Corriere della Sera - La Lettura
E Gesù alle nozze cadde ubriaco
Giosuè Calaciura immagina il Nazareno adolescente: madre bambina, padre assente
Nella vita di Cristo c’è una grossa lacuna, un ampio non detto, che va più o meno dall’età di 12 anni fino ai 30: che cos’è accaduto in questi 18 anni? Che cosa ha fatto, come ha vissuto, cosa ha provato il figlio di Dio in questo lungo tempo in cui è stato come nascosto al mondo? Il tentativo di risposta a questi interrogativi è il dispositivo narrativo che sta alla base del romanzo di Giosuè Calaciura Io sono Gesù (Sellerio). A parlare nella finzione romanzesca è proprio Gesù che si sofferma in particolare su quel periodo di tempo, sconosciuto alle Scritture. Il Gesù di Calaciura è molto lontano sia dal protagonista dei vangeli sinottici che da quello degli apocrifi (che in parte l’autore riprende).
Il dato più vistoso, l’intuizione romanzesca più feconda, è che Gesù non si senta, né si creda o si immagini, figlio di Dio. Gesù è un uomo normale, nato da una madre bambina, cresciuto da un uomo anziano che ha sposato la donna solo per non farle subire scandalo. Quest’uomo a un certo punto scompare da Nazareth e se ne va, Gesù giovane e adolescente decide di andare a ritrovarlo, di scoprire perché quell’uomo ha abbandonato lui e sua madre.
In questa spasmodica ricerca del padre, Gesù vive una serie di avventure, tra cui diventare un saltimbanco in un circo e innamorarsi perdutamente di una donna che non lo vorrà. Ogni avventura si conclude sempre con questa duplice nostalgia da un lato verso il padre lontano irraggiungibile, perché morto (o non esistente?), e dall’altro verso la madre che, enigmatica e silenziosa (simile alla figura evangelica), lo attende nella sua casa.
L’intuizione di Calaciura sta nella rappresentazione creaturale e fragile di Gesù: si ubriaca, si diverte, lavora sodo, suona il flauto, ha un profondo senso di giustizia, si innamora perdutamente, fa sesso, vive la sofferenza della morte della donna amata, incontra nella sua vita personaggi che a noi suonano familiari, ma che sono straniati rispetto al racconto
€ canonico: Giuda, Marta, Maria, Lazzaro, Giovanni il Battista. Sono stranianti anche alcuni episodi come le famose nozze dell’acqua che diventa vino, in cui Gesù si ubriaca e s’addormenta caduto in un fosso, o l’episodio della camminata sulle acque che avviene in sogno. Proprio questo senso di estraneità o di estravaganza tra il dato evangelico e il dato del racconto fa che il romanzo non sia una semplice rivisitazione delle Scritture, ma fornisca al lettore un sensazione più sottile.
Noi siamo abituati a pensare ai personaggi e agli episodi dei vangeli come reali, reali le persone, le cui esistenze vengono piegate dalla narrazione per raffigurare e/o simboleggiare qualcos’altro; Calaciura sembra suggerire una possibilità diversa: forse il vangelo di Cristo è una duplice finzione, ovvero che non solo Giuda, Marta, Maria, Giovanni e Lazzaro non significano ciò che ci è stato tramandato per anni, ma esiste la possibilità che questi non abbiano vissuto nulla di quello che noi leggiamo, e siano solo il prodotto di un racconto narrato per giustificare un padre che non c’è e una madre che tace.