Corriere della Sera - La Lettura
Amore e morte in scena al Gaiety di New York
co di New York Rudolph Giuliani. All’inizio, nella penombra del palco, s’intravede un grande spazio deserto e sotterraneo. Ci sono le sedie di un cinema rivolte verso uno schermo posizionato sul fondo, un palo da lap dance, una porta con scritto EXIT. Velluto rosso e luci stroboscopiche. Una figura comincia a muoversi nel buio. È un uomo delle pulizie. Lo spettacolo comincia così, un club deserto, sporco, e un uomo messicano che mentre lavora ci parla di sua figlia».
Altra immagine. «Uomini di spalle, personaggi che fumano in silenzio. I ragazzi ballano. Un cassiere si annoia. Sentiamo in soggettiva i pensieri dei personaggi. Nel frattempo i movimenti del coro si immobilizzano o alle volte si dilatano in un rallenty straniato. Il cast è di soli uomini. Il coro sono i clienti del club. I solisti sono Patrick Angus, un Gogo boy, la Drag Queen, l’uomo delle pulizie, un cliente, un poliziotto, il padre. Nel racconto dei dieci anni di vita del Gaiety, il tempo passa, si comprime e si dilata, i clienti invecchiano, molti muoiono prima, l’Aids è presente ma non viene nominato. Le voci si fanno sempre più rade, i personaggi afoni, un coro muto, di sole presenze. Spettri. L’unica figura femminile è la madre di Angus, Betty. Una spettatrice che arriva dal futuro, che nessuno vede. Canterà solo alla fine. L’unica sopravvissuta. Ha 84 anni. La vedo in uno dei suoi tailleur monocromi mentre fa il suo ingresso, non vista dagli altri: sembra un fantasma. Si aggira tra i clienti abbracciati sulle sedie, i ragazzi, in silenzio. Passato e presente si mescolano, le parole di Betty anziana sono riferite al figlio giovane che però non può sentirla».
Ma ecco. Nel Gaiety entra un letto da ospedale, «siamo al capezzale di Angus con amici, conoscenti, parenti», continua Cherstich. È una Passione, un funerale in un club, una festa d’addio o di compleanno? «Una visione folle, ironica, un numero di Broadway poetico e commovente. Il letto vola. Il corpo di Patrick scompare per riapparire in mezzo alle sedie del cinema. È solo, ora, con la madre davanti allo schermo bianco. Le poltrone cominciano a muoversi come le onde del mare». Per dirla con Kantor «lo spazio della vita dimora accanto a quello dell’arte, insieme e a vicenda confondendosi e compenetrandosi, condividendo un destino comune. E un quadro diventa la secrezione del mio dentro».