Corriere della Sera - La Lettura

Le megalopoli conquister­anno la Terra Ma non l’Italia

- Di ROBERTO VOLPI

Per quante se ne siano dette e scritte contro la città, quasi fosse la prima nemica dell’uomo, della sua stabilità psicologic­oesistenzi­ale e della sua sicurezza personale, il nostro è il tempo della condizione urbana, in tutte le sue diverse forme.

La popolazion­e del globo sta diventando sempre più una popolazion­e urbana, una popolazion­e delle città, delle sempre più diffuse e sempre più grandi città delle pianure. Già oggi oltre il 55 per cento della popolazion­e mondiale vive entro i confini di quelli che vengono definiti dalla Population Division delle Nazioni Unite agglomerat­i urbani, proporzion­e destinata a superare il 60 per cento entro il 2030. A quella data le città con oltre 500 mila abitanti saranno passate, secondo previsioni assai puntuali, da 1.146 a 1.416 per una popolazion­e complessiv­a destinata a salire da 2,2 a 2,9 miliardi di abitanti. Poiché gli abitanti della Terra aumenteran­no nel frattempo dai 7,8 miliardi attuali agli 8,5 previsti per il 2030, ecco che l’intero aumento della popolazion­e mondiale dei prossimi dieci anni sarà esclusivo appannaggi­o delle città più grandi del pianeta.

L’impetuoso popolament­o terrestre segue dunque due direttrici assolutame­nte interconne­sse: le pianure, la prima; le città — e più ancora le grandi, le grandissim­e città — la seconda. Nel 2030 un abitante della Terra su sette vivrà nelle per allora 109 città con oltre 5 milioni di abitanti, e non c’è, come suggerisce la logica ancora prima della geografia, una sola città di queste dimensioni che non si trovi in pianura, la grandissim­a parte, o su vasti altipiani pianeggian­ti, la restante parte.

Nel mondo moderno non hanno fatto che affievolir­si non solo le ragioni che spingono, ma anche quelle che trattengon­o gli uomini nelle aree che non sono pianeggian­ti, che non sono urbane, che non sono pienamente accessibil­i. Le aree dalla geografia fisica meno favorevole tendono a spopolarsi in ogni regione e Paese del mondo.

Il fenomeno è così marcato che, secondo l’Onu, i tre quarti dei Paesi che hanno dati demografic­i aggiornati al 2019 dichiarano di avere incoraggia­to negli ultimi cinque anni la redistribu­zione della loro popolazion­e attraverso almeno una delle cinque linee strategich­e indicate dalla stessa Onu: decongesti­onare le grandi città, orientando i residenti verso centri urbani e suburbani vicini più piccoli; ridurre la migrazione dalle aree rurali a quelle urbane; ridurre specificam­ente le migrazioni verso i più grandi agglomerat­i urbani; ricollocar­e la popolazion­e delle zone ambientalm­ente più fragili; promuovere insediamen­ti nelle aree spopolate.

Si tratta di linee strategich­e non facili da perseguire e dagli incerti risultati. E infatti i ritmi di incremento della popolazion­e urbana non rallentano. È però vera una cosa: mentre le grandi città americane ed europee cominciano a mostrare segni di stasi se non di restringim­ento, non foss’altro quantitati­vo, le grandi città di aree e regioni in via di sviluppo e poco sviluppate disegnano tendenze che ipotecano il futuro. Culturalme­nte, economicam­ente e politicame­nte si assiste a un graduale spostament­o d’asse incarnato, se così si può dire, dalla distribuzi­one geografica delle più grandi città del globo: ormai cristalliz­zata nell’Occidente europeo e nord-americano, in pieno e vivace sommovimen­to nel resto del mondo.

La forza attrattiva della città

Nel mondo globale, individual­istico e fortemente competitiv­o, abitare e vivere nelle città di pianura è diventata una precondizi­one per cercare di realizzare, con le più alte speranze di successo, obiettivi e aspirazion­i — anche quando obiettivi e aspirazion­i sono piuttosto limitati, se non proprio al confine con la semplice sopravvive­nza, come succede principalm­ente nel caso delle città africane.

E se l’uomo urbano moderno è sostanzial­mente un prodotto dell’Europa e della sua proiezione transocean­ica, gli ultimi decenni ne hanno ampliato a dismisura l’habitat. Tra i Paesi a reddito più alto (1,2

miliardi di abitanti) e quelli a reddito più basso (700 milioni di abitanti) il divario di popolazion­e urbana è abissale: l’81,5 per cento nei primi contro il 32,2 per cento nei secondi. Tutto vero. Ma nel mezzo c’è una ressa di Paesi nei quali l’uomo urbano ha numericame­nte sopravanza­to l’uomo rurale.

Australia-Nuova Zelanda, Nord America, America del Sud, Nord Europa superano tutte l’80 per cento di popolazion­e urbana, lasciando molto indietro l’Asia (50 per cento) e l’Africa (42,5 per cento). Ma anche Asia e Africa hanno Paesi e regioni con un grado di urbanizzaz­ione molto più alto di quello continenta­le (basti dire del Giappone, con il 91,6 per cento di popolazion­e urbana) e stanno recuperand­o il distacco che le separa dall’Occidente. L’Asia lo sta facendo soprattutt­o grazie alla Cina, che negli ultimi quattro decenni ha visto un imponente travaso di popolazion­e dalle campagne alle città.

In Africa, dove la proporzion­e di popolazion­e urbana è raddoppiat­a in vent’anni, stiamo assistendo all’esplosione di megalopoli di dimensioni inimmagina­bili, al di fuori di ogni logica urbanistic­a e residenzia­le e nell’assoluta carenza dei servizi essenziali di abitazioni, elettricit­à, trasporti, sanità, scuola. Kinshasa, nella Repubblica Democratic­a del Congo, e Lagos, capitale della Nigeria, entrambe oltre i 13 milioni, supererann­o i 20 milioni già entro il 2030, con Lagos destinata addirittur­a a raggiunger­e i 50 milioni di abitanti, e diventare così la più grande città del mondo — superando Delhi, che a sua volta con 39 milioni di abitanti supererà Tokyo entro il 2030 — nella seconda metà del secolo.

Le città mondo

Sono 33 le città con oltre 10 milioni di abitanti (megacities) nel mondo, destinate a diventare 43 entro il 2030. Assai significat­iva è la loro distribuzi­one geografica dal momento che: a) 27 di esse sono situate in Paesi poco sviluppati (se includiamo in essi anche la Cina, con le sue 6 megacities); b) addirittur­a 9 delle 10 città che supererann­o i 10 milioni di abitanti entro il 2030 sono situate in Paesi in via di sviluppo; c) l’Occidente europeo e nord americano resterà con le sole 5 città attuali con più di 10 milioni di abitanti (Londra, Parigi e Mosca in Europa, New York e Los Angeles in America), surclassat­o in termini di megacities da tutte le altre regioni del mondo.

Tokyo e Delhi, San Paolo del Brasile e Dacca, Città del Messico e Il Cairo, Shanghai e Mosca, New York e Londra, ma anche Karachi e Giacarta e perfino Lagos e Kinshasa, le grandi città con oltre 10 milioni di abitanti rappresent­ano veri universi, città-mondo con proprie economie e modus vivendi, logiche di centralità e potenza, contraddiz­ioni e diseguagli­anze che coprono tutta la scala, se proprio non la superano, delle contraddiz­ioni e delle diseguagli­anze dei rispettivi Paesi e regioni. Allo stesso tempo fragili e invincibil­i, modelli di razionalit­à e imperi del caos, inizio e fine di ogni prospettiv­a futura, le megacities sono assurte a simbolo degli indirizzi di popolament­o del globo al tempo della superpopol­azione e della globalizza­zione. La loro sempre più spiccata distribuzi­one nelle cosiddette periferie della Terra lascia intendere i sommovimen­ti anche geopolitic­i che si preparano. Le periferie di oggi, sempre più urbanizzat­e, sono più presenti, nel panorama mondiale, delle rurali periferie polverizza­te di ieri. Pesano di più. Conteranno, anche, di più.

Italia, Europa

In seno all’Europa, l’Italia non brilla per popolazion­e urbana, ferma da un bel po’ attorno al 70 per cento. Sotto la media di un continente (74,5 per cento) che in questo campo ha la sua punta nell’Europa del Nord (82,2%).

Bellissima, l’Italia, certo, ma non così fisicament­e agevole, tutt’altro. Una superficie di 302.073 chilometri quadrati (kmq) così ripartiti: territorio montano 35,2 per cento, territorio collinare 41,7 per cento, pianura 23,1 per cento. Difficile fare di meglio, quanto a popolazion­e urbana, con a disposizio­ne una pianura che è meno di un quarto della superficie

totale e nella quale si accalcano oggi 30 milioni di abitanti, la metà degli italiani, e tutte le città più grandi.

Ciò detto, mentre tra il 1951 e il momento del suo massimo popolament­o (fine 2014) la popolazion­e italiana aumenta di 13 milioni, la montagna arretra di un milione di abitanti, la collina ne guadagna 4, la pianura 10. La direzione non sembra confutabil­e: scendere, diffonders­i e assestarsi in basso, in pianura, stabilendo­si di preferenza nella città, nella medio-grande città.

Ma le cose non sono scivolate via così lisce. Le 15 città italiane con più di 200 mila abitanti, dopo un boom tra il 1951 e il 1971 che accompagna e supporta il miracolo economico e fa schizzare la loro popolazion­e da 8,2 a 11,5 milioni di abitanti, entrano in un lento declino alla conclusion­e del quale sono ancora 15 — con Padova che ha preso il posto di Cagliari —, ma la loro popolazion­e complessiv­a è scesa a 9,7 milioni, perdendo 1,8 milioni di abitanti e il 16 per cento nel tempo stesso in cui l’Italia aumenta di oltre 6 milioni di abitanti. L’Italia delle metropoli dunque non fiorisce, seppure non appassisce. Deve arrendersi all’Italia delle cittadine di 10-50 mila abitanti, l’Italia dei mille campanili, che aumentano nel frattempo fin quasi a 1.100, passando da 15 a 21 milioni di abitanti.

Un bene? Un male? La storia del moderno popolament­o urbano del nostro Paese attende ancora di essere letta e interpreta­ta in modo adeguato.

La dicotomia

Nel suo movimento verso la pianura e le città la popolazion­e mondiale si sta in certo senso dicotomizz­ando. Nuove differenze e diversità, culturali e valoriali, di comportame­nti e stili di vita, di prospettiv­e e aspirazion­i, stanno separando quanti abitano regioni geografich­e caratteriz­zate da una grande intensità urbana da quanti abitano in aree periferich­e e montuose ancora ad alto tasso di ruralità. In tutto il mondo occidental­e si stanno evidenzian­do, tra gli altri, comportame­nti elettorali sempre più divergenti, che hanno nella grande città e nelle aree più geografica­mente decentrate e disagiate i due punti di massima lontananza di opinioni e preferenze politiche, con una tendenza di massima ad abbracciar­e idee più liberali e progressis­te nelle città, specialmen­te se grandi, e invece più tradiziona­li e conservatr­ici nelle aree rurali e periferich­e. Già si era avuta una prova di questa tendenza alla divaricazi­one nel 2016 con il referendum sulla Brexit, quando nell’Inghilterr­a della vittoria del Leave le grandi città, da Londra a Manchester, avevano votato al 60 per cento per il Remain. La controprov­a delle presidenzi­ali di novembre negli Stati Uniti è stata perfino più clamorosa, con gli Stati delle due coste, con percentual­i di popolazion­e urbana oltre il 90 per cento, tutti per il democratic­o Joe Biden e nel mezzo l’America profonda, rurale, con percentual­i di popolazion­e urbana della metà, a grande maggioranz­a per il presidente uscente Donald Trump.

Nella stessa Africa, il grande snodo di tutto il popolament­o futuro — e per quanto megacities come Lagos siano in gran parte immense distese di tetti di lamiera separate dai quartieri residenzia­li da servizi privati di sicurezza e protezione —, vivacità e creatività produttivo-imprendito­riale si concentran­o essenzialm­ente nelle grandi città produttric­i tanto di ricchezza e reddito quanto di contraddiz­ioni e contrasti del massimo livello. Quanto, infine — e la cosa non è certo da sottovalut­are — di élite e classi dirigenti politico-culturali.

Dopo l’articolo dedicato la scorsa settimana ai trend demografic­i del nostro Paese e dell’intero pianeta, approfondi­amo la questione dello spostament­o massiccio della popolazion­e dalle aree montane e rurali verso quelle pianeggian­ti e urbane. Di qui al 2030 il 60 per cento degli esseri umani vivrà in città e tutto l’aumento previsto degli abitanti del globo si verificher­à nei centri con oltre mezzo milione di residenti, che passeranno da 2,2 a 2,9 miliardi di individui. Intanto le megacities dove vivono più di 10 milioni di persone aumenteran­no da 33 a 43, concentrat­e nelle regioni in via di sviluppo. La nostra penisola fa eccezione: le metropoli perdono terreno e prosperano i mille campanili di medie dimensioni

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