Corriere della Sera - La Lettura
La comicità della golpista Lisistrata
Due commedie di Aristofane riflettono il clima tragico della guerra tra Atene e Sparta
Nel gennaio-febbraio dell’anno 405 a.C. Aristofane presentò e portò al successo una commedia intitolata Rane. Insieme a Lisistrata (411 a.C.) è forse la più nota e la più riuscita delle commedie che Aristofane, nato a metà del V secolo a.C. e morto ben dopo la rinascita delle mura di Atene (394 a.C.), mandò in scena nel corso della sua lunghissima carriera drammaturgica. La prima, e meglio documentata, parte della sua carriera fu segnata dal fatto principale nella seconda metà del V secolo: la guerra tra l’impero ateniese e la Lega peloponnesiaca capeggiata da Sparta. Guerra incominciata nel 431, quando Aristofane aveva forse meno di vent’anni. Una guerra interminabile, che si protrasse — dopo un intervallo di pace fragile (421) e una rovinosa impresa ateniese contro Siracusa (415-413) — fino all’assedio di Atene da parte della flotta spartana, pagata dal principe persiano Ciro il giovane (settembre 405-aprile 404) e alla catastrofe finale. Durante il lunghissimo assedio della città la demagogia bellicista non disarmò, se non quando il suo capo (Cleofonte) fu arrestato e ucciso e la mancanza di grano, nella città bloccata, produsse una diffusa e tragica moria per fame.
Le commedie che abbiamo ricordato — Lisistrata e Rane — si collocano in due momenti particolarmente angoscianti sul piano politico: il terrorismo oligarchico di lunga lena che portò, nella primavera del 411, al breve e fallimentare governo dei Quattrocento e alla temporanea cancellazione del regime democratico in un clima di guerra civile strisciante, e — nella tarda estate del 406 — il «golpe bianco» del processo contro il collegio degli strateghi (tranne quelli che s’erano salvati fuggendo) che pure avevano vinto la sanguinosissima battaglia navale presso le isole Arginuse (tra l’isola di Lesbo e la costa anatolica).
Quando Aristofane porta in scena Lisistrata, la cui trama è un colpo di Stato sui generis (e vittorioso) che impone, nella finzione scenica, la fine della guerra e la pace con Sparta (obiettivo primario degli artefici del colpo di Stato oligarchico), Atene è già percorsa dai prodromi di un vero colpo di Stato: dai primi visibili effetti della congiura, incominciata già alla fine del 412 negli ambienti militari ateniesi nell’isola di Samo ed «esportata» ad Atene dall’abile azione di un ex capo democratico passato segretamente con i golpisti, Pisandro, e sorretta con capillare propaganda dalle eterie (confraternite) oligarchiche. Racconta, passo passo, la trama Tucidide nell’ottavo libro della sua storia della guerra. E descrive una situazione in cui l’assemblea popolare si rivela impotente e addirittura assassinî politici restano impuniti perché la leadership democratica, responsabile della catastrofica campagna contro Siracusa (migliaia di morti e defezioni in massa degli alleati), è afona e succuba. È in questo clima che gli Ateniesi videro sulla scena, e forse apprezzarono, l’«eroina» Lisistrata — promotrice dello sciopero sessuale e dell’occupazione a sorpresa dell’Acropoli con conseguente sequestro del tesoro dello Stato — porre fine alla rovinosa guerra. Come è ovvio, la commedia deve soprattutto far ridere, e l’autore ha come obiettivo primario di conseguire il premio, un buon piazzamento nel verdetto finale (o il primo o il secondo posto: anche il secondo è «vincitore»). Ma è altrettanto ovvio che la materia portata in scena non è neutrale; e tanto meno lo è il plot della Lisistrata, che, per il successo, conta soprattutto sulla comicità pruriginosa che ha costituito fatuamente la delizia di tanti moderni «letterati».
Il caso delle Rane è altrettanto sintomatico. Quando la commedia andò in scena, la città era doppiamente frastornata: per la decapitazione, per via giudiziaria, del vertice militare (uno degli strateghi messi a morte era il figlio di Pericle e di Aspasia), e per l’irresponsabile colpo di testa assembleare, promosso dall’astro nascente della democrazia, Cleofonte, di respingere la pace di compromesso offerta da Sparta dopo la sconfitta alle Arginuse. Scrisse Giulio Giannelli nel suo ben fatto Trattato di storia greca che prova della «misteriosa inesauribile vitalità» del pubblico ateniese fu «l’applauso» riservato, in quella situazione, alle Rane. Non fu solo «applauso». Ad Aristofane la Boulé, e quindi l’assemblea, concessero con un decreto un premio politico rilevantissimo: la corona civica ornata di un ramo dell’olivo sacro. L’altissimo riconoscimento venne motivato così: perché nella commedia Rane egli ha chiesto la restituzione dei diritti politici alle vittime della repressione anti-oligarchica conseguente al ripristino della democrazia. E gli fu concesso anche l’onore, davvero insolito, di una replica della commedia.
L’argomento delle Rane è letterario: un surreale duello, nell’Ade, tra Eschilo, morto da moltissimo tempo, ed Euripide appena morto e «sbarcato» nell’Ade e già pronto alla rissa. Ma nel bel mezzo della commedia il coro, nella parabasi, lancia l’appello all’amnistia filo-oligarchica: appello che determinò il duplice premio (la corona e la replica). E Aristofane si mise all’opera per «rinfrescare» la sua commedia in vista della replica. Non poteva che intervenire sulla parabasi, cioè su quel quasi-comizio che il corifeo recita come fuor d’opera mentre gli attori si sono temporaneamente ritirati: è la parabasi che deve parlare dell’attualità. Mentre vi lavorava era incalzato dal precipitare degli eventi: a settembre il disastro militare e la cattura dell’intera flotta ateniese da parte dell’inflessibile e astuto comandante spartano Lisandro, e, subito dopo, l’inizio dell’assedio, quindi il decreto che attuava quanto proprio lui aveva chiesto, dalla scena, in favore dei cittadini compromessi con l’oligarchia, e, negli stessi giorni, l’arresto di Cleofonte e l’inizio del processo-farsa contro di lui. È impensabile che, nel precipitare degli eventi, il teatro abbia continuato a funzionare e la replica sia poi andata in scena. Ciò che noi leggiamo è il testo ritoccato: con la parabasi «rinforzata» e questa volta davvero violenta contro i residui del personale politico democratico, in primis contro Cleofonte, di cui viene auspicata la condanna a morte. Ma non fa più ridere.