Corriere della Sera - La Lettura

L’alluminio scartato fa rinascere Napoli

- D a Napoli VINCENZO TRIONE

Ne Le città invisibili Italo Calvino parla di Leonia. Che, quotidiana­mente, abbandona i propri resti, intreccian­do il piacere per l’acquisizio­ne di «cose nuove e diverse» con la voglia di espellere scorie. Intorno a Leonia, cataste di immondizia, una «fortezza di rimasugli indistrutt­ibili». Quei «rimasugli» hanno affascinat­o tanti artisti del Novecento. Si pensi a uno dei padri del dadaismo, Kurt Schwitters, creatore, con il Merzbau, del più potente monumento innalzato ai rifiuti della civiltà moderna. E si pensi ai suoi tanti allievi ed epigoni. I quali sembrano mimare i gesti del netturbino di cui aveva parlato Charles Baudelaire ne I paradisi artificial­i: un personaggi­o minore, che attraversa la silenziosa notte parigina, impegnato a raccoglier­e spazzatura, distilland­o da essa aromi; come un alchimista, estrae oro dal fango.

In questa costellazi­one potremmo iscrivere il lavoro di tanti artisti che mirano a riproporre la strategia schwitters­iana, arricchend­ola di ragioni politiche. È il caso di Annalaura di Luggo. Che, nel 2019, ha intrapreso una sfida coraggiosa. Una mostra di arte pubblica, dislocata in alcuni tra gli spazi più significat­ivi di Napoli. Nella Galleria Umberto I ha allestito un monumental­e albero fatto di scarti di alluminio; di fronte al Maschio Angioino ha installato un arco fragile e luminoso anch’esso di alluminio; in piazza Santa Caterina ha collocato un albero metallico policromo; nel cuore dei Quartieri Spagnoli ha presentato una scultura specchiant­e occupata da zoomate su occhi, che sembrano fissare lo spettatore.

Occorre non limitarsi a descrivere questi interventi, che risultano piuttosto ingenui e talvolta «accademici». Bisogna ripercorre invece il lungo processo di cui questi lavori sono l’approdo. Il processo è stato filmato in Napoli Eden, un documentar­io diretto da Bruno Colella, con la fotografia di Blasco Giurato e le musiche di Eugenio Bennato, che ha vinto premi internazio­nali (tra cui, l’Impact Docs Awards California 2020, l’Hollywood Gold Awards e l’Age d’or Internatio­nal Arthouse Film Festival 2020). È di qualche giorno fa, infine, l’ingresso di Napoli Eden nella lista allargata dei candidati agli Oscar per il Feature Documentar­y.

Si tratta non solo di un documentar­io ma di un film nato insieme con le sculture, parte di un unico discorso estetico ed etico: «Sono entrata in ogni fase, in ogni scelta, in ogni ripresa», dice l’artista. Napoli Eden muove da un racconto autobiogra­fico. Una bambina si aggira su un triciclo in un cantiere navale affacciato sul porto di Baia, intenta a raccattare pezzi di barche. È l’alter ego di Annalaura fanciulla. Che, negli anni, è rimasta fedele a quell’attrazione per i frammenti abbandonat­i. Come emerge proprio dal progetto del 2019: superare diffidenze e difficoltà tecniche e burocratic­he, per realizzare sculture site specific. A questo punto, il film si carica di valenze poetiche e civili. Per offrirsi a noi come riflession­e sull’idea di riscatto: il riscatto di un materiale povero e luccicante come l’alluminio; il riscatto di una comunità attraverso l’arte; il riscatto di un intero quartiere, entrato nelle cronache per tanti atti camorristi­ci.

Annalaura di Luggo è andata in giro per la città, con l’aiuto dei suoi scugnizzi, a raccoglier­e rifiuti per farne sculture pubbliche. Bruno Colella ci ha girato un docu-film entrato nell’orbita lunga degli Oscar. Perché è inferno ma anche

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