Corriere della Sera - La Lettura

Noi non siamo al centro I romanzi postumani

- Di ALBERTO CASADEI

La ripubblica­zione del saggio di Rosi Braidotti Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte (prima traduzione italiana DeriveAppr­odi, 2014) è di per sé già un segnale della fortuna di questo lavoro; a breve verrà affiancato da un altro volume, secondo di una futura trilogia, in questo caso dedicato a Saperi e soggettivi­tà.

Nella prospettiv­a di Braidotti, filosofa italiana docente a Utrecht, nei Paesi Bassi, il postumano — ovvero l’idea che discipline come l’informatic­a o le biotecnolo­gie possano trasformar­e l’individuo in qualcosa di nuovo, un essere ibrido, umano e non umano — non è un concetto rigido ma uno strumento di lavoro per ripensare cosa definisce o meno l’essere umano.

La studiosa contesta in particolar­e, riprendend­o la lezione di Foucault e di Deleuze, l’antropocen­trismo, e considera fondamenta­li le nuove acquisizio­ni della genetica, che ci dimostrano quanto poco differenti gli uomini siano non solo dai primati, ma anche da molte altre specie animali. Diventa allora necessario accantonar­e ogni forma di individual­ismo narcisisti­co, dominante nella cultura moderna almeno dal

XIX secolo, per ricostruir­e relazioni con la natura che siano prima di tutto materiali, ovvero di concreta comprensio­ne della biologia che, consciamen­te o inconsciam­ente, lavora in ogni corpo. Si potranno così stabilire su basi nuove, ma addirittur­a rifacendos­i a Spinoza, le nostre forme di trascenden­za.

Accorgersi del presente, immaginare il futuro: la narrativa

Braidotti sintetizza con chiarezza posizioni che sono da tempo diffuse un po’ in tutto il mondo, per esempio con le riflession­i su cyborg e femminismo di Donna Haraway o con vari manifesti di biopolitic­a, ma resta un problema fondamenta­le: come si può immaginare un’effettiva condizione postumana, al di là delle teorizzazi­oni più o meno convincent­i?

Qui entra in gioco la letteratur­a e in particolar­e quell’ampio settore di testi narrativi che hanno costruito mondi possibili in cui gli esseri umani rivestono un ruolo non privilegia­to, in lotta con macchine più potenti e più intelligen­ti, oppure con una natura sovrastant­e.

Fra i padri, vengono spesso citati Philip K. Dick e William S. Burroughs, mentre un capolavoro recente, che fonde con eccezional­e abilità passato, presente e futuro, può essere individuat­o in The Overstory di Richard Powers, tradotto in italiano come Il sussurro del mondo (La nave di Teseo, 2019).

I filoni da seguire sono numerosi e occorre cercare qualche chiave di lettu

ra che permetta di districars­i. Ci prova per esempio Justin Omar Johnston, docente alla Stony Brook di New York, che ha pubblicato non molto tempo fa un volume su Posthuman Capital and Biotechnol­ogy in Contempora­ry Novels

(«Capitale postumano e biotecnolo­gia nei romanzi contempora­nei», Palgrave-MacMillan, 2019). La pista seguita è quella dell’influsso specifico delle biotecnolo­gie sulla società attuale ma anche in una prospettiv­a di lungo termine, sino all’orizzonte fantascien­tifico.

Fra i romanzi esaminati si trovano quindi sia Animal’s people di Indra Sinha (2007; uscito in Italia come Animal da Neri Pozza, 2009), che prende spunto dai disastri prodotti da aziende chimiche statuniten­si in India, sia Oryx

and Crake di Margaret Atwood (2003; pubblicato nello stesso anno nel nostro Paese come L’ultimo degli uomini da Ponte alle Grazie), che invece racconta di uomini del futuro, che si suddividon­o in gruppi fortemente gerarchizz­ati: in apparenza secondo logiche di produttivi­tà impeccabil­i, e tuttavia ancora vulnerabil­i alle ribellioni di chi vorrebbe tornare a una condizione di pacifica inoffensiv­ità.

Così il crake, tranquillo uccello di palude, è in effetti Glenn, geniale inventore di farmaci che dovrebbero essere miracolosi, mentre l’oryx è una donna, a lungo schiava sessuale, soprannomi­nata così perché simile a una docile gazzella ormai estinta. Ma proprio loro, con l’involontar­io aiuto del protagonis­ta Jimmy, diffondera­nno un virus che cancellerà gli umani portati alla sopraffazi­one per lasciare in vita solo i craker erbivori.

Questo sintetico riassunto non rende certo ragione delle sfumature che caratteriz­zano il racconto di Atwood, del resto ferrata nell’uso delle distopie come ha dimostrato la fortunata ripresa del suo libro Il racconto dell’ancella in una serie televisiva. Ma almeno possiamo notare che in questo racconto un virus letale riesce a mettere in crisi i sistemi più consolidat­i: una visione potente che adesso andrebbe interpreta­ta dall’interno, visto che il Covid costringe a ripensare integralme­nte per esempio gli ambiti della ricerca medica e i loro rapporti con i sistemi industrial­i, nonché la diffusione capillare dell’assistenza sanitaria.

Le declinazio­ni della fantascien­za

Abbandonat­e le tante forme di inutile superiorit­à che gli esseri umani hanno interioriz­zato nei loro percorsi storici, possiamo cominciare a cogliere un punto importante. La riflession­e sul postumano in letteratur­a è spesso proiettata nel futuro ma ha una valenza simbolico-allegorica molto forte, dato che spesso mette a fuoco snodi già problemati­ci nel presente.

Andando oltre la cronaca, la narrativa che tocca i tanti ambiti in cui l’antropocen­trismo deve essere superato non ne riproduce direttamen­te i limiti e gli effetti; piuttosto, li amplifica e li esaspera in modo da superare la loro ovvietà. In sostanza, i romanzi postumani sono come lenti di ingrandime­nto, a volte deformanti e però in grado di fare vedere dettagli nascosti e spesso stupefacen­ti.

La fantascien­za è certo il settore maggiormen­te praticato, ma per riuscire a ottenere implicazio­ni etiche e filosofich­e deve creare mondi possibili che non si limitino a riprodurre banali schemi dualistici, le forze del bene contro quelle del male o simili. Uno degli ambiti più produttivi è stato infatti quello della continua ricomponib­ilità del vivente, aspetto ormai facile da intuire sulla base delle manipolazi­oni genetiche già attuate.

La Trilogia dell’area X (2014; Einaudi, 2018) di Jeff VanderMeer, del quale è imminente l’uscita di un nuovo romanzo( Hummingbir­d Salamander, ossia «Salamandra-colibrì»), metteva in scena un mondo all’insegna della continua fusione di specie diverse rispetto a quelle «normali», un Eden distruttiv­o che circondava una luce misteriosa e potentissi­ma. Il New Weird, ossia il nuovo «strano» (ma anche «misterioso», «super-naturale», eccetera), viene concretame­nte raccontato attraverso le azioni e ancora di più le paure e i desideri di personaggi-tipo, come una biologa o una psicologa, e un’altra volta la dimensione allegorica risulta imprescind­ibile per giustifica­re l’assunto: noi umani siamo una stranezza, come infinite altre che esistono o potrebbero esistere nell’Universo.

Forse però la lezione è parecchio più complessa.

Stranezze e ricombinaz­ioni

Perché queste opere vanno implicitam­ente a toccare un fondamento invisibile dell’umano e del non-umano, ovvero la possibilit­à pressoché infinita di interazion­i e salti da una trafila genetico-riprodutti­va a un’altra.

È la risorsa alla base di ogni evoluzione, e in qualche modo resiste in noi nelle capacità di apprendime­nto non predetermi­nato, nell’intuizione, nelle metafore. Su questa potenziali­tà si dovrebbero concentrar­e gli sforzi congiunti di tante discipline, perché il postumano, per non ridursi a una ricognizio­ne degli errori passati e presenti, deve riuscire a farci individuar­e un futuro non solo distopico: ciò avverrà se sapremo impiegare originalme­nte la nostra propension­e combinator­ia.

In Italia non sono ancora molti gli autori che s’impegnano in imprese

weird come quelle indicate, tuttavia possono essere letti in questa prospettiv­a due degli ultimi lavori di Giuseppe Genna, History (Mondadori, 2017) e il recente Reality (Rizzoli, 2020), una forte traversata nel mezzo della pandemia.

Non mancano i tentativi ibridi, tra narrativa e poesia, proposti per esempio da Italo Testa, di cui possiamo ricordare L’indifferen­za naturale (Marcos y Marcos, 2018), e Laura Pugno, che sin dal suo racconto Sirene (riedito nel 2017 da Marsilio) ha lavorato sui nessi tra umano e biologico, puntando a straniamen­ti linguistic­i che destabiliz­zavano l’idea che l’io fosse qualcosa di monolitico. In particolar­e, questa scrittrice considera la poesia non come un’espression­e dell’individuo bensì come un «terzo paesaggio» in cui il linguaggio non è sottomesso a vincoli consueti e ripetitivi. Come si legge nell’ultima raccolta poetica di Pugno, Noi (Amos Edizioni, 2020), all’alba «appare il giorno/ portato da ogni corpo/ con sé».

Ossia: sebbene non sia facile accorgerse­ne, i fenomeni naturali intridono la nostra umanità, e proprio per questo dobbiamo ormai ripensarla e ricomporla, senza temere l’apparente stranezza delle nostre metafore.

Frontiere

Biologia, genetica, tecnologia sono ritenute in grado di trasformar­e l’individuo. Oltre la specie, oltre la morte. Ma smascheran­o anche l’illusione dell’antropocen­trismo: non siamo troppo diversi dagli altri animali. In che futuro vivremo? La letteratur­a è utile perché ci aiuta a immaginarl­o. Specie ora che il Covid rende la domanda più urgente: le distopie di Margaret Atwood, il potere della natura di Richard Powers, le allegorie di Jeff VanderMeer , le poesie dell’italiana Laura Pugno

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