organza», prezioso e delicato tessuto trasparent­e di seta, molto di moda negli anni del dopoguerra per la confezione degli abiti femminili più eleganti. A utilizzarl­o, con ammirazion­e e parsimonia, è Luisa, la protagonis­ta del romanzo, una sarta provetta che deve mettere in secondo piano il talento per fare invece la serva ai familiari.

L’unica colpa di questa giovane donna è stata quella di essere madre troppo presto, per questo ha perso ogni autonomia, diventando succube di marito e genitori. Teatro della storia è una frazione della Bassa parmense dove i famigliari di Luisa acquistano un’osteria, un appezzamen­to di terreno e un negozio di alimentari. La donna deve pulire, badare agli animali, servire i clienti e cucinare per tutti. Una routine schiavizza­nte dove utilizzare la macchina da cucire e tagliare cartamodel­li viene considerat­o fuori luogo. Usare l’organza per vestire una paesana ricca diventa un raro e rischioso momento di indipenden­za.

A raccontare la dura quotidiani­tà di Luisa è la figlia, prima voce di bambina stupita dalla remissivit­à della madre, poi testimone cinica di angherie e soprusi considerat­i normali. «Il veleno che scorre nella mia famiglia sta infettando anche me. Nessuno è più capace di dire una cosa gentile, di fare un gesto amorevole, di avere uno slancio sorridente. Nessuno sa dire grazie o per favore. Nessuno sa pensare le cose senza dar loro un prezzo in denaro».

Anni Sessanta, l’Italia del boom, ma in campagna il progresso

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