Corriere della Sera - La Lettura
Futurologi un po’ troppo ottimisti
Longevità Dna e cloni hi-tech: un collettivo americano rilancia sull’allungamento della vita
Alcuni animali sembrano avere sconfitto la morte. Batteri resistenti alle radiazioni, lieviti e certe meduse non invecchiano, o lo fanno molto lentamente, perché hanno meccanismi di riparazione dei danni genetici e rallentano le attività vitali. Altri, come le planarie e le idre, grazie alle capacità straordinarie delle loro cellule staminali sono in grado di rigenerare i tessuti. I tardigradi si essiccano da soli e fermano il metabolismo, resistendo alle condizioni più estreme.
Nell’elenco delle creature con questi superpoteri non ci sono mammiferi, e men che meno umani. A noi tocca di morire, mediamente dopo circa tre miliardi di battiti cardiaci. Homo sapiens però ha inventato la scienza. Riusciremo quindi a imitare per via biotecnologica quegli elisir di lunga vita? Un po’ lo stiamo già facendo. Secondo le Nazioni Unite, nel 2030 un miliardo di persone avrà più di 65 anni. Nel 2050 gli over 65 saranno due miliardi, cioè il 20% della popolazione. Dagli inizi del Novecento a oggi l’aspettativa di vita nei Paesi più ricchi è raddoppiata.
Migliorare la qualità della vita nella quarta età sembra un obiettivo più che sufficiente, ma qualcuno vuole andare oltre. L’ipotesi di Vivere per sempre (il Saggiatore) è che la medicina stia per scoprire davvero l’orologio biologico alla rovescia che Francis Scott Fitzgerald immaginò nel 1922 ne Il curioso caso di Benjamin Button.
Il protagonista nasce vecchio e ringiovanisce al passare degli anni, con i paradossi che ne conseguono. Attraverso cocktail di farmaci, dieta povera di zuccheri e grassi, stile di vita, ricalibrature del Dna e interventi bionici, anche noi vivremo fino a 130 anni con un fisico da ventenni, invertendo i segni dell’invecchiamento?
Gli autori di Vivere per sempre si chiamano come una sonda sovietica e un vaccino russo, ma sono statunitensi. Sputnik Futures è un collettivo fondato più di 25 anni fa a New York da due consulenti di aziende multinazionali, Joanne De Luca e Janine Lopiano, che lavorano sul futuro, esplorandone le avvisaglie tra scienza, tecnologia e arte. Cercano di captare i trend che ci attendono, mestiere affascinante e rischioso in questi tempi turbolenti. Di recente hanno inaugurato una piattaforma multimediale, Alice in Futureland, che sforna appunto guide per il futuro.
Lo stile di scrittura è originale: una lettura dinamica scandita da capitoli brevi, box di approfondimento, brani di interviste, citazioni di autori di fantascienza e artisti, annunci da aziende biotech, tante informazioni. L’effetto è quello di un ibrido tra un libro tradizionale e un sito web, con pagine intrise di intrepido ottimismo. L’obiettivo infatti è assai ambizioso: chiudere la porta in faccia alla morte.
Come? Dimenticatevi creme e integratori. Si può fare di più, soprattutto grazie ai massicci investimenti dei
guru visionari della Silicon Valley, che di lasciare le loro spoglie terrene non hanno alcuna intenzione. I primi suggerimenti sono ben noti: combattere le infiammazioni; ridurre l’apporto calorico, anche attraverso digiuni intermittenti; fare attività fisica; evitare fumo, stress e inquinamento; divertirsi, fare progetti; evitare accessi di collera, essere gentili e provare emozioni positive.
Poi il gioco si fa più ardito e dai buoni consigli si passa alle speranze: gli argini all’invecchiamento non bastano, bisogna strapparne le radici. Sappiamo che una volta passata l’età riproduttiva la selezione naturale ci abbandona, si accumulano mutazioni genetiche deleterie e inizia il declino fisico. Dovremmo quindi regolare il Dna, aumentando il numero di possibili divisioni che ogni cellula può fare prima di indebolirsi e morire. Per gli scienziati citati da Sputnik Futures, l’obiettivo è raggiungibile smaltendo la spazzatura cellulare, eliminando le cellule senescenti e fermando l’accorciamento dei telomeri, i cappucci protettivi terminali dei cromosomi che si logorano a ogni duplicazione cellulare.
Un pregio dell’opera è che fa capire come dentro il continente inesplorato di ciò che ancora non sappiamo su cellule e Dna si nascondano sicuramente nuove possibilità di terapie, oggi impensabili. Quando l’opera si avventura in proposte più avveniristiche, come iniezioni di plasma giovane e di cellule staminali, mostra però il fianco a qualche fragilità. Un primo campanello d’allarme per andarci piano in materia di eternità è che cellule che riescono a essere virtualmente immortali esistono già: sono i tumori. La tesi data per scontata nel libro è che sia realistico raggiungere l’immortalità attraverso un processo di perfezionamento organico. Ma molti biologi dissentono e ritengono che allungando l’aspettativa di vita incontreremo prima o poi un limite strutturale fisiologico, forse intorno ai 120 anni.
L’anelito all’immortalità discende da altre due premesse discutibili. La prima è che invecchiamento e morte siano una malattia, dovuti a difetti costruttivi, e non una necessità biologica intrinseca. La seconda è che il nostro corpo sia una macchina da aggiustare e la morte un «supremo errore di progettazione». Per plasmare la nostra biologia e migliorarne le performance, basterà mettere a tacere i geni dell’invecchiamento e attivare i «geni matusalemme». Se siamo un codice, lo riprogrammeremo, sistemeremo l’hardware e avremo un’umanità aumentata e infinita: semplice.
Forse un po’ troppo semplice. Come i dispositivi tecnologici, forse anche noi abbiamo un’obsolescenza programmata. Potremo prevedere la nostra data di morte usando un orologio molecolare in grado di misurare la salute delle etichette chimiche che regolano l’espressione dei geni. Così un esame del sangue potrà dirci quando moriremo. Poi si tratta di capire se vorremo davvero saperlo.
Il corpo umano però resta fastidiosamente inaffidabile. Sarà per questo che la nostra Alice nel paese del futuro ripone molte speranze di immortalità nell’upload della nostra mente, che sarà caricata su un hard disk e inserita nella testa di un androide senziente. Questi cloni mentali renderanno eterna la nostra coscienza. Così si avvera la profezia del 1927 di Julian Huxley, che vedeva in queste aspettative di auto-trascendenza tecnologica la religione dell’avvenire. I visionari di Sputnik Futures credono che nel paradiso digitale la coscienza diventerà una proprietà intrinseca e immateriale dell’universo.
Alla fine della lettura si resta con la strana sensazione che, se dopo i 65 anni ci colpisce una malattia cronica, vuol dire che ce la siamo cercata. Come gestiremo le conseguenze sociali dirompenti di una vecchiaia indefinitamente dilazionata resta poco chiaro. Una previsione nel libro è che il 2020 sarebbe stato l’anno di svolta per la sfida alla mortalità. Invece i nemici della longevità hanno trionfato: un agente patogeno sconosciuto, paura diffusa, stress, distanziamento sociale. Non è un buon periodo per le ambizioni di eternità, ma forse proprio per questo potrebbe farci bene questa scorpacciata di ottimismo, purché si segua un’avvertenza: prima di prendere una delle magiche pillole descritte da Sputnik Futures, consultare un medico.