Corriere della Sera - La Lettura
L’amore di Narciso non è solo Narciso
Una raccolta a cura di Sonia Macrì riunisce alcune importanti riproposte della figura mitologica nei versi di grandi autori, da Ovidio a Derek Walcott. E mette in rilievo le molte componenti e sollecitazioni del rapporto con l’altro
Si ripete spesso che la poesia, e tanto più la poesia lirica per come si è definita a partire dall’età romantica, sia il più egocentrico e individualista dei generi letterari. Lo sappiamo: concetti come soggettivismo, separatezza, particolarità, idiosincrasia, egotismo, solipsismo, individualismo, intransitività, narcisismo, in qualche misura fanno parte del nostro modo di pensarla. Eppure, è altrettanto vero che, detta così, si tratta soltanto di una mezza verità, o meglio della scorza a tutta prima visibile di una verità ben più profonda e complessa. Basta rifarsi direttamente alla propria esperienza di lettori, per trovare subito conferma di come le cose stiano in un modo molto diverso. Anche solo limitandosi ai nostri poeti del secolo passato, infatti, come si fa a ritenere egocentrica e autoreferenziale la poesia di Ungaretti e di Montale, di Saba, Penna, Sereni e Caproni, della Rosselli e di Zanzotto, e di tanti altri con loro?
Evidentemente la questione è tutt’altro che pacifica, dal momento che l’io — il celeberrimo io amato e insieme odiato dalla quasi totalità dei poeti moderni e contemporanei — non è che la precondizione, il tramite o la cavia di un discorso che non finisce affatto con lui, e che implica invece il tu, l’altro, il tutti. «Io è un altro», aveva sostenuto Arthur Rimbaud nella dichiarazione forse più celebre e influente della poesia occidentale degli ultimi due secoli. E basterebbe questa metafora per suggerire come non si possa risolvere una simile tensione prendendola per un verso soltanto, cioè appunto sciogliendo la metafora. Solo qualche decennio prima, del resto, John Keats aveva dichiarato che «il Poeta è la più impoetica delle cose che esistono; perché non ha Identità, è continuamente intento a riempire qualche altro Corpo — il Sole, la Luna, il Mare e gli Uomini e le Donne» (si tratta della sua riflessione, celebre anche questa, sul poeta camaleonte). Alle asserzioni dei due padri fondatori potremmo allora raccordare il verso che proprio Saba, probabilmente il nostro miglior lirico del secolo passato, desiderava fosse posto sul suo epitaffio: «Pianse e capì per tutti era il tuo motto». E per intendere la particolare natura del movimento d’introflessione che è proprio di tanta parte della poesia contemporanea, bisognerebbe davvero fermarsi sull’ampio raggio di significazione di questo verbo — capire —, che vale insieme per la testa e per il cuore, e che mette insieme afferrare, comprendere, contenere, entrare, penetrare, far proprio, sentire, compatire, condividere. Il movimento del poeta verso l’interno, insomma, è al contempo tutto in uscita. Del resto, la poesia è proprio a convivere con i paradossi, a governarli e a sopportarli, che più di tutto insegna.
Contrariamente a quanto in genere si pensi, il primo, grande problema della poesia moderna e contemporanea non è dunque l’io, ma la relazione io-altro, proprio come voleva Rimbaud. Non una situazione statica ma appunto una tensione, che come tale non sopporta una soluzione unilaterale e dirimente, ma vive della propria intrinseca problematicità, e drammaticità anche.
L’uscita di una bella antologia dedicata alla figura di Narciso può portare molte conferme al riguardo: Narciso. La passione dello sguardo. Variazioni sul mito, a cura di Sonia Macrì (Marsilio). Si tratta di un percorso che unisce alcune importanti riproposte del mito di Narciso nei versi dei poeti, da Ovidio a Derek Walcott. Gli altri autori antologizzati, vale la pena ricordarli direttamente, sono Filostrato, La Fontaine, Valéry, Rilke, Williams, García Lorca, Borges, Ritsos e Pasolini.
Nel suo ben documentato e puntuale scritto introduttivo, che per altro ha il merito di non perdere mai di vista il corso principale dell’argomentazione, la curatrice del volume sottolinea come «l’idea di Narciso come paradigma della personalità del narcisista» sia divenuta nel corso del Novecento così comune, così scontata, da essersi risolta in «una vera e propria antonomasia: chiunque esibisca un atteggiamento volto a compiacere ed esaltare sé stesso, infatti, può essere oggigiorno chiamato “Narciso”».
Si può dire allora che l’idea di fondo che ha guidato la composizione dell’antologia sia stata proprio quella di mostrare, dalle origini del mito alla sue versioni poetiche contemporanee, come si tratti in realtà di una situazione molto più screziata, aperta e contraddittoria. Nella poesia, ovviamente; ma anche, si può aggiungere, nella vita di tutti i giorni, visto che ogni volta che ci guardiamo allo specchio, ogni volta che parliamo di noi stessi, ogni volta che il nostro io dice «io», abbiamo in qualche misura a che fare con lui, il famigerato Narciso.
Del resto, anche se riportato a una sua ipotetica forma semplice, che poi è quella codificata anzitutto e per molti versi insuperabilmente da Ovidio nel terzo libro delle Metamorfosi, il mito rivela subito le tante componenti e sollecitazioni che mette in gioco: il giovane e bellissimo cacciatore che, specchiatosi un giorno in una pozza d’acqua mentre stava per bere, s’innamorò della propria immagine al punto di morire del suo incontro con quella. Ovidio è un poeta formidabile (non è un caso che più di Virgilio e degli altri latini, più dei compagni di strada dello stilnovo, suscitasse in Dante lo spirito di competizione), e nella sua versione del mito, che sarà poi il riferimento di gran lunga più importante per tutti i secoli a venire, ci sono già tutti gli elementi che di volta in volta verranno variati o approfonditi da questo o quel poeta. Così, ad esempio, la natura, ma diciamo pure la direzione dell’amore, tra reciprocità e riflessività (la curatrice fa delle considerazioni molto pertinenti su questo punto), il motivo dello sguardo, del vedersi (che poi con Valéry diventerà il vedersi mentre ci si vede), e dunque della distanza, dell’estraneità, dell’inafferrabilità, del doppio, dell’espropriazione, della perdita, e allora anche e soprattutto della passione erotica che s’indirizza verso la morte (si leggano al riguardo i testi di Rilke e le poesie in friulano di Pasolini). Ma insieme è anche il tema, tanto più che si tratta di poesia, dell’immagine o del simulacro di sé, dell’artificio e dell’illusione, dei processi e delle forme della rappresentazione, del gioco equivoco tra realtà e irrealtà (il rimando qui è alla poesia di Borges intitolata Allo specchio).
È un fatto che deve fare pensare. Tutte queste poesie, in cui il narcisismo dovrebbe essere, per così dire, raddoppiato (visto che Narciso è anche il tema della scrittura, non solo il suo movente), narcisiste in senso proprio non lo sono affatto. Al contrario, mettono tutte in atto un confronto col diverso, con l’altro da sé. Così si potrebbe ragionare a rovescio, e dire che soltanto dove non si trova un poeta che sia realmente tale io e altro coincidono senza sbavature. Lì, davvero, il cosiddetto narcisismo risulta senza ritorno. Con un’ultima, paradossale ritorsione, però, che poi è quella della poesia che si nega. Chi infatti esprime soltanto sé stesso, in realtà, quel suo sé non ha trovato il modo d’esprimerlo.